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Messaggio del Santo Padre per la 58a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 19.03.2021


Messaggio del Santo Padre

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Traduzione in lingua inglese

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Traduzione in lingua araba

Il 25 aprile 2021, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 58a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema San Giuseppe: il sogno della vocazione, nello speciale Anno dedicato al Patrono della Chiesa universale, indetto lo scorso 8 dicembre.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti, ai consacrati ed ai fedeli di tutto il mondo:

 

Messaggio del Santo Padre

San Giuseppe: il sogno della vocazione

Cari fratelli e sorelle!

Lo scorso 8 dicembre, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale, è iniziato lo speciale Anno a lui dedicato (cfr Decreto della Penitenzieria Apostolica, 8 dicembre 2020). Da parte mia, ho scritto la Lettera apostolica Patris corde, allo scopo di «accrescere l’amore verso questo grande Santo». Si tratta infatti di una figura straordinaria, al tempo stesso «tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi». San Giuseppe non strabiliava, non era dotato di carismi particolari, non appariva speciale agli occhi di chi lo incontrava. Non era famoso e nemmeno si faceva notare: i Vangeli non riportano nemmeno una sua parola. Eppure, attraverso la sua vita ordinaria, ha realizzato qualcosa di straordinario agli occhi di Dio.

Dio vede il cuore (cfr 1 Sam 16,7) e in San Giuseppe ha riconosciuto un cuore di padre, capace di dare e generare vita nella quotidianità. A questo tendono le vocazioni: a generare e rigenerare vite ogni giorno. Il Signore desidera plasmare cuori di padri, cuori di madri: cuori aperti, capaci di grandi slanci, generosi nel donarsi, compassionevoli nel consolare le angosce e saldi per rafforzare le speranze. Di questo hanno bisogno il sacerdozio e la vita consacrata, oggi in modo particolare, in tempi segnati da fragilità e sofferenze dovute anche alla pandemia, che ha originato incertezze e paure circa il futuro e il senso stesso della vita. San Giuseppe ci viene incontro con la sua mitezza, da Santo della porta accanto; al contempo la sua forte testimonianza può orientarci nel cammino.

San Giuseppe ci suggerisce tre parole-chiave per la vocazione di ciascuno. La prima è sogno. Tutti nella vita sognano di realizzarsi. Ed è giusto nutrire grandi attese, aspettative alte che traguardi effimeri – come il successo, il denaro e il divertimento – non riescono ad appagare. In effetti, se chiedessimo alle persone di esprimere in una sola parola il sogno della vita, non sarebbe difficile immaginare la risposta: “amore”. È l’amore a dare senso alla vita, perché ne rivela il mistero. La vita, infatti, si ha solo se si , si possiede davvero solo se si dona pienamente. San Giuseppe ha molto da dirci in proposito, perché, attraverso i sogni che Dio gli ha ispirato, ha fatto della sua esistenza un dono.

I Vangeli narrano quattro sogni (cfr Mt 1,20; 2,13.19.22). Erano chiamate divine, ma non furono facili da accogliere. Dopo ciascun sogno Giuseppe dovette cambiare i suoi piani e mettersi in gioco, sacrificando i propri progetti per assecondare quelli misteriosi di Dio. Egli si fidò fino in fondo. Possiamo però chiederci: “Che cos’era un sogno notturno per riporvi tanta fiducia?”. Per quanto anticamente vi si prestasse parecchia attenzione, era pur sempre poca cosa di fronte alla realtà concreta della vita. Eppure San Giuseppe si lasciò guidare dai sogni senza esitare. Perché? Perché il suo cuore era orientato a Dio, era già disposto verso di Lui. Al suo vigile “orecchio interiore” bastava un piccolo cenno per riconoscerne la voce. Ciò vale anche per le nostre chiamate: Dio non ama rivelarsi in modo spettacolare, forzando la nostra libertà. Egli ci trasmette i suoi progetti con mitezza; non ci folgora con visioni splendenti, ma si rivolge con delicatezza alla nostra interiorità, facendosi intimo a noi e parlandoci attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti. E così, come fece con San Giuseppe, ci propone traguardi alti e sorprendenti.

I sogni portarono infatti Giuseppe dentro avventure che mai avrebbe immaginato. Il primo ne destabilizzò il fidanzamento, ma lo rese padre del Messia; il secondo lo fece fuggire in Egitto, ma salvò la vita della sua famiglia. Dopo il terzo, che preannunciava il ritorno in patria, il quarto gli fece ancora cambiare i piani, riportandolo a Nazaret, proprio lì dove Gesù avrebbe iniziato l’annuncio del Regno di Dio. In tutti questi stravolgimenti il coraggio di seguire la volontà di Dio si rivelò dunque vincente. Così accade nella vocazione: la chiamata divina spinge sempre a uscire, a donarsi, ad andare oltre. Non c’è fede senza rischio. Solo abbandonandosi fiduciosamente alla grazia, mettendo da parte i propri programmi e le proprie comodità, si dice davvero “sì” a Dio. E ogni “sì” porta frutto, perché aderisce a un disegno più grande, di cui scorgiamo solo dei particolari, ma che l’Artista divino conosce e porta avanti, per fare di ogni vita un capolavoro. In questo senso San Giuseppe rappresenta un’icona esemplare dell’accoglienza dei progetti di Dio. La sua è però un’accoglienza attiva: mai rinunciatario o arrendevole, egli «non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo» (Lett. ap. Patris corde, 4). Possa egli aiutare tutti, soprattutto i giovani in discernimento, a realizzare i sogni di Dio per loro; possa egli ispirare l’intraprendenza coraggiosa di dire “sì” al Signore, che sempre sorprende e mai delude!

Una seconda parola segna l’itinerario di San Giuseppe e della vocazione: servizio. Dai Vangeli emerge come egli visse in tutto per gli altri e mai per sé stesso. Il Popolo santo di Dio lo chiama castissimo sposo, svelando con ciò la sua capacità di amare senza trattenere nulla per sé. Liberando l’amore da ogni possesso, si aprì infatti a un servizio ancora più fecondo: la sua cura amorevole ha attraversato le generazioni, la sua custodia premurosa lo ha reso patrono della Chiesa. È anche patrono della buona morte, lui che ha saputo incarnare il senso oblativo della vita. Il suo servizio e i suoi sacrifici sono stati possibili, però, solo perché sostenuti da un amore più grande: «Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione» (ibid., 7).

Il servizio, espressione concreta del dono di sé, non fu per San Giuseppe solo un alto ideale, ma divenne regola di vita quotidiana. Egli si diede da fare per trovare e adeguare un alloggio dove far nascere Gesù; si prodigò per difenderlo dalla furia di Erode organizzando un tempestivo viaggio in Egitto; fu lesto nel tornare a Gerusalemme alla ricerca di Gesù smarrito; mantenne la famiglia lavorando, anche in terra straniera. Si adattò, insomma, alle varie circostanze con l’atteggiamento di chi non si perde d’animo se la vita non va come vuole: con la disponibilità di chi vive per servire. Con questo spirito Giuseppe accolse i numerosi e spesso imprevisti viaggi della vita: da Nazaret a Betlemme per il censimento, poi in Egitto e ancora a Nazaret, e ogni anno a Gerusalemme, ben disposto ogni volta a venire incontro a circostanze nuove, senza lamentarsi di quel che capitava, pronto a dare una mano per aggiustare le situazioni. Si può dire che sia stato la mano protesa del Padre celeste verso il suo Figlio in terra. Non può dunque che essere modello per tutte le vocazioni, che a questo sono chiamate: a essere le mani operose del Padre per i suoi figli e le sue figlie.

Mi piace pensare allora a San Giuseppe, custode di Gesù e della Chiesa, come custode delle vocazioni. Dalla sua disponibilità a servire deriva infatti la sua cura nel custodire. «Si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre» (Mt 2,14), dice il Vangelo, segnalandone la prontezza e la dedizione per la famiglia. Non perse tempo ad arrovellarsi su ciò che non andava, per non sottrarne a chi gli era affidato. Questa cura attenta e premurosa è il segno di una vocazione riuscita. È la testimonianza di una vita toccata dall’amore di Dio. Che bell’esempio di vita cristiana offriamo quando non inseguiamo ostinatamente le nostre ambizioni e non ci lasciamo paralizzare dalle nostre nostalgie, ma ci prendiamo cura di quello che il Signore, mediante la Chiesa, ci affida! Allora Dio riversa il suo Spirito, la sua creatività, su di noi; e opera meraviglie, come in Giuseppe.

Oltre alla chiamata di Dio – che realizza i nostri sogni più grandi – e alla nostra risposta – che si attua nel servizio disponibile e nella cura premurosa –, c’è un terzo aspetto che attraversa la vita di San Giuseppe e la vocazione cristiana, scandendone la quotidianità: la fedeltà. Giuseppe è l’«uomo giusto» (Mt 1,19), che nel silenzio operoso di ogni giorno persevera nell’adesione a Dio e ai suoi piani. In un momento particolarmente difficile si mette a “considerare tutte le cose” (cfr v. 20). Medita, pondera: non si lascia dominare dalla fretta, non cede alla tentazione di prendere decisioni avventate, non asseconda l’istinto e non vive all’istante. Tutto coltiva nella pazienza. Sa che l’esistenza si edifica solo su una continua adesione alle grandi scelte. Ciò corrisponde alla laboriosità mansueta e costante con cui svolse l’umile mestiere di falegname (cfr Mt 13,55), per il quale non ispirò le cronache del tempo, ma la quotidianità di ogni padre, di ogni lavoratore, di ogni cristiano nei secoli. Perché la vocazione, come la vita, matura solo attraverso la fedeltà di ogni giorno.

Come si alimenta questa fedeltà? Alla luce della fedeltà di Dio. Le prime parole che San Giuseppe si sentì rivolgere in sogno furono l’invito a non avere paura, perché Dio è fedele alle sue promesse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20). Non temere: sono le parole che il Signore rivolge anche a te, cara sorella, e a te, caro fratello, quando, pur tra incertezze e titubanze, avverti come non più rimandabile il desiderio di donare la vita a Lui. Sono le parole che ti ripete quando, lì dove ti trovi, magari in mezzo a prove e incomprensioni, lotti per seguire ogni giorno la sua volontà. Sono le parole che riscopri quando, lungo il cammino della chiamata, ritorni al primo amore. Sono le parole che, come un ritornello, accompagnano chi dice sì a Dio con la vita come San Giuseppe: nella fedeltà di ogni giorno.

Questa fedeltà è il segreto della gioia. Nella casa di Nazaret, dice un inno liturgico, c’era «una limpida gioia». Era la gioia quotidiana e trasparente della semplicità, la gioia che prova chi custodisce ciò che conta: la vicinanza fedele a Dio e al prossimo. Come sarebbe bello se la stessa atmosfera semplice e radiosa, sobria e speranzosa, permeasse i nostri seminari, i nostri istituti religiosi, le nostre case parrocchiali! È la gioia che auguro a voi, fratelli e sorelle che con generosità avete fatto di Dio il sogno della vita, per servirlo nei fratelli e nelle sorelle che vi sono affidati, attraverso una fedeltà che è già di per sé testimonianza, in un’epoca segnata da scelte passeggere ed emozioni che svaniscono senza lasciare la gioia. San Giuseppe, custode delle vocazioni, vi accompagni con cuore di padre!

Roma, San Giovanni in Laterano, 19 marzo 2021, Solennità di San Giuseppe

FRANCESCO

[00356-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Saint Joseph: le songe de la vocation

Chers frères et sœurs!

Le 8 décembre dernier, à l’occasion du 150ème anniversaire de la proclamation de saint Joseph comme Patron de l’Eglise universelle, a commencé l’année spéciale qui lui est consacrée. (cf. Décret de la Pénitencerie Apostolique, 8 décembre 2020). Pour ma part, j’ai écrit la Lettre apostolique Patris corde, dans le but d’«accroître l’amour envers ce grand Saint».Il s’agit en effet d’une figure extraordinaire, en même temps « si proche de la condition humaine de chacun de nous ».Saint Joseph n’impressionnait pas, il n’était pas doté de charismes particuliers, il n’apparaissait pas exceptionnel aux yeux de celui qui le rencontrait.Il n’était pas célèbre et ne se faisait même pas remarquer: les Evangiles ne rapportent même pas une de ses paroles.Pourtant, à travers sa vie ordinaire, il a réalisé quelque chose d’extraordinaire aux yeux de Dieu.

Dieu voit le cœur (cf. 1 S 16, 17) et en saint Joseph, il a reconnu un cœur de père, capable de donner et de susciter la vie dans le quotidien. C’est à cela que tendent les vocations: susciter et régénérer des vies chaque jour. Le Seigneur désire modeler des cœurs de pères, des cœurs de mères: des cœurs ouverts, capables de grands élans, généreux dans le don de soi, compatissants en réconfortant les angoisses et fermes pour renforcer les espérances.C’est de cela que le sacerdoce et la vie consacrée ont besoin, aujourd’hui de manière particulière, en des temps marqués par des fragilités et des souffrances dues aussi à la pandémie, qui a suscité des incertitudes et des peurs concernant l’avenir et le sens même de la vie. Saint Joseph vient à notre rencontre avec sa douceur, comme un saint de la porte d’à côté; en même temps, son témoignage fort peut nous orienter sur le chemin.

Saint Joseph nous suggère trois paroles-clé pour la vocation de chacun. La première est rêve. Tout le monde dans la vie rêve de se réaliser. Et il est juste de nourrir de grandes attentes, des attentes élevées que des objectifs éphémères - comme le succès, l’argent et le plaisir - ne parviennent pas à satisfaire.En effet, si nous demandions aux personnes d’exprimer en un seul mot le rêve de leur vie, il ne serait pas difficile d’imaginer la réponse: “amour”.C’est l’amour qui donne sens à la vie, parce qu’il en révèle le mystère.En effet, la vie, on ne l’a que si on la donne, on ne possède vraiment que si on donne pleinement.Saint Joseph a beaucoup à nous dire à ce sujet, parce que, à travers les rêves que Dieu lui a inspirés, il a fait de son existence un don.

Les Evangiles racontent quatre songes (cf. Mt 1, 20; 2, 13.19.22). C’étaient des appels divins, mais ils ne furent pas faciles à accueillir. Après chaque songe, Joseph a dû changer ses plans et se remettre en cause, sacrifiant ses projets pour satisfaire ceux, mystérieux, de Dieu. Il a fait confiance jusqu’au bout.Mais nous pouvons nous demander: "Qu’était un rêve nocturne pour y placer tant de confiance ?". Bien que l’on y prêtât beaucoup d’attention dans le passé, ce n’était quand même pas grand-chose face à la réalité concrète de la vie. Pourtant saint Joseph se laissa guider par ses songes sans hésiter. Pourquoi? Parce que son cœur était orienté vers Dieu, il était déjà disposé à son égard. Sa vigilante “oreille intérieure” n’avait besoin que d’un petit signe pour reconnaître la voix.Cela vaut également pour les appels qui nous sont adressés: Dieu n’aime pas se révéler de manière spectaculaire, en forçant notre liberté.Il nous transmet ses projets avec douceur;il ne nous foudroie pas avec des visions éclatantes, mais il s’adresse avec délicatesse à notre intériorité, en se faisant intime à nous et en nous parlant à travers nos pensées et nos sentiments.Et ainsi, comme il le fit avec saint Joseph, il nous propose des objectifs élevés et surprenants.

Les songes, en effet, ont conduit Joseph dans des aventures qu’il n’aurait jamais imaginées. Le premier déstabilisa ses fiançailles, mais le rendit père du Messie; le second le fit fuir en Egypte, mais il sauva la vie de sa famille.Après le troisième, qui annonçait le retour dans sa patrie, le quatrième lui fit encore changer ses plans, le ramenant à Nazareth, là même où Jésus allait commencer l’annonce du Règne de Dieu. Dans tous ces bouleversements, le courage de suivre la volonté de Dieu se révéla donc vainqueur. Il en est ainsi de la vocation: l’appel divin pousse toujours à sortir, à se donner, à aller plus loin. Il n’y a pas de foi sans risque. C’est seulement en s’abandonnant avec confiance à la grâce, mettant de côté ses propres programmes et son propre confort, qu’on dit vraiment “oui” à Dieu. Et chaque “oui” porte du fruit, parce qu’il adhère à un dessein plus grand, dont nous n’apercevons que des détails, mais que l’Artiste divin connaît et porte en avant, pour faire de chaque vie un chef-d’œuvre.En ce sens, saint Joseph représente une icône exemplaire de l’accueil des projets de Dieu.Mais le sien est un accueil actif: jamais défaitiste ou qui abandonne, il « n’est pas un homme passivement résigné. Il est fortement et courageusementengagé» (Patris corde, n. 4). Puisse-t-il aider chacun, particulièrement les jeunes en discernement, à réaliser les rêves de Dieu pour eux; puisse-t-il inspirer l’initiative courageuse de dire “oui” au Seigneur, qui toujours surprend et jamais ne déçoit!

Une seconde parole marque l’itinéraire de saint Joseph et de la vocation: service. Des Evangiles ressort la manière dont il a vécu en tout pour les autres et jamais pour lui-même. Le Peuple saint de Dieu l’appelle très chaste époux, révélant ainsi sa capacité à aimer sans rien retenir pour lui. En libérant l’amour de toute possession, il s’ouvrit en effet à un service encore plus fécond: son soin aimant a traversé les générations, sa garde attentive l’a rendu patron de l’Eglise. Il est aussi le patron de la bonne mort, lui qui a su incarner le sens oblatif de la vie. Son service et ses sacrifices ont été possibles, mais seulement parce qu’ils étaient soutenus par un amour plus grand: «Toute vraie vocation naît du don de soi qui est la maturation du simple sacrifice. Ce type de maturité est demandé aussi dans le sacerdoce et dans la vie consacrée. Là où une vocation matrimoniale, célibataire ou virginale n’arrive pas à la maturation du don de soi en s’arrêtant seulement à la logique du sacrifice, alors, au lieu de se faire signe de la beauté et de la joie de l’amour elle risque d’exprimer malheur, tristesse et frustration » (ibid., n. 7).

Le service, expression concrète du don de soi, ne fut pas seulement pour saint Joseph un idéal élevé, mais il devint une règle de vie quotidienne. Il s’employa à trouver et à aménager un logement où faire naître Jésus;il se prodigua pour le défendre de la fureur d’Hérode en organisant un voyage rapide en Égypte;il s’empressa de retourner à Jérusalem à la recherche de Jésus perdu;il entretint sa famille en travaillant, même en terre étrangère.Il s’adapta, en somme, aux diverses circonstances avec l’attitude de celui qui ne perd pas courage si la vie ne va pas comme il veut: avec la disponibilité de celui qui vit pour servir. Dans cet esprit, Joseph accueillit les nombreux et souvent imprévus voyages de la vie: de Nazareth à Bethléem pour le recensement, puis en Égypte et encore à Nazareth, et chaque année à Jérusalem, bien disposé chaque fois à aller à la rencontre de circonstances nouvelles, sans se plaindre de ce qui arrivait, prêt à aider pour régler les situations. On peut dire qu’il a été la main tendue du Père céleste à son Fils sur la terre. Il ne peut donc qu’être un modèle pour toutes les vocations, qui sont appelées à ceci: être les mains laborieuses du Père pour ses fils et ses filles.

J’aime penser alors à saint Joseph, gardien de Jésus et de l’Eglise, comme gardien des vocations. De sa disponibilité à servir provient en effet, son soin dans la garde. «Il se leva; dans la nuit, il prit l’enfant et sa mère, et se retira en Égypte» (Mt 2, 14), dit l’Evangile, indiquant sa promptitude et son dévouement pour sa famille. Il ne perdit pas de temps à réfléchir sur ce qui n’allait pas, pour ne pas se dérober à celui qui lui était confié.Ce soin attentif et attentionné est le signe d’une vocation réussie.C’est le témoignage d’une vie touchée par l’amour de Dieu.Quel bel exemple de vie chrétienne nous offrons lorsque nous ne poursuivons pas obstinément nos ambitions et que nous ne nous laissons pas paralyser par nos nostalgies, mais que nous prenons soin de ce que le Seigneur, à travers l’Eglise, nous confie!Alors Dieu répand son Esprit, sa créativité, sur nous;et il opère des merveilles, comme en Joseph.

En plus de l’appel de Dieu – qui réalise nos plus grands rêves – et de notre réponse – qui se réalise dans le service disponible et dans le soin attentif -, il y a un troisième aspect qui traverse la vie de saint Joseph et la vocation chrétienne, en rythmant le quotidien: la fidélité.Joseph est l’«homme juste» (Mt 1, 19), qui, dans le silence actif de chaque jour, persévère dans l’adhésion à Dieu et à ses plans.Dans un moment particulièrement difficile, il se met à “considérer toutes les choses” (cf. v. 20). Il médite, pondère: il ne se laisse pas dominer par la hâte, ne cède pas à la tentation de prendre des décisions hâtives, ne suit pas l’instinct et ne vit pas dans l’immédiat. Il cultive tout dans la patience. Il sait que l’existence ne s’édifie que sur une adhésion continue aux grands choix. Cela correspond à la douceur laborieuse et constante avec laquelle il a exercé l’humble métier de charpentier (cf. Mt 13, 55), pour lequel il n’inspira pas les chroniques du temps, mais le quotidien de chaque père, de chaque travailleur, de chaque chrétien au long des siècles. Parce que la vocation, tout comme la vie, mûrit seulement à travers la fidélité de chaque jour.

Comment s’alimente cette fidélité? A la lumière de la fidélité de Dieu. Les premières paroles que saint Joseph s’est entendu adresser en songe furent l’invitation à ne pas avoir peur, parce que Dieu est fidèle à ses promesses: «Joseph, fils de David, ne crains pas» (Mt 1, 20). Ne crains pas: ce sont les paroles que le Seigneur t’adresse aussi, chère sœur, et cher frère, quand, malgré les incertitudes et les hésitations, tu ressens comme ne pouvant plus être différé le désir de lui donner ta vie.Ce sont les mots qu’il te répète quand, là où tu te trouves, peut-être au milieu d’épreuves et d’incompréhensions, tu luttes pour suivre chaque jour sa volonté.Ce sont les paroles que tu redécouvres lorsque, sur le chemin de l’appel, tu retournes au premier amour.Ce sont les paroles qui, comme un refrain, accompagnent celui qui dit oui à Dieu par sa vie comme saint Joseph: dans la fidélité de chaque jour.

Cette fidélité est le secret de la joie. Dans la maison de Nazareth, dit une hymne liturgique, il y avait «une joie limpide». C’était la joie quotidienne et transparente de la simplicité, la joie qu’éprouve celui qui garde ce qui compte: la proximité fidèle à Dieu et au prochain. Comme il serait beau si la même atmosphère simple et radieuse, sobre et pleine d’espérance, imprégnait nos séminaires, nos instituts religieux, nos maisons paroissiales! C’est la joie que je vous souhaite, frères et sœurs, qui avec générosité avez fait de Dieu le rêve de votre vie, pour le servir dans les frères et dans les sœurs qui vous sont confiés, à travers une fidélité qui est déjà en soi témoignage, à une époque marquée par des choix passagers et des émotions qui disparaissent sans laisser la joie.Que saint Joseph, gardien des vocations, vous accompagne avec un cœur de père!

Rome, Saint Jean de Latran, 19 mars 2021, Fête de Saint Joseph

FRANÇOIS

[00356-FR.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Saint Joseph: The Dream of Vocation

Dear brothers and sisters,

8 December last, the one hundred fiftieth anniversary of the declaration of Saint Joseph as Patron of the Universal Church, marked the beginning of a special year devoted to him (cf. Decree of the Apostolic Penitentiary, 8 December 2020). For my part, I wrote the Apostolic Letter Patris Corde, whose aim was “to increase our love for this great saint”. Saint Joseph is an extraordinary figure, yet at the same time one “so close to our own human experience”. He did not do astonishing things, he had no unique charisms, nor did he appear special in the eyes of those who met him. He was not famous or even noteworthy: the Gospels do not report even a single word of his. Still, through his ordinary life, he accomplished something extraordinary in the eyes of God.

God looks on the heart (cf. 1 Sam 16:7), and in Saint Joseph he recognized the heart of a father, able to give and generate life in the midst of daily routines. Vocations have this same goal: to beget and renew lives every day. The Lord desires to shape the hearts of fathers and mothers: hearts that are open, capable of great initiatives, generous in self-giving, compassionate in comforting anxieties and steadfast in strengthening hopes. The priesthood and the consecrated life greatly need these qualities nowadays, in times marked by fragility but also by the sufferings due to the pandemic, which has spawned uncertainties and fears about the future and the very meaning of life. Saint Joseph comes to meet us in his gentle way, as one of “the saints next door”. At the same time, his strong witness can guide us on the journey.

Saint Joseph suggests to us three key words for each individual’s vocation. The first is dream. Everyone dreams of finding fulfilment in life. We rightly nurture great hopes, lofty aspirations that ephemeral goals – like success, money and entertainment – cannot satisfy. If we were to ask people to express in one word their life’s dream, it would not be difficult to imagine the answer: “to be loved”. It is love that gives meaning to life, because it reveals life’s mystery. Indeed, we only have life if we give it; we truly possess it only if we generously give it away. Saint Joseph has much to tell us in this regard, because, through the dreams that God inspired in him, he made of his life a gift.

The Gospels tell us of four dreams (cf. Mt 1:20; 2:13.19.22). They were calls from God, but they were not easy to accept. After each dream, Joseph had to change his plans and take a risk, sacrificing his own plans in order to follow the mysterious designs of God, whom he trusted completely. We may ask ourselves, “Why put so much trust in a dream in the night?” Although a dream was considered very important in ancient times, it was still a small thing in the face of the concrete reality of life. Yet Saint Joseph let himself be guided by his dreams without hesitation. Why? Because his heart was directed to God; it was already inclined towards him. A small indication was enough for his watchful “inner ear” to recognize God’s voice. This applies also to our calling: God does not like to reveal himself in a spectacular way, pressuring our freedom. He conveys his plans to us with gentleness. He does not overwhelm us with dazzling visions but quietly speaks in the depths of our heart, drawing near to us and speaking to us through our thoughts and feelings. In this way, as he did with Saint Joseph, he sets before us profound and unexpected horizons.

Indeed, Joseph’s dreams led him into experiences he would never have imagined. The first of these upended his betrothal, but made him the father of the Messiah; the second caused him to flee to Egypt, but saved the life of his family. After the third, which foretold his return to his native land, a fourth dream made him change plans once again, bringing him to Nazareth, the place where Jesus would begin his preaching of the Kingdom of God. Amid all these upheavals, he found the courage to follow God’s will. So too in a vocation: God’s call always urges us to take a first step, to give ourselves, to press forward. There can be no faith without risk. Only by abandoning ourselves confidently to grace, setting aside our own programmes and comforts, can we truly say “yes” to God. And every “yes” bears fruit because it becomes part of a larger design, of which we glimpse only details, but which the divine Artist knows and carries out, making of every life a masterpiece. In this regard, Saint Joseph is an outstanding example of acceptance of God’s plans. Yet his was an active acceptance: never reluctant or resigned. Joseph was “certainly not passively resigned, but courageously and firmly proactive” (Patris Corde, 4). May he help everyone, especially young people who are discerning, to make God’s dreams for them come true. May he inspire in them the courage to say “yes” to the Lord who always surprises and never disappoints.

A second word marks the journey of Saint Joseph and that of vocation: service. The Gospels show how Joseph lived entirely for others and never for himself. The holy people of God invoke him as the most chaste spouse, based on his ability to love unreservedly. By freeing love from all possessiveness, he became open to an even more fruitful service. His loving care has spanned generations; his attentive guardianship has made him patron of the Church. As one who knew how to embody the meaning of self-giving in life, Joseph is also the patron of a happy death. His service and sacrifices were only possible, however, because they were sustained by a greater love: “Every true vocation is born of the gift of oneself, which is the fruit of mature sacrifice. The priesthood and consecrated life likewise require this kind of maturity. Whatever our vocation, whether to marriage, celibacy or virginity, our gift of self will not come to fulfilment if it stops at sacrifice; were that the case, instead of becoming a sign of the beauty and joy of love, the gift of self would risk being an expression of unhappiness, sadness and frustration” (ibid., 7).

For Saint Joseph, service – as a concrete expression of the gift of self – did not remain simply a high ideal, but became a rule for daily life. He strove to find and prepare a place where Jesus could be born; he did his utmost to protect him from Herod’s wrath by arranging a hasty journey into Egypt; he immediately returned to Jerusalem when Jesus was lost; he supported his family by his work, even in a foreign land. In short, he adapted to different circumstances with the attitude of those who do not grow discouraged when life does not turn out as they wished; he showed the willingness typical of those who live to serve. In this way, Joseph welcomed life’s frequent and often unexpected journeys: from Nazareth to Bethlehem for the census, then to Egypt and again to Nazareth, and every year to Jerusalem. Each time he was willing to face new circumstances without complaining, ever ready to give a hand to help resolve situations. We could say that this was the outstretched hand of our heavenly Father reaching out to his Son on earth. Joseph cannot fail to be a model for all vocations, called to be the ever-active hands of the Father, outstretched to his children.

I like to think, then, of Saint Joseph, the protector of Jesus and of the Church, as the protector of vocations. In fact, from his willingness to serve comes his concern to protect. The Gospel tells us that “Joseph got up, took the child and his mother by night” (Mt 2:14), thus revealing his prompt concern for the good of his family. He wasted no time fretting over things he could not control, in order to give full attention to those entrusted to his care. Such thoughtful concern is the sign of a true vocation, the testimony of a life touched by the love of God. What a beautiful example of Christian life we give when we refuse to pursue our ambitions or indulge in our illusions, but instead care for what the Lord has entrusted to us through the Church! God then pours out his Spirit and creativity upon us; he works wonders in us, as he did in Joseph.

Together with God’s call, which makes our greatest dreams come true, and our response, which is made up of generous service and attentive care, there is a third characteristic of Saint Joseph’s daily life and our Christian vocation, namely fidelity. Joseph is the “righteous man” (Mt 1:19) who daily perseveres in quietly serving God and his plans. At a particularly difficult moment in his life, he thoughtfully considered what to do (cf. v. 20). He did not let himself be hastily pressured. He did not yield to the temptation to act rashly, simply following his instincts or living for the moment. Instead, he pondered things patiently. He knew that success in life is built on constant fidelity to important decisions. This was reflected in his perseverance in plying the trade of a humble carpenter (cf. Mt 13:55), a quiet perseverance that made no news in his own time, yet has inspired the daily lives of countless fathers, labourers and Christians ever since. For a vocation – like life itself – matures only through daily fidelity.

How is such fidelity nurtured? In the light of God’s own faithfulness. The first words that Saint Joseph heard in a dream were an invitation not to be afraid, because God remains ever faithful to his promises: “Joseph, son of David, do not be afraid” (Mt 1:20). Do not be afraid: these words the Lord also addresses to you, dear sister, and to you, dear brother, whenever you feel that, even amid uncertainty and hesitation, you can no longer delay your desire to give your life to him. He repeats these words when, perhaps amid trials and misunderstandings, you seek to follow his will every day, wherever you find yourself. They are words you will hear anew, at every step of your vocation, as you return to your first love. They are a refrain accompanying all those who – like Saint Joseph – say yes to God with their lives, through their fidelity each day.

This fidelity is the secret of joy. A hymn in the liturgy speaks of the “transparent joy” present in the home of Nazareth. It the joy of simplicity, the joy experienced daily by those who care for what truly matters: faithful closeness to God and to our neighbour. How good it would be if the same atmosphere, simple and radiant, sober and hopeful, were to pervade our seminaries, religious houses and presbyteries! I pray that you will experience this same joy, dear brothers and sisters who have generously made God the dream of your lives, serving him in your brothers and sisters through a fidelity that is a powerful testimony in an age of ephemeral choices and emotions that bring no lasting joy. May Saint Joseph, protector of vocations, accompany you with his fatherly heart!

Rome, from Saint John Lateran, 19 March 2021, Feast of Saint Joseph

FRANCIS

[00356-EN.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Der heilige Josef – der Traum der Berufung

Liebe Brüder und Schwestern!

Am vergangenen 8. Dezember begann anlässlich des 150. Jahrestages der Erhebung des heiligen Josef zum Schutzpatron der ganzen Kirche ein ihm besonders gewidmetes Jahr (vgl. Dekret der Apostolischen Pönitentiarie, 8. Dezember 2020). Ich selbst habe das Apostolische Schreiben Patris corde verfasst, um »die Liebe zu diesem großen Heiligen zu fördern« (Apostolisches Schreiben Patris corde, Schluss). Er ist in der Tat eine außergewöhnliche Gestalt, die gleichzeitig »einem jeden von uns menschlich so nahe ist« (ebd., Einleitung). Der heilige Josef erregte kein Aufsehen, er war nicht mit bestimmten Charismen ausgestattet, er war keine besondere Erscheinung in den Augen derer, die ihm begegneten. Er war nicht berühmt und fiel nicht einmal auf: Die Evangelien berichten kein einziges Wort von ihm. Doch durch sein gewöhnliches Leben erreichte er in Gottes Augen Außergewöhnliches.

Gott sieht das Herz (vgl. 1Sam 16,7), und im heiligen Josef erkannte er ein väterliches Herz, das im Alltag Leben zu schenken und hervorzubringen vermochte. Dazu nämlich neigen Berufungen: jeden Tag Leben hervorzubringen und wiederherzustellen. Der Herr möchte väterliche Herzen, mütterliche Herzen formen – offene Herzen, die fähig sind, sich mit vollem Schwung einzusetzen, die großzügig sind, sich selbst hinzugeben, mitfühlend, um Ängste zu trösten, und fest, um Hoffnungen zu stärken. Dessen bedürfen das Priestertum und das geweihte Leben, besonders heute, in Zeiten, die von Zerbrechlichkeit und Leid geprägt sind auch aufgrund der Pandemie, die Unsicherheiten und Ängste im Hinblick auf die Zukunft und den Sinn des Lebens selbst hervorgerufen hat. Der heilige Josef kommt uns mit seiner Sanftmut, als Heiliger von nebenan entgegen; gleichzeitig kann sein starkes Zeugnis uns auf unserem Weg leiten.

Der heilige Josef bietet uns drei Schlüsselwörter für die Berufung eines jeden von uns. Das erste ist Traum. Alle träumen im Leben davon, sich zu verwirklichen. Und es ist richtig, große Hoffnungen zu hegen, hohe Erwartungen, welche vergängliche Ziele – wie Erfolg, Geld und Vergnügen – nicht zu befriedigen vermögen. Wenn wir die Menschen bitten würden, den Traum des Lebens in einem einzigen Wort auszudrücken, wäre es in der Tat nicht schwer, sich die Antwort vorzustellen: „Liebe“. Es ist die Liebe, die dem Leben Sinn gibt, weil sie sein Geheimnis offenbart. Das Leben hat man nämlich nur dann, wenn man gibt, man besitzt es nur dann wirklich, wenn man sich vollständig schenkt. Der heilige Josef hat uns in dieser Hinsicht viel zu sagen, denn durch die Träume, die Gott ihm eingab, hat er sein Leben zu einer Gabe gemacht.

Die Evangelien berichten von vier Träumen (vgl. Mt 1,20; 2,13.19.22). Es waren göttliche Rufe, aber sie waren nicht leicht anzunehmen. Nach jedem Traum musste Josef seine Pläne ändern und sich selbst einbringen, dafür aber seine eigenen Pläne opfern, um Gottes geheimnisvollen Plänen nachzukommen. Er vertraute ganz und gar. Wir aber mögen uns fragen: „Was war denn schon ein nächtlicher Traum, dass man so viel Vertrauen in ihn setzen konnte?“ Wie sehr auch in alter Zeit einem Traum viel Aufmerksamkeit geschenkt wurde, so galt er dennoch wenig im Vergleich zur konkreten Lebenswirklichkeit. Der heilige Josef ließ sich jedoch ohne Zögern von Träumen leiten. Warum? Weil sein Herz auf Gott ausgerichtet war, ihm gegenüber schon bereit war. Seinem wachsamen „inneren Ohr“ genügte ein kleiner Hinweis, um Gottes Stimme zu erkennen. Das gilt auch für unsere Berufungen: Gott liebt es nicht, sich auf spektakuläre Weise zu offenbaren und so unserer Freiheit Gewalt anzutun. Behutsam übermittelt er uns seine Pläne; er blendet uns nicht mit strahlenden Visionen, sondern wendet sich feinfühlig an unser Inneres, er macht sich uns vertraut und spricht zu uns durch unsere Gedanken und Gefühle. Und so, wie er es beim heiligen Josef tat, bietet er uns hohe und überraschende Ziele an.

Die Träume brachten Josef in der Tat in Abenteuer, die er sich niemals hätte vorstellen können. Der erste Traum brachte seine Verlobung aus dem Gleichgewicht, machte ihn aber zum Vater des Messias; der zweite ließ ihn nach Ägypten fliehen, rettete aber seiner Familie das Leben. Nachdem im dritten Traum die Rückkehr in die Heimat angekündigt wurde, ließ ihn der vierte seine Pläne erneut ändern und führte ihn zurück nach Nazaret, genau an den Ort, wo Jesus die Verkündigung des Reiches Gottes beginnen sollte. In all diesen ständigen Änderungen erwies sich der Mut, dem Willen Gottes zu folgen, also als erfolgreich. So geschieht es bei der Berufung: Der göttliche Ruf drängt einen immer dazu, hinauszugehen, sich selbst hinzugeben, weiter zu gehen. Es gibt keinen Glauben ohne Wagnis. Nur wenn man sich vertrauensvoll der Gnade überlässt und seine eigenen Pläne und Bequemlichkeiten zurückstellt, dann sagt man wirklich „Ja“ zu Gott. Und jedes „Ja“ bringt Frucht, da es in einen größeren Plan einwilligt, von dem wir nur Ausschnitte wahrnehmen, den aber der göttliche Künstler kennt und weiterführt, um jedes Leben zu einem Meisterwerk zu machen. In diesem Sinne stellt der heilige Josef ein Musterbeispiel für das Annehmen der Pläne Gottes dar. Es handelt sich bei ihm jedoch um ein aktives Annehmen: Niemals gibt er auf oder ergibt er sich, er »ist kein passiv resignierter Mann. Er ist ein mutiger und starker Protagonist« (Apostolisches Schreiben Patris corde, 4). Möge er allen helfen, besonders den jungen Menschen bei ihren Entscheidungen, die Träume, die Gott für sie hat, zu verwirklichen; möge er den mutigen Unternehmungsgeist erwecken, „Ja“ zum Herrn zu sagen, der immer überrascht und nie enttäuscht!

Ein zweites Wort kennzeichnet den Weg des heiligen Josef und seiner Berufung: Dienst. Aus den Evangelien geht hervor, wie er ganz für andere und nie für sich selbst lebte. Das heilige Volk Gottes nennt ihn keuschester Bräutigam und offenbart damit seine Fähigkeit zu lieben, ohne etwas für sich zu behalten. Indem er die Liebe von jeder Form des Besitzens befreite, öffnete er sich nämlich für einen noch fruchtbareren Dienst: Seine liebevolle Fürsorge erstreckt sich über die Generationen hinweg, seine aufmerksame Obhut ließ ihn zum Schutzpatron der Kirche werden. Er ist auch der Patron eines guten Todes, denn er wusste die Selbstlosigkeit des Lebens zu verkörpern. Sein Dienst und seine Opfer waren jedoch nur möglich, weil sie von einer größeren Liebe getragen wurden: »Jede wahre Berufung kommt aus der Selbsthingabe, die die reifere Form des bloßen Opfers ist. Auch im Priestertum und im geweihten Leben ist diese Art von Reife erforderlich. Dort, wo eine eheliche, zölibatäre oder jungfräuliche Berufung nicht die Reife der Selbsthingabe erreicht und allein bei der Logik des Opfers stehen bleibt, wird sie kaum zu einem Zeichen für die Schönheit und die Freude der Liebe werden, sondern womöglich den Eindruck von Unglück, Traurigkeit und Frustration erwecken« (ebd., 7).

Der Dienst, konkreter Ausdruck der Selbsthingabe, war für den heiligen Josef nicht nur ein erhabenes Ideal, sondern gehörte zum täglichen Leben. Er bemühte sich, einen Ort für die Geburt Jesu zu finden und entsprechend herzurichten; er tat alles, um ihn vor der Wut des Herodes zu schützen und organisierte eine rechtzeitige Reise nach Ägypten; er kehrte unverzüglich nach Jerusalem zurück, um den verlorenen Jesus zu suchen; er unterhielt seine Familie durch seine Arbeit auch in einem fremden Land. Mit einem Wort, er passte sich den verschiedenen Umständen an mit der Haltung eines Menschen, der nicht den Mut verliert, wenn das Leben nicht so verläuft, wie er es sich wünscht, mit der Bereitschaft dessen, der lebt, um zu dienen. In diesem Geist nahm Josef die zahlreichen und oft unvorhergesehenen Reisen seines Lebens auf sich: von Nazaret nach Betlehem zur Volkszählung, dann nach Ägypten und wieder nach Nazaret sowie Jahr für Jahr nach Jerusalem – jedes Mal gewillt, neuen Umständen zu begegnen, ohne darüber zu klagen, was passierte, und bereit, Hand anzulegen, um die Situationen in Ordnung zu bringen. Man könnte sagen, dass er die ausgestreckte Hand des himmlischen Vaters für seinen Sohn auf Erden war. Er kann also nur ein Vorbild für alle Berufungen sein, die eben dazu gerufen sind, die eifrigen Hände des Vaters für seine Söhne und Töchter zu sein.

Gerne denke ich also an den heiligen Josef, den Beschützer Jesu und der Kirche, als den Hüter der Berufungen. Von seiner Bereitschaft zu dienen rührt nämlich seine Sorgfalt beim Behüten her. »Da stand Josef auf und floh in der Nacht mit dem Kind und dessen Mutter« (Mt 2,14), sagt das Evangelium und zeigt damit seine Bereitschaft und Hingabe für die Familie an. Er vergeudete keine Zeit damit, sich darüber aufzuregen, was nicht in Ordnung war, um die, die ihm anvertraut waren, nicht zu vernachlässigen. Diese wache und aufmerksame Sorge ist das Zeichen für eine gelungene Berufung. Sie ist das Zeugnis eines Lebens, das von der Liebe Gottes berührt wurde. Welch schönes Beispiel eines christlichen Lebens bieten wir, wenn wir nicht verbissen unsere Ambitionen verfolgen und uns nicht von unserer Sehnsucht nach früheren Zeiten lähmen lassen, sondern uns um das kümmern, was der Herr uns durch die Kirche anvertraut! Dann gießt Gott seinen Geist, seine schöpferische Kraft, über uns aus und wirkt er Wunder wie bei Josef.

Neben dem Ruf Gottes – der unsere größten Träume erfüllt – und unserer Antwort – die sich im bereitwilligen Dienst und in der aufmerksamen Sorge verwirklicht – gibt es einen dritten Aspekt, der sich durch das Leben des heiligen Josef und die christliche Berufung zieht und ihren Alltag prägt: die Treue. Josef ist »gerecht« (Mt 1,19), in der arbeitsamen Stille eines jeden Tages hält er sich beharrlich an Gott und seine Pläne. In einem besonders schwierigen Moment fängt er an, „über alles nachzudenken“ (vgl. V. 20). Er sinnt nach, überlegt: Er lässt sich nicht von der Eile beherrschen; er gibt nicht der Versuchung nach, vorschnelle Entscheidungen zu treffen; er handelt nicht impulsiv und lebt nicht nach dem Augenblick. Alles verrichtet er in Geduld. Er weiß, dass man die Existenz nur auf einem steten Festhalten an großen Entscheidungen aufbaut. Dies entspricht dem duldsamen und beständigen Fleiß, mit dem er den bescheidenen Beruf des Zimmermanns ausübte (vgl. Mt 13,55). Damit füllte er nicht die Chroniken seiner Zeit, sondern beeinflusste den Alltag eines jeden Vaters, eines jeden Arbeiters, eines jeden Christen durch die Jahrhunderte hindurch. Denn wie das Leben reift auch die Berufung nur in der Treue eines jeden Tages.

Wie wird diese Treue genährt? – Im Licht der Treue Gottes. Die ersten Worte, die der heilige Josef im Traum vernahm, bestanden in der Aufforderung, sich nicht zu fürchten, denn Gott ist seinen Verheißungen treu: »Josef, Sohn Davids, fürchte dich nicht« (Mt 1,20). Fürchte dich nicht: Diese Worte richtet der Herr auch an dich, liebe Schwester, und an dich, lieber Bruder, wenn du trotz deiner Unsicherheiten und deines Zögerns spürst, dass du den Wunsch, ihm dein Leben zu schenken, nicht mehr aufschieben kannst. Diese Worte sagt er immer wieder zu dir, wenn du dort, wo du dich befindest, vielleicht inmitten von Prüfungen und Missverständnissen, jeden Tag darum ringst, seinem Willen zu folgen. Diese Worte entdeckst du wieder neu, wenn du auf dem Weg des Rufes zu deiner ersten Liebe zurückkehrst. Wie ein Refrain begleiten diese Worte alle, die wie der heilige Josef mit ihrem Leben Ja zu Gott sagen: in der Treue eines jeden Tages.

Diese Treue ist das Geheimnis der Freude. Im Haus von Nazaret, so sagt ein liturgischer Hymnus, herrschte „eine klare Freude“. Es war die tägliche und ehrliche Freude der Einfachheit, die Freude dessen, der das bewahrt, was zählt: die treue Nähe zu Gott und zum Nächsten. Wie schön wäre es, wenn die gleiche einfache und strahlende, schlichte und hoffnungsvolle Atmosphäre unsere Seminare, unsere Ordensinstitute, unsere Pfarrhäuser durchdringen würde! Diese Freude wünsche ich euch, liebe Brüder und Schwestern, die ihr großherzig Gott zum Traum eures Lebens gemacht habt, um ihm in den Brüdern und Schwestern, die eurer Obhut anvertraut sind, zu dienen, und dies in einer Treue, die an und für sich schon ein Zeugnis ist, und in einer Zeit, die von flüchtigen Entscheidungen und Gefühlen geprägt ist, die verblassen, ohne Freude zu hinterlassen. Der heilige Josef, der Hüter der Berufungen, begleite euch mit väterlichem Herzen!

Rom, St. Johannes im Lateran, am 19. März 2021, Hochfest des heiligen Josef

FRANZISKUS

[00356-DE.01] [Originalsprache: Italienisch]

 

Traduzione in lingua spagnola

San José: el sueño de la vocación

Queridos hermanos y hermanas:

El pasado 8 de diciembre, con motivo del 150.º aniversario de la declaración de san José como Patrono de la Iglesia universal, comenzó el Año dedicado especialmente a él (cf. Decreto de la Penitenciaría Apostólica, 8 de diciembre de 2020). Por mi parte, escribí la Carta apostólica Patris corde para «que crezca el amor a este gran santo». Se trata, en efecto, de una figura extraordinaria, y al mismo tiempo «tan cercana a nuestra condición humana». San José no impactaba, tampoco poseía carismas particulares ni aparecía importante a la vista de los demás. No era famoso y tampoco se hacía notar, los Evangelios no recogen ni una sola palabra suya. Sin embargo, con su vida ordinaria, realizó algo extraordinario a los ojos de Dios.

Dios ve el corazón (cf. 1 Sam 16,7) y en san José reconoció un corazón de padre, capaz de dar y generar vida en lo cotidiano. Las vocaciones tienden a esto: a generar y regenerar la vida cada día. El Señor quiere forjar corazones de padres, corazones de madres; corazones abiertos, capaces de grandes impulsos, generosos en la entrega, compasivos en el consuelo de la angustia y firmes en el fortalecimiento de la esperanza. Esto es lo que el sacerdocio y la vida consagrada necesitan, especialmente hoy, en tiempos marcados por la fragilidad y los sufrimientos causados también por la pandemia, que ha suscitado incertidumbre y miedo sobre el futuro y el mismo sentido de la vida. San José viene a nuestro encuentro con su mansedumbre, como santo de la puerta de al lado; al mismo tiempo, su fuerte testimonio puede orientarnos en el camino.

San José nos sugiere tres palabras clave para nuestra vocación. La primera es sueño. Todos en la vida sueñan con realizarse. Y es correcto que tengamos grandes expectativas, metas altas antes que objetivos efímeros —como el éxito, el dinero y la diversión—, que no son capaces de satisfacernos. De hecho, si pidiéramos a la gente que expresara en una sola palabra el sueño de su vida, no sería difícil imaginar la respuesta: “amor”. Es el amor el que da sentido a la vida, porque revela su misterio. La vida, en efecto, sólo se tiene si se da, sólo se posee verdaderamente si se entrega plenamente. San José tiene mucho que decirnos a este respecto porque, a través de los sueños que Dios le inspiró, hizo de su existencia un don.

Los Evangelios narran cuatro sueños (cf. Mt 1,20; 2,13.19.22). Eran llamadas divinas, pero no fueron fáciles de acoger. Después de cada sueño, José tuvo que cambiar sus planes y arriesgarse, sacrificando sus propios proyectos para secundar los proyectos misteriosos de Dios. Él confió totalmente. Pero podemos preguntarnos: “¿Qué era un sueño nocturno para depositar en él tanta confianza?”. Aunque en la antigüedad se le prestaba mucha atención, seguía siendo poco ante la realidad concreta de la vida. A pesar de todo, san José se dejó guiar por los sueños sin vacilar. ¿Por qué? Porque su corazón estaba orientado hacia Dios, ya estaba predispuesto hacia Él. A su vigilante “oído interno” sólo le era suficiente una pequeña señal para reconocer su voz. Esto también se aplica a nuestras llamadas. A Dios no le gusta revelarse de forma espectacular, forzando nuestra libertad. Él nos da a conocer sus planes con suavidad, no nos deslumbra con visiones impactantes, sino que se dirige a nuestra interioridad delicadamente, acercándose íntimamente a nosotros y hablándonos por medio de nuestros pensamientos y sentimientos. Y así, como hizo con san José, nos propone metas altas y sorprendentes.

Los sueños condujeron a José a aventuras que nunca habría imaginado. El primero desestabilizó su noviazgo, pero lo convirtió en padre del Mesías; el segundo lo hizo huir a Egipto, pero salvó la vida de su familia; el tercero anunciaba el regreso a su patria y el cuarto le hizo cambiar nuevamente sus planes llevándolo a Nazaret, el mismo lugar donde Jesús iba a comenzar la proclamación del Reino de Dios. En todas estas vicisitudes, la valentía de seguir la voluntad de Dios resultó victoriosa. Así pasa en la vocación: la llamada divina siempre impulsa a salir, a entregarse, a ir más allá. No hay fe sin riesgo. Sólo abandonándose confiadamente a la gracia, dejando de lado los propios planes y comodidades se dice verdaderamente “sí” a Dios. Y cada “sí” da frutos, porque se adhiere a un plan más grande, del que sólo vislumbramos detalles, pero que el Artista divino conoce y lleva adelante, para hacer de cada vida una obra maestra. En este sentido, san José representa un icono ejemplar de la acogida de los proyectos de Dios. Pero su acogida es activa, nunca renuncia ni se rinde, «no es un hombre que se resigna pasivamente. Es un protagonista valiente y fuerte» (Carta ap. Patris corde, 4). Que él ayude a todos, especialmente a los jóvenes en discernimiento, a realizar los sueños que Dios tiene para ellos; que inspire la iniciativa valiente para decir “sí” al Señor, que siempre sorprende y nunca decepciona.

La segunda palabra que marca el itinerario de san José y de su vocación es servicio. Se desprende de los Evangelios que vivió enteramente para los demás y nunca para sí mismo. El santo Pueblo de Dios lo llama esposo castísimo, revelando así su capacidad de amar sin retener nada para sí. Liberando el amor de su afán de posesión, se abrió a un servicio aún más fecundo, su cuidado amoroso se ha extendido a lo largo de las generaciones y su protección solícita lo ha convertido en patrono de la Iglesia. También es patrono de la buena muerte, él que supo encarnar el sentido oblativo de la vida. Sin embargo, su servicio y sus sacrificios sólo fueron posibles porque estaban sostenidos por un amor más grande: «Toda vocación verdadera nace del don de sí mismo, que es la maduración del simple sacrificio. También en el sacerdocio y la vida consagrada se requiere este tipo de madurez. Cuando una vocación, ya sea en la vida matrimonial, célibe o virginal, no alcanza la madurez de la entrega de sí misma deteniéndose sólo en la lógica del sacrificio, entonces en lugar de convertirse en signo de la belleza y la alegría del amor corre el riesgo de expresar infelicidad, tristeza y frustración» (ibíd., 7).

Para san José el servicio, expresión concreta del don de sí mismo, no fue sólo un ideal elevado, sino que se convirtió en regla de vida cotidiana. Él se esforzó por encontrar y adaptar un lugar para que naciera Jesús, hizo lo posible por defenderlo de la furia de Herodes organizando un viaje repentino a Egipto, se apresuró a regresar a Jerusalén para buscar a Jesús cuando se había perdido y mantuvo a su familia con el fruto de su trabaja, incluso en tierra extranjera. En definitiva, se adaptó a las diversas circunstancias con la actitud de quien no se desanima si la vida no va como él quiere, con la disponibilidad de quien vive para servir. Con este espíritu, José emprendió los numerosos y a menudo inesperados viajes de su vida: de Nazaret a Belén para el censo, después a Egipto y de nuevo a Nazaret, y cada año a Jerusalén, con buena disposición para enfrentarse en cada ocasión a situaciones nuevas, sin quejarse de lo que ocurría, dispuesto a echar una mano para arreglar las cosas. Se podría decir que era la mano tendida del Padre celestial hacia su Hijo en la tierra. Por eso, no puede más que ser un modelo para todas las vocaciones, que están llamadas a ser las manos diligentes del Padre para sus hijos e hijas.

Me gusta pensar entonces en san José, el custodio de Jesús y de la Iglesia, como custodio de las vocaciones. Su atención en la vigilancia procede, en efecto, de su disponibilidad para servir. «Se levantó, tomó de noche al niño y a su madre» (Mt 2,14), dice el Evangelio, señalando su premura y dedicación a la familia. No perdió tiempo en analizar lo que no funcionaba bien, para no quitárselo a quien tenía a su cargo. Este cuidado atento y solícito es el signo de una vocación realizada, es el testimonio de una vida tocada por el amor de Dios. ¡Qué hermoso ejemplo de vida cristiana damos cuando no perseguimos obstinadamente nuestras propias ambiciones y no nos dejamos paralizar por nuestras nostalgias, sino que nos ocupamos de lo que el Señor nos confía por medio de la Iglesia! Así, Dios derrama sobre nosotros su Espíritu, su creatividad; y hace maravillas, como en José.

Además de la llamada de Dios —que cumple nuestros sueños más grandes— y de nuestra respuesta —que se concreta en el servicio disponible y el cuidado atento—, hay un tercer aspecto que atraviesa la vida de san José y la vocación cristiana, marcando el ritmo de lo cotidiano: la fidelidad. José es el «hombre justo» (Mt 1,19), que en el silencio laborioso de cada día persevera en su adhesión a Dios y a sus planes. En un momento especialmente difícil se pone a “considerar todas las cosas” (cf. v. 20). Medita, reflexiona, no se deja dominar por la prisa, no cede a la tentación de tomar decisiones precipitadas, no sigue sus instintos y no vive sin perspectivas. Cultiva todo con paciencia. Sabe que la existencia se construye sólo con la continua adhesión a las grandes opciones. Esto corresponde a la laboriosidad serena y constante con la que desempeñó el humilde oficio de carpintero (cf. Mt 13,55), por el que no inspiró las crónicas de la época, sino la vida cotidiana de todo padre, de todo trabajador y de todo cristiano a lo largo de los siglos. Porque la vocación, como la vida, sólo madura por medio de la fidelidad de cada día.

¿Cómo se alimenta esta fidelidad? A la luz de la fidelidad de Dios. Las primeras palabras que san José escuchó en sueños fueron una invitación a no tener miedo, porque Dios es fiel a sus promesas: «José, hijo de David, no temas» (Mt 1,20). No temas: son las palabras que el Señor te dirige también a ti, querida hermana, y a ti, querido hermano, cuando, aun en medio de incertidumbres y vacilaciones, sientes que ya no puedes postergar el deseo de entregarle tu vida. Son las palabras que te repite cuando, allí donde te encuentres, quizás en medio de pruebas e incomprensiones, luchas cada día por cumplir su voluntad. Son las palabras que redescubres cuando, a lo largo del camino de la llamada, vuelves a tu primer amor. Son las palabras que, como un estribillo, acompañan a quien dice sí a Dios con su vida como san José, en la fidelidad de cada día.

Esta fidelidad es el secreto de la alegría. En la casa de Nazaret, dice un himno litúrgico, había «una alegría límpida». Era la alegría cotidiana y transparente de la sencillez, la alegría que siente quien custodia lo que es importante: la cercanía fiel a Dios y al prójimo. ¡Qué hermoso sería si la misma atmósfera sencilla y radiante, sobria y esperanzadora, impregnara nuestros seminarios, nuestros institutos religiosos, nuestras casas parroquiales! Es la alegría que deseo para ustedes, hermanos y hermanas que generosamente han hecho de Dios el sueño de sus vidas, para servirlo en los hermanos y en las hermanas que les han sido confiados, mediante una fidelidad que es ya en sí misma un testimonio, en una época marcada por opciones pasajeras y emociones que se desvanecen sin dejar alegría. Que san José, custodio de las vocaciones, los acompañe con corazón de padre.

Roma, San Juan de Letrán, 19 de marzo de 2021, Solemnidad de San José

FRANCISCO

[00356-ES.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

São José: o sonho da vocação

Queridos irmãos e irmãs!

No dia 8 de dezembro passado, teve início o Ano especial dedicado a São José, por ocasião do 150º aniversário da declaração dele como Padroeiro da Igreja universal (cf. Decreto da Penitenciaria Apostólica, 8 de dezembro de 2020). Da parte minha, escrevi a carta apostólica Patris corde, com o objetivo de «aumentar o amor por este grande Santo» (concl.). Trata-se realmente duma figura extraordinária e, ao mesmo tempo, «tão próxima da condição humana de cada um de nós» (introd.). São José não sobressaía, não estava dotado de particulares carismas, não se apresentava especial aos olhos de quem se cruzava com ele. Não era famoso, nem se fazia notar: dele, os Evangelhos não transcrevem uma palavra sequer. Contudo, através da sua vida normal, realizou algo de extraordinário aos olhos de Deus.

Deus vê o coração (cf. 1 Sam 16, 7) e, em São José, reconheceu um coração de pai, capaz de dar e gerar vida no dia a dia. É isto mesmo que as vocações tendem a fazer: gerar e regenerar vidas todos os dias. O Senhor deseja moldar corações de pais, corações de mães: corações abertos, capazes de grandes ímpetos, generosos na doação, compassivos para consolar as angústias e firmes para fortalecer as esperanças. Disto mesmo têm necessidade o sacerdócio e a vida consagrada, particularmente nos dias de hoje, nestes tempos marcados por fragilidades e tribulações devidas também à pandemia que tem suscitado incertezas e medos sobre o futuro e o próprio sentido da vida. São José vem em nossa ajuda com a sua mansidão, como Santo ao pé da porta; simultaneamente pode, com o seu forte testemunho, guiar-nos no caminho.

A vida de São José sugere-nos três palavras-chave para a vocação de cada um. A primeira é sonho. Todos sonham realizar-se na vida. E é justo nutrir aspirações grandes, expectativas altas, que objetivos efémeros como o sucesso, a riqueza e a diversão não conseguem satisfazer. Realmente, se pedíssemos às pessoas para traduzirem numa só palavra o sonho da sua vida, não seria difícil imaginar a resposta: «amor». É o amor que dá sentido à vida, porque revela o seu mistério. Pois só se tem a vida que se , só se possui de verdade a vida que se doa plenamente. A este propósito, muito nos tem a dizer São José, pois, através dos sonhos que Deus lhe inspirou, fez da sua existência um dom.

Os Evangelhos falam de quatro sonhos (cf. Mt 1, 20; 2, 13.19.22). Apesar de serem chamadas divinas, não eram fáceis de acolher. Depois de cada um dos sonhos, José teve de alterar os seus planos e entrar em jogo para executar os misteriosos projetos de Deus, sacrificando os próprios. Confiou plenamente. Podemos perguntar-nos: «Que era um sonho noturno, para o seguir com tanta confiança?» Por mais atenção que se lhe pudesse prestar na antiguidade, valia sempre muito pouco quando comparado com a realidade concreta da vida. Todavia São José deixou-se guiar decididamente pelos sonhos. Porquê? Porque o seu coração estava orientado para Deus, estava já predisposto para Ele. Para o seu vigilante «ouvido interior» era suficiente um pequeno sinal para reconhecer a voz divina. O mesmo se passa com a nossa vocação: Deus não gosta de Se revelar de forma espetacular, forçando a nossa liberdade. Transmite-nos os seus projetos com mansidão; não nos ofusca com visões esplendorosas, mas dirige-Se delicadamente à nossa interioridade, entrando no nosso íntimo e falando-nos através dos nossos pensamentos e sentimentos. E assim nos propõe, como fez com São José, metas elevadas e surpreendentes.

Na realidade, os sonhos introduziram José em aventuras que nunca teria imaginado. O primeiro perturbou o seu noivado, mas tornou-o pai do Messias; o segundo fê-lo fugir para o Egito, mas salvou a vida da sua família. Depois do terceiro, que ordenava o regresso à pátria, vem o quarto que o levou a mudar os planos, fazendo-o seguir para Nazaré, onde precisamente Jesus havia de começar o anúncio do Reino de Deus. Por conseguinte, em todos estes transtornos, revelou-se vitoriosa a coragem de seguir a vontade de Deus. Assim acontece na vocação: a chamada divina impele sempre a sair, a dar-se, a ir mais além. Não há fé sem risco. Só abandonando-se confiadamente à graça, deixando de lado os próprios programas e comodidades, é que se diz verdadeiramente «sim» a Deus. E cada «sim» produz fruto, porque adere a um desígnio maior, do qual entrevemos apenas alguns detalhes, mas que o Artista divino conhece e desenvolve para fazer de cada vida uma obra-prima. Neste sentido, São José constitui um ícone exemplar do acolhimento dos projetos de Deus. Trata-se, porém, de um acolhimento ativo, nunca de abdicação nem capitulação; ele «não é um homem resignado passivamente. O seu protagonismo é corajoso e forte» (Carta ap. Patris corde, 4). Que ele ajude a todos, sobretudo aos jovens em discernimento, a realizar os sonhos que Deus tem para cada um; inspire a corajosa intrepidez de dizer «sim» ao Senhor, que sempre surpreende e nunca desilude!

Uma segunda palavra marca o itinerário de São José e da vocação: serviço. Dos Evangelhos, resulta como ele viveu em tudo para os outros e nunca para si mesmo. O Povo santo de Deus chama-lhe castíssimo esposo, desvendando assim a sua capacidade de amar sem nada reservar para si próprio. Libertando o amor de qualquer posse, abriu-se realmente a um serviço ainda mais fecundo: o seu cuidado amoroso atravessou as gerações, a sua custódia solícita tornou-o patrono da Igreja. Ele que soube encarnar o sentido oblativo da vida, é também patrono da boa-morte. Contudo o seu serviço e os seus sacrifícios só foram possíveis, porque sustentados por um amor maior: «Toda a verdadeira vocação nasce do dom de si mesmo, que é a maturação do simples sacrifício. Mesmo no sacerdócio e na vida consagrada, requer-se este género de maturidade. Quando uma vocação matrimonial, celibatária ou virginal não chega à maturação do dom de si mesmo, detendo-se apenas na lógica do sacrifício, então, em vez de significar a beleza e a alegria do amor, corre o risco de exprimir infelicidade, tristeza e frustração» (Ibid., 7).

O serviço, expressão concreta do dom de si mesmo, não foi para São José apenas um alto ideal, mas tornou-se regra da vida diária. Empenhou-se para encontrar e adaptar um alojamento onde Jesus pudesse nascer; prodigalizou-se para O defender da fúria de Herodes, apressando-se a organizar a viagem para o Egito; voltou rapidamente a Jerusalém à procura de Jesus que tinham perdido; sustentou a família trabalhando, mesmo em terra estrangeira. Em resumo, adaptou-se às várias circunstâncias com a atitude de quem não desanima se a vida não lhe corre como queria: com a disponibilidade de quem vive para servir. Com este espírito, José empreendeu as viagens numerosas e muitas vezes imprevistas da vida: de Nazaré a Belém para o recenseamento, em seguida para Egito, depois para Nazaré e, anualmente, a Jerusalém, sempre pronto a enfrentar novas circunstâncias, sem se lamentar do que sucedia, mas disponível para dar uma mão a fim de reajustar as situações. Pode-se dizer que foi a mão estendida do Pai Celeste para o seu Filho na terra. Assim não pode deixar de ser modelo para todas as vocações, que a isto mesmo são chamadas: ser as mãos operosas do Pai em prol dos seus filhos e filhas.

Por isso gosto de pensar em São José, guardião de Jesus e da Igreja, como guardião das vocações. Com efeito, da própria disponibilidade em servir, deriva o seu cuidado em guardar. «Levantou-se de noite, tomou o menino e sua mãe» (Mt 2, 14): refere o Evangelho, indicando a sua disponibilidade e dedicação à família. Não perdeu tempo a cismar sobre o que estava errado, para não o subtrair a quem lhe estava confiado. Este cuidado atento e solícito é o sinal duma vocação realizada. É o testemunho duma vida tocada pelo amor de Deus. Que belo exemplo de vida cristã oferecemos quando não seguimos obstinadamente as nossas ambições nem nos deixamos paralisar pelas nossas nostalgias, mas cuidamos de quanto nos confia o Senhor, por meio da Igreja! Então Deus derrama o seu Espírito, a sua criatividade sobre nós; e realiza maravilhas, como em José.

Além da chamada de Deus – que realiza os nossos sonhos maiores – e da nossa resposta – que se concretiza no serviço pronto e no cuidado carinhoso –, há um terceiro aspeto que atravessa a vida de São José e a vocação cristã, cadenciando o seu dia a dia: a fidelidade. José é o «homem justo» (Mt 1, 19) que, no trabalho silencioso de cada dia, persevera na adesão a Deus e aos seus desígnios. Num momento particularmente difícil, detém-se «a pensar» em tudo (cf. Mt 1, 20). Medita, pondera: não se deixa dominar pela pressa, não cede à tentação de tomar decisões precipitadas, não segue o instinto nem se cinge àquele instante. Tudo repassa com paciência. Sabe que a existência se constrói apenas sobre uma contínua adesão às grandes opções. Isto corresponde à laboriosidade calma e constante com que desempenhou a profissão humilde de carpinteiro (cf. Mt 13, 55), pela qual inspirou, não as crónicas da época, mas a vida quotidiana de cada pai, cada trabalhador, cada cristão ao longo dos séculos. Porque a vocação, como a vida, só amadurece através da fidelidade de cada dia.

Como se alimenta esta fidelidade? À luz da fidelidade de Deus. As primeiras palavras recebidas em sonho por São José foram o convite a não ter medo, porque Deus é fiel às suas promessas: «José, filho de David, não temas» (Mt 1, 20). Não temas: são estas as palavras que o Senhor dirige também a ti, querida irmã, e a ti, querido irmão, quando, por entre incertezas e hesitações, sentes como inadiável o desejo de Lhe doar a vida. São as palavras que te repete quando no lugar onde estás, talvez no meio de dificuldades e incompreensões, te esforças por seguir diariamente a sua vontade. São as palavras que descobres quando, ao longo do itinerário da chamada, retornas ao primeiro amor. São as palavras que, como um refrão, acompanham quem diz sim a Deus com a vida como São José: na fidelidade de cada dia.

Esta fidelidade é o segredo da alegria. Como diz um hino litúrgico, na casa de Nazaré reinava «uma alegria cristalina». Era a alegria diária e transparente da simplicidade, a alegria que sente quem guarda o que conta: a proximidade fiel a Deus e ao próximo. Como seria belo se a mesma atmosfera simples e radiosa, sóbria e esperançosa, permeasse os nossos seminários, os nossos institutos religiosos, as nossas residências paroquiais! É a alegria que vos desejo a vós, irmãos e irmãs que generosamente fizestes de Deus o sonho da vida, para O servir nos irmãos e irmãs que vos estão confiados, através duma fidelidade que em si mesma já é testemunho, numa época marcada por escolhas passageiras e emoções que desaparecem sem gerar a alegria. São José, guardião das vocações, vos acompanhe com coração de pai!

Roma, São João de Latrão, 19 de março de 2021, Solenidade de São José

FRANCISCO

[00356-PO.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Święty Józef: Marzenie Powołania

Drodzy Bracia i Siostry!

8 grudnia ubiegłego roku, z okazji 150. rocznicy ogłoszenia św. Józefa patronem Kościoła powszechnego, rozpoczął się specjalny Rok jemu poświęcony (por. Dekret Penitencjarii Apostolskiej z 8 grudnia 2020 r.). Ze swej strony napisałem List apostolski Patris corde, aby „wzbudzić większą miłość dla tego wielkiego Świętego”. Jest on bowiem postacią niezwykłą, a jednocześnie „tak bliską ludzkiej kondycji każdego z nas”. Święty Józef nie zadziwiał, nie był obdarzony szczególnymi charyzmatami, nie wydawał się wyjątkowy w oczach tych, którzy go spotykali. Nie był sławny i nie zwracał na siebie uwagi: Ewangelie nie odnotowują ani jednego jego słowa. A jednak, poprzez swoje zwyczajne życie, uczynił coś niezwykłego w oczach Boga.

Bóg patrzy na serce (por. 1 Sm 16, 7) i w św. Józefie rozpoznał serce ojca, zdolne do dawania i odradzania życia w codzienności. Do tego zmierzają powołania: do rodzenia i odradzania życia każdego dnia. Pan pragnie kształtować serca ojców, serca matek: serca otwarte, zdolne do wielkiego zaangażowania, hojne w dawaniu siebie, współczujące w pocieszaniu smutków i mocne, aby umacniać nadzieje. Tego właśnie potrzebuje kapłaństwo i życie konsekrowane, zwłaszcza dzisiaj, w czasach naznaczonych słabością i cierpieniem, także z powodu pandemii, która rodzi niepewność i lęk, co do przyszłości i samego sensu życia. Święty Józef wychodzi nam na spotkanie ze swoją łagodnością, jako święty z sąsiedztwa; jednocześnie jego mocne świadectwo może wyznaczyć nam kierunek na naszej drodze.

Św. Józef sugeruje nam trzy słowa klucze dotyczące powołania każdego z nas. Pierwszym z nich jest sen-marzenie. Wszyscy w życiu marzą o spełnieniu. I słuszne jest karmienie wielkich oczekiwań, wzniosłych perspektyw, których nie są w stanie zaspokoić ulotne cele, takie jak sukces, pieniądze czy rozrywka. Istotnie, gdybyśmy poprosili ludzi o wyrażenie w jednym słowie marzenia o życiu, nietrudno byłoby wyobrazić sobie odpowiedź: „miłość”. A to właśnie miłość nadaje sens życiu, ponieważ objawia jego tajemnicę. Życie bowiem posiadamy naprawdę jedynie tylko wówczas, gdy je w pełni dajemy. Św. Józef ma nam wiele do powiedzenia w tym względzie, ponieważ poprzez sny, które wzbudził w nim Bóg, uczynił swoje życie darem.

Ewangelie opowiadają o czterech snach (por. Mt 1, 20; 2,13.19.22). Były to boskie wezwania, ale nie było łatwo je przyjąć. Po każdym śnie Józef musiał zmieniać swoje plany i podjąć wyzwanie, poświęcając swoje własne plany, aby dostosować się do tajemniczych planów Boga. Ufał do końca. Możemy jednak zadać sobie pytanie: „Czym był sen nocny, by pokładać w nim tak wielką ufność?”. Choć w starożytności poświęcano snom wiele uwagi, to jednak był on mało istotny, w porównaniu z konkretną rzeczywistością życia. Jednak św. Józef bez wahania pozwolił się prowadzić snom. Dlaczego? Ponieważ jego serce było nakierowane na Boga, było już na Niego nastawione. Jego czujne „ucho wewnętrzne” potrzebowało tylko małego skinienia, aby rozpoznać Jego głos. Dotyczy to także naszych powołań: Bóg nie lubi objawiać się w sposób spektakularny, forsując naszą wolność. Łagodnie przekazuje nam swoje plany, nie oślepia nas świetlistymi wizjami, ale delikatnie zwraca się do naszego najgłębszego wnętrza, stając się dla nas najbliższym i przemawiając do nas poprzez nasze myśli i uczucia. I tak, jak to uczynił ze świętym Józefem, tak i nam proponuje cele wzniosłe i zaskakujące.

Istotnie, sny doprowadziły Józefa do wydarzeń, których nigdy by sobie nie wyobraził. Pierwszy zachwiał jego zaślubinami, ale uczynił go ojcem Mesjasza; drugi zmusił go do ucieczki do Egiptu, ale ocalił życie jego rodziny. Po trzecim, który zapowiadał powrót do ojczyzny, czwarty zmusił go do ponownej zmiany planów, kierując z powrotem do Nazaretu, właśnie do miejsca, w którym Jezus miał rozpocząć głoszenie królestwa Bożego. We wszystkich tych wstrząsach zwyciężała odwaga podążania za wolą Bożą. Tak właśnie dzieje się w powołaniu: Boże wezwanie zawsze popycha do wyjścia, do dawania siebie, do przekraczania siebie. Nie ma wiary bez ryzyka. Tylko ufne poddanie się łasce, odłożenie na bok własnych planów i wygód, pozwala prawdziwie powiedzieć Bogu „tak”. A każde „tak” przynosi owoce, ponieważ wpisuje się w większy plan, który widzimy zaledwie w zarysie, ale który Boski Artysta zna i realizuje, aby uczynić z każdego życia arcydzieło. W tym sensie św. Józef stanowi wzorcową ikonę akceptacji Bożych planów. Jego akceptacja jest jednak aktywna: nigdy nie rezygnuje, ani się nie poddaje, „nie jest człowiekiem biernie zrezygnowanym. Jego uczestnictwo jest mężne i znaczące” (List apost. Patris corde, 4). Oby pomagał wszystkim, a zwłaszcza ludziom młodym w rozeznawaniu, realizowaniu Bożych marzeń wobec nich; oby inspirował do odważnego przedsięwzięcia, by powiedzieć „tak” Panu, który zawsze zaskakuje i nigdy nie zawodzi!

Drugim słowem charakteryzującym drogę św. Józefa i jego powołania jest służba. Ewangelie ukazują, że on we wszystkim żył dla innych, a nigdy dla siebie. Święty lud Boży nazywa go przeczystym oblubieńcem, ujawniając w ten sposób jego zdolność do miłowania, bez zatrzymywania czegokolwiek dla siebie. Uwalniając miłość od wszelkiego zawłaszczenia, otworzył się w istocie na jeszcze bardziej owocną służbę: jego pełna miłości troska objęła całe pokolenia, jego troskliwa opieka uczyniła go patronem Kościoła. Jest on również patronem dobrej śmierci, będąc tym, który potrafił wcielić w życie sens życia jako ofiary. Jego służba i jego poświęcenie były jednak możliwe tylko dlatego, że wspierała je większa miłość: „Każde prawdziwe powołanie rodzi się z daru z siebie, który jest dojrzewaniem zwyczajnej ofiarności. Także w kapłaństwie i w życiu konsekrowanym wymagana jest tego rodzaju dojrzałość. Tam, gdzie powołanie, czy to małżeńskie, do celibatu czy też dziewicze, nie osiąga dojrzałości daru z siebie, zatrzymując się jedynie na logice ofiary, to zamiast stawać się znakiem piękna i radości miłości, może wyrażać nieszczęście, smutek i frustrację” (tamże, 7).

Służba, będąca konkretnym wyrazem daru z siebie, była dla św. Józefa nie tylko wzniosłym ideałem, ale stała się regułą codziennego życia. Pracował ciężko, aby znaleźć i zaadaptować miejsce, w którym mógłby urodzić się Jezus; uczynił wszystko, co w jego mocy, aby obronić Go przed gniewem Heroda, organizując w porę podróż do Egiptu; szybko powrócił do Jerozolimy w poszukiwaniu zaginionego Jezusa; utrzymywał swoją rodzinę, pracując, także w obcej ziemi. To znaczy, dostosowywał się do różnych okoliczności, z postawą kogoś, kto nie traci ducha, gdy życie nie układa się po jego myśli: z dyspozycyjnością kogoś, kto żyje po to, aby służyć. W tym duchu Józef podejmował liczne i często nieoczekiwane podróże swojego życia: z Nazaretu do Betlejem na spis ludności, potem do Egiptu i znowu do Nazaretu, a co roku do Jerozolimy, zawsze gotowy na nowe okoliczności, nie narzekając na to, co się wydarzyło, skłonny pomóc, aby załagodzić sytuację. Można powiedzieć, że był on ręką Ojca Niebieskiego wyciągniętą ku swemu Synowi na ziemi. Powinien on być zatem wzorem dla wszystkich powołań, które są wezwane do tego, by być pracowitymi rękoma Ojca dla jego synów i córek.

Chętnie myślę o świętym Józefie, opiekunie Jezusa i Kościoła, jako o opiekunie powołań. Z jego gotowości do służby wypływa bowiem jego troska wyrażająca się w opiece. „Wstał, wziął w nocy Dziecię i Jego Matkę” (Mt 2, 14) - mówi Ewangelia, wskazując na jego gotowość i poświęcenie dla rodziny. Nie marnował czasu na zamartwianie się tym, co było nie po jego myśli, żeby nie tracili na tym ci, którzy byli pod jego opieką. Ta wrażliwa i troskliwa opieka jest znakiem właściwie realizowanego powołania. Jest świadectwem życia dotkniętego Bożą miłością. Jakże piękny wzór życia chrześcijańskiego dajemy, kiedy nie dążymy uparcie do realizacji swoich ambicji i nie pozwalamy, by paraliżowały nas nasze tęsknoty, ale troszczymy się o to, co Pan, powierza nam za pośrednictwem Kościoła! Wtedy Bóg wylewa na nas swojego Ducha, swą kreatywność, i czyni cuda, tak, jak w przypadku Józefa.

Obok Bożego powołania - które spełnia nasze największe marzenia - i naszej odpowiedzi - która przybiera formę ochoczej służby i troskliwej opieki - jest jeszcze trzeci aspekt, który przewija się przez życie św. Józefa i powołanie chrześcijańskie, naznaczając jego codzienność: wierność. Józef jest „człowiekiem sprawiedliwym” (Mt 1,19), który w pracowitym milczeniu każdego dnia wytrwale trzyma się Boga i Jego planów. W szczególnie trudnym momencie zaczyna „rozważać wszystko” (por. w. 20). Medytuje, rozważa: nie daje się opanować pośpiechem, nie ulega pokusie podejmowania pochopnych decyzji, nie podąża za instynktem, nie żyje chwilą. Wszystko cierpliwie pielęgnuje. Wie, że życie można zbudować tylko dzięki stałej gotowości do wielkich decyzji. Odpowiada to cichemu i stałemu wysiłkowi, z jakim wykonywał skromny zawód cieśli (por. Mt 13, 55), i dlatego nie inspirował ówczesnych kronik, lecz codzienność każdego ojca, każdego robotnika, każdego chrześcijanina na przestrzeni wieków. Powołanie bowiem, podobnie jak życie, dojrzewa jedynie poprzez wierność każdego dnia.

Jak pielęgnuje się tę wierność? W świetle wierności Boga. Pierwsze słowa, które św. Józef usłyszał we śnie, były zachętą, żeby się nie lękać, ponieważ Bóg jest wierny swoim obietnicom: „Józefie, synu Dawida, nie bój się” (Mt 1, 20). Nie bój się: są to słowa, które Pan kieruje także do ciebie, droga siostro, i do ciebie, drogi bracie, gdy pomimo niepewności i wahań czujesz, że nie możesz już dłużej odkładać pragnienia oddania Jemu swojego życia. Są to słowa, które powtarza ci, gdy tam, gdzie jesteś, być może pośród trudnych doświadczeń i niezrozumienia, walczysz, aby iść za Jego wolą każdego dnia. Są to słowa, które odkrywasz na nowo, gdy na drodze powołania powracasz do swojej pierwszej miłości. Są to słowa, które jak refren towarzyszą tym, którzy mówią Bogu „tak” swoim życiem, tak jak św. Józef: w wierności każdego dnia.

Ta wierność jest tajemnicą radości. W domu w Nazarecie, jak mówi hymn liturgiczny, panowała „nieskazitelna radość”. Była to codzienna i przejrzysta radość prostoty, radość odczuwana przez tych, którzy cenią to, co się liczy: wierną bliskość wobec Boga i bliźniego. Jakże byłoby pięknie, gdyby ta sama prosta i promienna atmosfera, skromna i pełna nadziei, przenikała nasze seminaria, nasze instytuty zakonne, nasze domy parafialne! Takiej radości życzę wam, bracia i siostry, którzy wielkodusznie uczyniliście Boga marzeniem waszego życia, aby Jemu służyć w braciach i siostrach powierzonych waszej trosce, poprzez wierność, która już sama w sobie jest świadectwem, w epoce naznaczonej przemijającymi wyborami i emocjami, które gasną, nie pozostawiając radości. Niech św. Józef, opiekun powołań, towarzyszy wam z ojcowskim sercem!

Rzym, u św. Jana na Lateranie, dnia 19 marca 2021 r., w uroczystość św. Józefa.

FRANCISZEK

[00356-PL.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

رسالة البابا فرنسيس

في مناسبة اليوم العالمي الثامن والخمسين

للصلاة من أجل الدعوات 2021

القديس يوسف: حلم الدعوة

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،

في الثامن من كانون الأول/ديسمبر الماضي، في مناسبة الذكرى المائة والخمسين لإعلان القديس يوسف شفيعًا للكنيسة الجامعة، بدأنا السنة الخاصّة المكرّسة له (را. مرسوم هيئة التوبة الرسوليّة، 8 كانون الأول/ديسمبر 2020). من جهتي، وجَّهت رسالة بابويّة بعنوان "بقلب أبوي"، بهدف "تنمية المحبّة لهذا القدّيس العظيم". إنّه في الواقع شخصيّة غير عاديّة، وفي الوقت نفسه إنّه "قريب جدًّا من كلّ واحدٍ منّا في حالتنا البشرية". لم يكن في القدّيس يوسف شيء يدهش، ولا كان موهوبًا بمواهب خاصّة، ولم يَرَ فيه كلُّ من التقاه شيئًا يميِّزُه. لم يكن مشهوراً ولم يكن فيه شيءٌ يلفت الانتباه. والأناجيل لا تورد حتى ولا كلمة واحدة له. ومع ذلك، في حياته العاديّة، حقّق شيئًا غير عادي في عينَيْ الله.

يرى الله القلب (را. 1 صم 16، 7)، وفي القدّيس يوسف رأى الله قلب الأب، الذي يقدر أن يعطي ويُوَلِّد الحياة في الظروف اليوميّة العاديّة. هذا هو هدف الدعوات: أن نلد الحياة ونجدّدها كلّ يوم. يريد الله أن يكوّن قلوبَ آباء وقلوبَ أمَّهات: قلوبًا منفتحة، وقادرةً على الانطلاقات الكبيرة، سخيّةً في العطاء، رحيمةً في التعزية في الشدائد، ومتينةً ثابتة لتقوية الرجاء. إلى هذا يحتاج الكهنوت والحياة المكرّسة، خصوصًا اليوم، في الأوقات التي اتسمت بالهشاشة والمعاناة أيضًا بسبب الجائحة، ممّا أدّى إلى إثارة الشكوك والمخاوف بشأن المستقبل ومعنى الحياة نفسها. يأتي القدّيس يوسف للقائنا بوداعته، هو القدّيس الواقف إلى جانبنا. في الوقت نفسه، يمكن لشهادته القويّة أن ترشدنا في طريقنا.

يقترح القدّيس يوسف علينا ثلاث كلمات رئيسيّة، لدعوة كلّ واحد منا. الكلمة الأولى هي الحُلم. كلّ واحدٍ في هذه الحياة يحلَم أن يحقِّق ذاتَه. ومن الصّواب أن نغذّي توقعاتٍ كبيرة وتطلُّعاتٍ عَالِية، بدلَ أمورٍ عابرة لا تكفي لإشباعنا، مثل النجاح والمال والمتعة. في الواقع، لو طلبنا من الناس أن يقولوا بكلمة واحدة ما هو حُلم حياتهم، لن يكون من الصّعب تخيل الجواب، سيقولون: "الحبّ". الحبّ هو الذي يعطي الحياة معناها، لأنّه يكشف سرها. في الواقع، يملك الإنسان الحياة بقدر ما يعطيها، لا يمكن امتلاكها حقًا إلا إذا تم إعطاؤها عطاءً كاملًا. لدى القديس يوسف الكثير ليقوله لنا في هذا الموضوع، لأنّه من خلال الأحلام التي ألهمه الله إياها، جعل من حياته عطاء.

تروي الأناجيل أربعة أحلام (را. متى 1، 20؛ 2، 13. 19. 22). كانت كلُّها من الله، لكن لم يكن من السهل قبولُها. بعد كلّ حُلم، كان على يوسف أن يغيّر خططه وأن ينفِّذَ، وأن يضّحي بخططه الخاصّة ليسير بحسب أسرار الله. فقد وضع ثقته الكاملة في الله. ومع ذلك، يمكننا أن نتساءل: "ماذا كان هذا الحُلم في الليل حتى يضع فيه كلّ هذه الثقة؟" في القديم، على قَدْرِ ما كان للأحلام أهميّة كبيرة، إلّا أنَّها في الحقيقة شيء قليل أمام الواقع الملموس للحياة. ومع ذلك، فقد ترك القديس يوسف نفسه تُقاد بأحلامه دون تردّد. لماذا؟ لأنّ قلبه كان موجَّهًا نحو الله، كان قلبه مستعدًّا لقبول كلّ شيء من الله. إشارة صغيرة إلى "سماعه الداخلي" المتنبِّه كانت كافية للتعرُّف على صوت الله. ينطبق هذا أيضًا على دعوتنا: لا يحبّ الله أن يكشف عن نفسه لنا بطريقة فائقة العادة، تفرض نفسها على حريتنا. فهو ينقل خططه إلينا بوداعة. إنّه لا يرهبنا برؤى صاعقة، بل يتوجّه بنعومة إلى حياتنا الداخلية، ويجعل نفسه قريبًا منا ويكلّمنا من خلال أفكارنا ومشاعرنا. وهكذا، كما فعل مع القديس يوسف، يُقَدِّمُ لنا أهدافًا عالية ومدهشة.

دفعت الأحلام يوسف إلى مغامرات لم يكن قطُّ ليتخيلها. زعزع الحلم الأوّل استقرار خطوبته، لكنّه جعله أباً للمسيح، وجعله الحلم الثاني يهرب إلى مصر، وبذلك أنقذ حياة عائلته. بعد الحلم الثالث، الذي بشّره بعودته إلى وطنه، جعله الحلم الرابع يغيّر خططه مرة أخرى، وأعاده إلى الناصرة، حيث سيبدأ يسوع إعلان ملكوت الله. في كلّ هذه الأحداث، ثبت أنّ الشجاعة في اتباع مشيئة الله هي المنتصرة. هذا ما يحدث في الدعوة: فالدعوة الإلهيّة تدفعنا دائمًا إلى أن نخرج، وأن نعطي ذاتنا، وأن نذهب دائمًا إلى ما هو أبعد. لا يوجد إيمان بدون مجازفة. فقط إذا استسلمنا بثقة للنعمة، ووضعنا جانبًا برامجنا الخاصّة ووسائل راحتنا، يمكن أن نقول بالفعل "نَعَمْ" لله. وكلّ " نَعَمْ" تُؤْتِي ثمارًا، لأنّها تلتزم بخطة أسمى، نرى بعض تفاصيلها فقط، ولكن الفنان الإلهي يعرفها ويمضي بها قُدُماً، ليصنع من كلّ حياة تحفة فنيّة. بهذا المعنى، يُمَثِّلُ القديس يوسف أيقونة نموذجية لاستقبال خطط الله. واستقبالُه استقبالٌ فاعل، فهو لا يتنازل أو يستسلم فقط، "وليس شخصًا مذعنًا سلبيًّا. بل له شخصيّةٌ شجاعة وقويّة" (رسالة رسولية، بقلب أبوي، 4). نسأله أن يساعد الجميع، ولا سيما الشباب ليعرفوا كيف يميزون، ليحققوا أحلام الله عليهم، ويلهمهم أن يبادروا بشجاعة ليقولوا " نَعَمْ" لله الذي يفاجئ دائمًا ولا يخيب الأمل أبدًا!

الكلمة الثانية التي تحدد مسيرة القديس يوسف ودعوته هي: الخدمة. يتضح من الأناجيل كيف عاش في كلّ شيء من أجل الآخرين وليس لنفسه. دعاه شعب الله القدوس "الخطيب العفيف"، وبذلك كشف عن قدرته على المحبة دون الاحتفاظ بأي شيء لنفسه. حرّر الحبَّ من كلّ تملّك، فأصبح قادرًا على أداء خدمة أكثر خصوبة: رعايته المُحِبَّة عبرت الأجيال، وجعلته رعايته اليقظة شفيع الكنيسة. وهو أيضًا شفيع الميتة الصالحة، وقد جسَّد هو في نفسه معنى التضحية بالحياة. لكن خدمته وتضحياته كانت ممكنة، فقط لأنّ حبًّا أكبر كان يدعمهما: "كلّ دعوة حقيقية تولد من التضحية بالذات، وهي تنضيج لمفهوم الذبيحة. ويُطلَب هذا النوع من النضج أيضًا في الكهنوت والحياة المكرّسة. عندما لا تبلغ الدعوةُ، سواء كانت إلى الزواج أو العزوبيّة أو البتوليّة، هذا النضجَ في هبة الذات، وإن لم تثبت في منطق التضحية، إذّاك، بدلًا من أن تكون الدعوةُ علامة على جمال الحبّ وفرحه، توشك أن تكون تعبيرًا عن التعاسة والحزن والإحباط" (را. المرجع نفسه، 7).

الخدمة هي التعبير العملي عن التضحية بالذات. ولم تكن للقديس يوسف مجرد مِثَال أعلى، بل أصبحت قاعدة للحياة اليوميّة. فقد عمل بجد لإيجاد وتهيئة مكان يولد فيه يسوع، وبذل قصارى جهده للدفاع عنه من غضب هيرودس، فقام بسرعة بالرحيل إلى مصر. ولما فقدوا يسوع في الهيكل، سارع بالعودة إلى أورشليم بحثًا عنه، وقام بإعالة عائلته بالعمل، حتى في أرض غريبة. باختصار، تكيّف مع الظروف المختلفة، وسلك سلوك من لا ييأس إذا تعسرت معه أمور الحياة: كان دائما مستعدًّا، كمن يعيش ليخدم. بهذه الرّوح تقبَّل يوسف الرحلات العديدة، والمفاجئة غالبًا، في حياته: من الناصرة إلى بيت لحم لإجراء الإحصاء، ومن ثّم إلى مصر ومرَّة أخرى إلى الناصرة، ومرَّة في كلّ سنة إلى القدس. كان دائمًا مستعدًّا لمواجهة الظروف الجديدة، دون أن يتشكّى ممّا يحدث. كان دائمًا مستعدًا أن يمدّ يد العون لإصلاح المواقف. يمكن القول إنّه كان بمثابة يد الآب السماوي الممدودة إلى ابنه على الأرض. لذلك، لا يمكنه إلّا أن يكون المثال لكلّ الدعوات التي يُطلَبُ منها ذلك، أي أن تكون يد الأب المهتمة بأبنائه وبناته.

يروق لي أن أفكر إذن في القديس يوسف، حارسِ يسوع والكنيسة، حارسًا للدعوات. في الواقع، من استعداده للخدمة يأتي اهتمامه في الحراسة. "فقامَ فأَخَذَ الطِّفْلَ وأُمَّه" (متى 2، 14)، كما يقول الإنجيل، مشيرًا إلى استعداده وتفانيه من أجل العائلة. لم يضيّع وقتاً في الغضب على الأمور التي كانت تتعسّر أمامه، حتى لا يتهرب من مسؤوليته تجاه من اؤتمن عليه. هذا الاهتمام الدقيق والمتنبه هو علامة على دعوة ناجحة. إنّها شهادة لحياة أثرت فيها محبة الله. يا له من مثال جميل للحياة المسيحيّة نقدمه عندما لا نكابر فنتبع أطماعنا، وعندما لا نسمح لأنفسنا أن تصاب بالشلل بسبب أشواقنا ورغباتنا، بل نهتم لما يأتمننا الله عليه بواسطة الكنيسة! حينئذ يُفِيض الله روحه فينا وقوةَ إبداعِه، ويصنعُ فينا العجائب، كما صنع في يوسف.

بالإضافة إلى دعوة الله - التي تحقِّقُ أكبر أحلامنا – وبالإضافة إلى جوابنا الذي يظهر في الخدمة المستعدة لكلّ شيء، وفي العناية الساهرة - هناك جانب ثالث يملأ حياة القديس يوسف، والدعوةَ المسيحيّة، وينعش رَتابَةَ حياتنا اليومية وهو: الأمانة. كان يوسف رجلًا "بارًّا" (متى 1، 19). وفي الصمت والعمل في كلّ يوم، ثابر على التمسك بالله والطاعة لخططه. وفي اللحظة الصّعبة بشكل خاص كان يأخذ "بالتفكير في كلّ الأشياء" (را. الآية 20). يتأمل ويتروّى، ولا يسمح لنفسه أن يهيمن عليه التسرع، ولا يستسلم لتجربة اتخاذ قرارات متهورة، ولا ينقاد للغريزة، ولا يعيش تلك اللحظة فقط. بل يصنع كلّ شيء بصبر. إنّه يعلم أنّ الحياة تُبنَى بالتمسك الدائم بالخيارات الكبرى. وهذا يتَّفق مع الاجتهاد الوديع والمستمر الذي مارس به مهنة النجارة المتواضعة (را. متى 13، 55). ذلك لم يلهم مصادر الأخبار في زمنه، لكنّه يلهم الحياة اليومية لكلّ أب وكلّ عامل، وكلّ مسيحي على مر القرون. لأنّ الدعوة، مثل الحياة، تنضج بالأمانة اليومية فقط.

كيف نغذي هذه الأمانة؟ نغذيها في ضوء أمانة الله. كانت أولى الكلمات التي سمعها القديس يوسف في الحلم هي الدعوة إلى عدم الخوف، لأن الله أمين لوعوده: "يا يُوسُفَ ابنَ داود، لا تَخَفْ" (متى 1، 20). لا تَخَفْ: هذه هي الكلمات التي يوجهها الرّبّ إليكِ أيضًا، أختي العزيزة، وإليكَ، أخي العزيز، عندما تتنبه، في وسط الشكوك والتردد، أنّه لم يعد ممكنًا أن تؤجل التضحية بحياتك من أجل الله. هذه هي الكلمات التي يكررها لك عندما تجد نفسك، أينما كنت، تصارع كلّ يوم، في وسط المحن وسوء الفهم، من أجل اتباع مشيئة الله. وهذه هي الكلمات التي تعيد اكتشافها عندما تعود، على طول مسيرة دعوتك، إلى حبك الأوّل. إنّها الكلمات، التي ترافق مثل اللازمة، من يقول نعم لله في حياته، مثل القديس يوسف: من خلال الأمانة في كلّ يوم.

هذه الأمانة هي سرّ الفرح. تقول ترنيمة ليتورجية: في بيت الناصرة كان "فرح صافٍ". ذلك فرحُ كلِّ يوم، شفافٌ ببساطته، الفرحُ الذي يختبره من يحرس ما هو جدير بالاهتمام أي: القرب الأمين من الله والقريب. كم يكون جميلًا لو كان هذا الجوُّ نفسُه، البسيطُ والمُشِعُّ، القانِعُ والمليءُ بالرجاء، يملأ معاهدَنا الإكليريكية، ومؤسساتِنا الرهبانية، وبيوتَ رعايانا! إنّه الفرح الذي أتمناه لكم، أيّها الإخوة والأخوات الذين أَعطَيْتُم بسخاء وجَعَلْتم الله حُلْمَ حياتكم، لخدمته في الإخوة والأخوات الموكلين إليكم، بأمانتكم التي هي في حدِّ ذاتها شهادة، في زمن مليء بخيارات عابرة ومشاعرَ تزول دون أن تمنحَكم الفرح. ليرافقكم القديس يوسف، حارسُ الدعوات، بقلبه الأبوي!

أُعطيَت في روما، قرب القديس يوحنا في اللاتران، يوم 19 مارس/آذار 2021، في عيد القدّيس يوسف.

فرنسيس

 

[00356-AR.01] [Testo originale: Italiano]

[B0165-XX.02]