Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, 28.03.2021


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10.30 di questa mattina il Santo Padre Francesco ha presieduto, all’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Marco:

Omelia del Santo Padre

Ogni anno questa Liturgia suscita in noi un atteggiamento di stupore: passiamo dalla gioia di accogliere Gesù che entra in Gerusalemme al dolore di vederlo condannato a morte e crocifisso. È un atteggiamento interiore che ci accompagnerà in tutta la Settimana Santa. Entriamo dunque in questo stupore.

Da subito Gesù ci stupisce. La sua gente lo accoglie con solennità, ma Lui entra a Gerusalemme su un umile puledro. La sua gente attende per Pasqua il liberatore potente, ma Gesù viene per compiere la Pasqua con il suo sacrificio. La sua gente si aspetta di celebrare la vittoria sui romani con la spada, ma Gesù viene a celebrare la vittoria di Dio con la croce. Che cosa accadde a quella gente, che in pochi giorni passò dall’osannare Gesù al gridare “crocifiggilo”? Cosa è successo? Quelle persone seguivano più un’immagine di Messia, che non il Messia. Ammiravano Gesù, ma non erano pronte a lasciarsi stupire da Lui. Lo stupore è diverso dall’ammirazione. L’ammirazione può essere mondana, perché ricerca i propri gusti e le proprie attese; lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità. Anche oggi tanti ammirano Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia... e così via. Lo ammirano, ma la loro vita non cambia. Perché ammirare Gesù non basta. Occorre seguirlo sulla sua via, lasciarsi mettere in discussione da Lui: passare dall’ammirazione allo stupore.

E che cosa maggiormente stupisce del Signore e della sua Pasqua? Il fatto che Lui giunge alla gloria per la via dell’umiliazione. Egli trionfa accogliendo il dolore e la morte, che noi, succubi dell’ammirazione e del successo, eviteremmo. Gesù invece – ci ha detto san Paolo – «svuotò se stesso, […] umiliò se stesso» (Fil 2,7.8). Questo stupisce: vedere l’Onnipotente ridotto a niente. Vedere Lui, la Parola che sa tutto, ammaestrarci in silenzio sulla cattedra della croce. Vedere il re dei re che ha per trono un patibolo. Vedere il Dio dell’universo spoglio di tutto. Vederlo coronato di spine anziché di gloria. Vedere Lui, la bontà in persona, che viene insultato e calpestato. Perché tutta questa umiliazione? Perché, Signore, ti sei lasciato fare tutto questo?

Lo ha fatto per noi, per toccare fino in fondo la nostra realtà umana, per attraversare tutta la nostra esistenza, tutto il nostro male. Per avvicinarsi a noi e non lasciarci soli nel dolore e nella morte. Per recuperarci, per salvarci. Gesù sale sulla croce per scendere nella nostra sofferenza. Prova i nostri stati d’animo peggiori: il fallimento, il rifiuto di tutti, il tradimento di chi gli vuole bene e persino l’abbandono di Dio. Sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma. Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince, ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme.

Chiediamo la grazia dello stupore. La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore. Come si può testimoniare la gioia di aver incontrato Gesù, se non ci lasciamo stupire ogni giorno dal suo amore sorprendente, che ci perdona e ci fa ricominciare? Se la fede perde lo stupore diventa sorda: non sente più la meraviglia della Grazia, non sente più il gusto del Pane di vita e della Parola, non percepisce più la bellezza dei fratelli e il dono del creato. E non ha un’altra via che rifugiarsi nei legalismi, nei clericalismi e in tutte queste cose che Gesù condanna nel capitolo 23 di Matteo.

In questa Settimana Santa, alziamo lo sguardo alla croce per ricevere la grazia dello stupore. San Francesco d’Assisi, guardando il Crocifisso, si meravigliava che i suoi frati non piangessero. E noi, riusciamo ancora a lasciarci commuovere dall’amore di Dio? Perché non sappiamo più stupirci davanti a Lui? Perché? Forse perché la nostra fede è stata logorata dall’abitudine. Forse perché restiamo chiusi nei nostri rimpianti e ci lasciamo paralizzare dalle nostre insoddisfazioni. Forse perché abbiamo perso la fiducia in tutto e ci crediamo persino sbagliati. Ma dietro questi “forse” c’è il fatto che non siamo aperti al dono dello Spirito, che è Colui che ci dà la grazia dello stupore.

Ripartiamo dallo stupore; guardiamo il Crocifisso e diciamogli: “Signore, quanto mi ami! Quanto sono prezioso per Te!”. Lasciamoci stupire da Gesù per tornare a vivere, perché la grandezza della vita non sta nell’avere e nell’affermarsi, ma nello scoprirsi amati. Questa è la grandezza della vita: scoprirsi amati. E la grandezza della vita è proprio nella bellezza dell’amore. Nel Crocifisso vediamo Dio umiliato, l’Onnipotente ridotto a uno scarto. E con la grazia dello stupore capiamo che accogliendo chi è scartato, avvicinando chi è umiliato dalla vita, amiamo Gesù: perché Lui è negli ultimi, nei rifiutati, in coloro che la nostra cultura farisaica condanna.

Oggi, subito dopo la morte di Gesù, il Vangelo ci svela l’icona più bella dello stupore. È la scena del centurione, che «avendolo visto spirare in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Mc 15,39). Si è lasciato stupire dall’amore. In che modo aveva visto morire Gesù? Lo ha visto morire amando, e questo lo stupì. Soffriva, era stremato, ma continuava ad amare. Ecco lo stupore davanti a Dio, il quale sa riempire d’amore anche il morire. In questo amore gratuito e inaudito, il centurione, un pagano, trova Dio. Davvero era Figlio di Dio! La sua frase suggella la Passione. Tanti prima di lui nel Vangelo, ammirando Gesù per i suoi miracoli e prodigi, lo avevano riconosciuto Figlio di Dio, ma Cristo stesso li aveva messi a tacere, perché c’era il rischio di fermarsi all’ammirazione mondana, all’idea di un Dio da adorare e temere in quanto potente e terribile. Ora non più, sotto la croce non si può più fraintendere: Dio si è svelato e regna solo con la forza disarmata e disarmante dell’amore.

Fratelli e sorelle, oggi Dio stupisce ancora la nostra mente e il nostro cuore. Lasciamo che questo stupore ci pervada, guardiamo il Crocifisso e diciamo anche noi: “Tu sei davvero il Figlio di Dio. Tu sei il mio Dio”.

[00412-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chaque année cette liturgie suscite en nous une attitude d’étonnement: nous passons de la joie d’accueillir Jésus qui entre à Jérusalem à la douleur de le voir condamné à mort et crucifié. C’est une attitude intérieure qui nous accompagnera durant toute la Semaine Sainte. Entrons donc dans cet étonnement.

Jésus nous étonne immédiatement. Son peuple l’accueille avec solennité, mais il entre à Jérusalem sur un humble petit âne. Son peuple attend pour Pâque le libérateur puissant, mais Jésus vient pour accomplir la Pâque par son sacrifice. Son peuple s’attend à célébrer la victoire sur les romains avec l’épée, mais Jésus vient célébrer la victoire de Dieu avec la croix. Qu’est-ce qui est arrivé à ce peuple, qui en peu de jours est passé de l’acclamation de Jésus au cri “Crucifie-le”? Qu’est-ce qui s’est passé? Ces personnes suivaient plus une image du Messie que le Messie. Ils admiraient Jésus, mais ils n’étaient pas prêts à se laisser étonner par lui. L’étonnement est différent de l’admiration. L’admiration peut être mondaine, parce qu’elle recherche ses propres goûts et ses propres attentes; l’étonnement, au contraire, reste ouvert à l’autre, à sa nouveauté. Encore aujourd’hui beaucoup admirent Jésus: il a bien parlé, il a aimé et pardonné, son exemple a changé l’histoire… et ainsi de suite. Ils l’admirent, mais leur vie ne change pas. Parce qu’admirer ne suffit pas. Il faut le suivre sur son chemin, se laisser mettre en discussion par lui: passer de l’admiration à l’étonnement.

Et qu’est-ce qui étonne le plus du Seigneur et de sa Pâque? Le fait qu’il parvient à la gloire par la voie de l’humiliation. Il triomphe en accueillant la souffrance et la mort, que nous, sous l’emprise de l’admiration et du succès, éviterions. Jésus au contraire – nous a dit saint Paul – «s’est anéanti, […] s’est abaissé» (Ph 2, 7.8). Cela étonne: voir le Tout-Puissant réduit à rien. Le voir, lui la Parole qui sait tout, nous enseigner en silence sur la cathèdre de la croix. Voir le roi des rois avoir pour trône une potence. Voir le Dieu de l’univers dépouillé de tout. Le voir couronné d’épines au lieu de gloire. Le voir, lui la bonté en personne, insulté et piétiné. Pourquoi toute cette humiliation? Pourquoi, Seigneur, t’es-tu laissé faire tout cela?

Il l’a fait pour nous, pour toucher jusqu’au fond notre réalité humaine, pour traverser toute notre existence, tout notre mal. Pour s’approcher de nous et ne pas nous laisser seuls dans la souffrance et dans la mort. Pour nous récupérer, pour nous sauver. Jésus monte sur la croix pour descendre dans notre souffrance. Il éprouve nos pires états d’âme: l’échec, le refus de tous, la trahison de celui qui l’aime et même l’abandon de Dieu. Il expérimente dans sa chair nos contradictions les plus déchirantes, et ainsi les rachète, les transforme. Son amour s’approche de nos fragilités, arrive là où nous avons le plus honte. Et maintenant nous savons que nous ne sommes pas seuls: Dieu est avec nous en chaque blessure, en chaque peur: aucun mal, aucun péché n’a le dernier mot. Dieu gagne, mais la palme de la victoire passe par le bois de la croix. C’est pourquoi les palmes et la croix vont ensemble.

Demandons la grâce de l’étonnement. La vie chrétienne, sans étonnement, devient grisâtre. Comment peut-on témoigner la joie d’avoir rencontré Jésus, si nous ne nous laissons pas étonner chaque jour par son amour surprenant qui nous pardonne et nous fait recommencer? Si la foi perd l’étonnement, elle devient sourde: elle ne sent plus la merveille de la Grâce, elle ne sent plus le goût du Pain de vie et de la Parole, elle ne perçoit plus la beauté des frères et le don de la création. Elle n’a d’autre moyen que de se réfugier dans les légalismes, dans les cléricalismes et dans toutes les choses que Jésus condamne au chapitre 23 de Matthieu.

En cette Semaine Sainte, levons les yeux vers la croix pour recevoir la grâce de l’étonnement. Saint François d’Assise, en regardant le Crucifié, était surpris que ses frères ne pleuraient pas. Et nous, réussissons-nous encore à nous laisser émouvoir par l’amour de Dieu? Pourquoi ne savons-nous plus nous étonner devant lui? Pourquoi? Peut-être parce que notre foi a été usée par l’habitude. Peut-être parce que nous restons enfermés dans nos regrets et nous nous laissons paralyser par nos insatisfactions. Peut-être parce que nous avons perdu la confiance en tout et que nous croyons même que nous nous trompons. Mais derrière ces “peut-être” y-a-t-il le fait que nous ne sommes pas ouverts au don de l’Esprit, qui est celui qui nous donne la grâce de l’étonnement.

Repartons de l’étonnement; regardons le Crucifié et disons-lui: “Seigneur, comme tu m’aimes! Comme je suis précieux pour toi!”. Laissons-nous étonner par Jésus pour retourner à la vie, parce que la grandeur de la vie n’est pas dans l’avoir ni dans l’affirmation de soi, mais de se découvrir aimés. C’est la grandeur de la vie: se découvrir aimés. Et la grandeur de la vie est dans la beauté de l’amour. Dans le Crucifié nous voyons Dieu humilié, le Tout-Puissant réduit à un déchet. Et avec la grâce de l’étonnement nous comprenons qu’en accueillant celui qui est rejeté, en s’approchant de celui qui est humilié par la vie, nous aimons Jésus: parce qu’il est dans les derniers, dans les rejetés, dans ceux que notre culture pharisaïque condamne.

Aujourd’hui, immédiatement après la mort de Jésus, l’Evangile nous révèle la plus belle icône de l’étonnement. C’est la scène du centurion, qui «voyant comment il avait expiré, déclara: “Vraiment, cet homme était Fils de Dieu!”» (Mc 15, 39). Il s’est laissé étonner par l’amour. De quelle manière avait-il vu Jésus mourir? Il l’avait vu mourir en aimant, et cela l’a étonné. Il souffrait, mais il continuait à aimer. Voilà l’étonnement devant Dieu, qui sait remplir d’amour même la mort. Dans cet amour gratuit et inouï, le centurion, un païen, trouve Dieu. Vraiment il était Fils de Dieu! Sa phrase scelle la Passion. Beaucoup avant lui dans l’Evangile, en admirant Jésus pour ses miracles et prodiges, l’avaient reconnu Fils de Dieu, mais le Christ lui-même les avait fait taire, parce qu’il y avait le risque qu’ils s’arrêtent à l’admiration mondaine, à l’idée d’un Dieu à adorer et à craindre car puissant et terrible. Sous la croix, désormais, on ne peut plus mal interpréter: Dieu s’est révélé et règne avec la seule force désarmée et désarmante de l’amour.

Frères et sœurs, aujourd’hui Dieu étonne encore notre esprit et notre cœur. Laissons cet étonnement nous envahir, regardons le Crucifié et disons nous aussi: “Tu es vraiment le Fils de Dieu. Tu es mon Dieu”.

[00412-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Every year this liturgy leaves us amazed: we pass from the joy of welcoming Jesus as he enters Jerusalem to the sorrow of watching him condemned to death and then crucified. That sense of interior amazement will remain with us throughout Holy Week. Let us reflect more deeply on it.

From the start, Jesus leaves us amazed. His people give him a solemn welcome, yet he enters Jerusalem on a lowly colt. His people expect a powerful liberator at Passover, yet he comes to bring the Passover to fulfilment by sacrificing himself. His people are hoping to triumph over the Romans by the sword, but Jesus comes to celebrate God’s triumph through the cross. What happened to those people who in a few days’ time went from shouting “Hosanna” to crying out “Crucify him”? What happened? They were following an idea of the Messiah rather than the Messiah. They admired Jesus, but they did not let themselves be amazed by him. Amazement is not the same as admiration. Admiration can be worldly, since it follows its own tastes and expectations. Amazement, on the other hand, remains open to others and to the newness they bring. Even today, there are many people who admire Jesus: he said beautiful things; he was filled with love and forgiveness; his example changed history, … and so on. They admire him, but their lives are not changed. To admire Jesus is not enough. We have to follow in his footsteps, to let ourselves be challenged by him; to pass from admiration to amazement.

What is most amazing about the Lord and his Passover? It is the fact that he achieves glory through humiliation. He triumphs by accepting suffering and death, things that we, in our quest for admiration and success, would rather avoid. Jesus – as Saint Paul tells us – “emptied himself… he humbled himself” (Phil 2:7.8). This is the amazing thing: to see the Almighty reduced to nothing. To see the Word who knows all things teach us in silence from the height of the cross. To see the king of kings enthroned on a gibbet. Seeing the God of the universe stripped of everything and crowned with thorns instead of glory. To see the One who is goodness personified, insulted and beaten. Why all this humiliation? Why, Lord, did you wish to endure all this?

Jesus did it for us, to plumb the depths of our human experience, our entire existence, all our evil. To draw near to us and not abandon us in our suffering and our death. To redeem us, to save us. Jesus was lifted high on the cross in order to descend to the abyss of our suffering. He experienced our deepest sorrows: failure, loss of everything, betrayal by a friend, even abandonment by God. By experiencing in the flesh our deepest struggles and conflicts, he redeemed and transformed them. His love draws close to our frailty; it touches the very things of which we are most ashamed. Yet now we know that we are not alone: God is at our side in every affliction, in every fear; no evil, no sin will ever have the final word. God triumphs, but the palm of victory passes through the wood of the cross. For the palm and the cross are inseparable.

Let us ask for the grace to be amazed. A Christian life without amazement becomes drab and dreary. How can we talk about the joy of meeting Jesus, unless we are daily astonished and amazed by his love, which brings us forgiveness and the possibility of a new beginning? When faith no longer experiences amazement, it grows dull: it becomes blind to the wonders of grace; it can no longer taste the Bread of life and hear the Word; it can no longer perceive the beauty of our brothers and sisters and the gift of creation. It has no other course than to take refuge in legalisms, in clericalisms and in all these things that Jesus condemns in chapter 23 of the Gospel of Matthew.

During this Holy Week, let us lift our eyes to the cross, in order to receive the grace of amazement. As Saint Francis of Assisi contemplated the crucified Lord, he was amazed that his friars did not weep. What about us? Can we still be moved by God’s love? Have we lost the ability to be amazed by him? Why? Maybe our faith has grown dull from habit. Maybe we remain trapped in our regrets and allow ourselves to be crippled by our disappointments. Maybe we have lost all our trust or even feel worthless. But perhaps, behind all these “maybes”, lies the fact that we are not open to the gift of the Spirit who gives us the grace of amazement.

Let us start over from amazement. Let us gaze upon Jesus on the cross and say to him: “Lord, how much you love me! How precious I am to you!” Let us be amazed by Jesus so that we can start living again, for the grandeur of life lies not in possessions and promotions, but in realizing that we are loved. This is the grandeur of life: discovering that we are loved. And the grandeur of life lies precisely in the beauty of love. In the crucified Jesus, we see God humiliated, the Almighty dismissed and discarded. And with the grace of amazement we come to realize that in welcoming the dismissed and discarded, in drawing close to those ill-treated by life, we are loving Jesus. For that is where he is: in the least of our brothers and sisters, in the rejected and discarded, in those whom our self-righteous culture condemns.

Today’s Gospel shows us, immediately after the death of Jesus, a splendid icon of amazement. It is the scene of the centurion who, upon seeing that Jesus had died, said: “Truly this man was the Son of God!” (Mk 15:39). He was amazed by love. How did he see Jesus die? He saw him die in love, and this amazed him. Jesus suffered immensely, but he never stopped loving. This is what it is to be amazed before God, who can fill even death with love. In that gratuitous and unprecedented love, the pagan centurion found God. His words – Truly this man was the Son of God! – “seal” the Passion narrative. The Gospels tell us that many others before him had admired Jesus for his miracles and prodigious works, and had acknowledged that he was the Son of God. Yet Christ silenced them, because they risked remaining purely on the level of worldly admiration at the idea of a God to be adored and feared for his power and might. Now it can no longer be so, for at the foot of the cross there can be no mistake: God has revealed himself and reigns only with the disarmed and disarming power of love.

Brothers and sisters, today God continues to fill our minds and hearts with amazement. Let us be filled with that amazement as we gaze upon the crucified Lord. May we too say: “You are truly the Son of God. You are my God”.

[00412-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Jedes Jahr versetzt uns die Liturgie des Palmsonntags in Staunen. Die Freude, die wir beim Einzug Jesu in Jerusalem verspüren, schlägt um in Schmerz, wenn wir sehen, wie er zum Tode verurteilt und gekreuzigt wird. Diese innere Haltung wird uns durch die ganze Karwoche begleiten. Treten wir also ein in dieses Staunen.

Gleich zu Beginn bringt Jesus uns zum Staunen. Sein Volk empfängt ihn feierlich, er aber zieht auf einem einfachen Fohlen in Jerusalem ein. Sein Volk erwartet zum Paschafest den mächtigen Befreier, aber Jesus kommt, um das Pascha durch sein Opfer zu vollziehen. Sein Volk erwartet sich einen militärischen Triumph gegen die Römer, Jesus aber kommt, um Gottes Sieg zu feiern, der am Kreuz errungen wurde. Was geschah mit jenen Menschen, deren Jubelrufe sich innerhalb weniger Tage in ein „Kreuzige ihn!“ verwandelten? Was ist geschehen? Diese Leute folgten eher einer bestimmten Vorstellung vom Messias als dem Messias selbst. Sie bewunderten Jesus, aber sie waren nicht bereit, sich von ihm in Staunen versetzen zu lassen. Staunen ist etwas Anderes als bewundern. Bewunderung kann recht weltlich sein, weil sie den eigenen Geschmack und die eigenen Erwartungen sucht; das Staunen hingegen bleibt offen für den Anderen, für seine Neuheit. Auch heute bewundern viele Menschen Jesus: Er hat gut gesprochen, er hat geliebt und vergeben, sein Beispiel hat die Geschichte verändert... und so weiter. Sie bewundern ihn, aber ihr Leben ändert sich nicht. Jesus zu bewundern reicht nämlich nicht aus. Es ist notwendig, ihm auf seinem Weg zu folgen, sich von ihm hinterfragen zu lassen – von der Bewunderung zum Staunen überzugehen.

Und was erstaunt uns am meisten am Herrn, an seinem Tod und seiner Auferstehung? Die Tatsache, dass er über den Weg der Erniedrigung zur Herrlichkeit gelangt. Er triumphiert, indem er den Schmerz und den Tod auf sich nimmt, was wir, die wir auf Bewunderung und Erfolg aus sind, möglichst vermeiden würden. Jesus hingegen – so sagt uns der heilige Paulus – »entäußerte sich, [...] erniedrigte sich« (Phil 2,7.8). Wir staunen, wenn wir den Allmächtigen so vernichtet sehen, ihn, das allwissende Wort, das uns schweigend von der Kathedra des Kreuzes aus unterweist; wenn wir den König der Könige sehen, dessen Thron ein Schafott ist; wenn wir sehen, wie der Gott des Universums von allem entblößt wird; wenn wir ihn mit Dornen gekrönt sehen, anstatt mit Herrlichkeit; wenn wir sehen, wie er, die Güte in Person, beleidigt und mit Füßen getreten wird. Warum diese ganze Demütigung? Warum, Herr, hast du das alles zugelassen?

Er hat es für uns getan, um durch und durch mit unserer menschlichen Wirklichkeit in Berührung zu kommen, um unsere ganze Existenz, alles Schlimme in unserem Leben durchzumachen; um uns nahe zu kommen und in Schmerz und Tod nicht allein zu lassen; um uns zurückzugewinnen, um uns zu retten. Jesus steigt auf das Kreuz hinauf, um in unser Leid hinabzusteigen. Er erlebt unsere schlimmsten Gemütszustände: das Scheitern, die Ablehnung von allen Seiten, den Verrat durch Menschen, die ihn lieben, ja sogar das Gefühl der Gottverlassenheit. Er erlebt am eigenen Leib unsere quälendsten Widersprüche, und auf diese Weise erlöst und verwandelt er sie. Seine Liebe kommt unserer Schwäche entgegen, sie kommt dorthin, wo wir uns am meisten schämen. Und jetzt wissen wir, dass wir nicht allein sind: Gott ist bei uns in jeder Verwundung, in jeder Angst: Kein Übel, keine Sünde hat das letzte Wort. Gott aber siegt, die Siegespalme erwächst aus dem Holz des Kreuzes. Die Palmzweige und das Kreuz bilden eine Einheit.

Bitten wir um die Gnade des Staunens. Ein christliches Leben ohne Staunen wird grau. Wie kann man Zeugnis geben von der Freude, Jesus begegnet zu sein, wenn man sich nicht jeden Tag überraschen lässt von seiner erstaunlichen Liebe, die uns vergibt und immer wieder neu beginnen lässt? Wenn der Glaube nicht mehr staunen macht, wird er taub für das Wunder der Gnade, er verliert den Geschmack am Brot des Lebens und des Wortes, er nimmt die Schönheit der Brüder und Schwestern und das Geschenk der Schöpfung nicht mehr wahr. Und es bleibt ihm kein anderer Weg, als sich in Legalismus zu flüchten, in Klerikalismus und in all das, was Jesus im 23. Kapitel des Matthäusevangeliums verurteilt.

In dieser Heiligen Woche wollen wir unseren Blick zum Kreuz erheben, um die Gnade des Staunens zu empfangen. Als der heilige Franz von Assisi einmal den Gekreuzigten betrachtete, wunderte er sich, dass seine Brüder nicht weinten. Sind wir noch in der Lage, uns von der Liebe Gottes anrühren zu lassen? Warum geraten wir vor ihm nicht mehr ins Staunen? Warum? Vielleicht, weil sich unser Glaube durch Gewohnheit abgenutzt hat. Vielleicht, weil wir in unserem Bedauern verschlossen bleiben und uns von unserer Unzufriedenheit lähmen lassen. Vielleicht liegt es daran, dass wir jedes Vertrauen verloren haben oder sogar glauben, wir seien nichts wert. Aber hinter diesem „Vielleicht“ steckt die Tatsache, dass wir nicht offen sind für die Gabe des Geistes, der uns die Gnade des Staunens schenkt.

Lasst uns vom Staunen her wieder neu beginnen; schauen wir auf den Gekreuzigten und sagen wir zu ihm: „Herr, wie sehr liebst Du mich! Wie wertvoll bin ich für Dich!“ Lassen wir uns von Jesus in Staunen versetzen, um zum Leben zurückzukehren, denn der Sinn des Lebens liegt nicht im Haben und in der Selbstbehauptung, sondern darin, dass man entdeckt, dass man geliebt ist. Dies ist die Größe des Lebens: entdecken, dass man geliebt ist. Und die Größe des Lebens besteht gerade in der Schönheit der Liebe. Im Gekreuzigten sehen wir Gott gedemütigt, der Allmächtige ist nun ein Verworfener. Und mithilfe der Gnade des Staunens verstehen wir, dass wir Jesus lieben, indem wir die Verworfenen aufnehmen und auf die vom Leben Gedemütigten zugehen. Denn er ist in den Letzten, in denen, die abgelehnt werden und in denen, die unsere pharisäische Kultur verurteilt, zugegen.

Der Passionsbericht führt uns heute, unmittelbar nach Jesu Tod, ein besonders schönes Bild des Staunens vor Augen, nämlich die Szene, in der der Hauptmann, als er Jesus »auf diese Weise sterben sah, sagte: Wahrhaftig, dieser Mensch war Gottes Sohn« (Mk 15,38). Er hat sich von der Liebe ins Staunen versetzen lassen. Auf welche Weise sah er Jesus denn sterben? Ganz voller Liebe und das hat ihn staunen lassen. Er litt, er war erschöpft, aber er hörte nicht auf zu lieben. Ja, Gott, der selbst das Sterben mit Liebe erfüllt, lässt uns staunen. In dieser unentgeltlichen und unerhörten Liebe findet der heidnische Hauptmann Gott. Wahrhaftig, er war Gottes Sohn! Sein Satz besiegelt die Passion. Viele vor ihm bewunderten Jesus wegen seiner Wundertaten und erkannten in ihm den Sohn Gottes. Jesus selbst aber hatte ihnen geboten zu schweigen, weil die Gefahr bestand, dass die Menschen bei einer oberflächlichen Bewunderung stehenbleiben würden, bei der Vorstellung eines Gottes, der aufgrund seiner Macht und erschreckenden Größe zu fürchten und anzubeten war. Diese Gefahr besteht nun nicht mehr, denn unter dem Kreuz ist ein solches Missverständnis ausgeschlossen: Gott hat sich geoffenbart und er herrscht allein mit der wehrlosen und entwaffnenden Kraft der Liebe.

Brüder und Schwestern, heute versetzt Gott unseren Verstand und unser Herz wieder in Staunen. Lassen wir uns von diesem Staunen durchdringen, schauen wir auf den Gekreuzigten und sagen auch wir: „Wahrhaftig, Du bist Gottes Sohn. Du bist mein Gott.“

[00412-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Esta Liturgia suscita cada año en nosotros un sentimiento de asombro. Pasamos de la alegría que supone acoger a Jesús que entra en Jerusalén al dolor de verlo condenado a muerte y crucificado. Es un sentimiento profundo que nos acompañará toda la Semana Santa. Entremos entonces en este estupor.

Jesús nos sorprende desde el primer momento. Su gente lo acoge con solemnidad, pero Él entra en Jerusalén sobre un humilde burrito. La gente espera para la Pascua al libertador poderoso, pero Jesús viene para cumplir la Pascua con su sacrificio. Su gente espera celebrar la victoria sobre los romanos con la espada, pero Jesús viene a celebrar la victoria de Dios con la cruz. ¿Qué le sucedió a aquella gente, que en pocos días pasó de aclamar con hosannas a Jesús a gritar “crucifícalo”? ¿Qué les sucedió? En realidad, aquellas personas seguían más una imagen del Mesías, que al Mesías real. Admiraban a Jesús, pero no estaban dispuestas a dejarse sorprender por Él. El asombro es distinto de la simple admiración. La admiración puede ser mundana, porque busca los gustos y las expectativas de cada uno; en cambio, el asombro permanece abierto al otro, a su novedad. También hoy hay muchos que admiran a Jesús, porque habló bien, porque amó y perdonó, porque su ejemplo cambió la historia... y tantas cosas más. Lo admiran, pero sus vidas no cambian. Porque admirar a Jesús no es suficiente. Es necesario seguir su camino, dejarse cuestionar por Él, pasar de la admiración al asombro.

¿Y qué es lo que más sorprende del Señor y de su Pascua? El hecho de que Él llegue a la gloria por el camino de la humillación. Él triunfa acogiendo el dolor y la muerte, que nosotros, rehenes de la admiración y del éxito, evitaríamos. Jesús, en cambio —nos dice san Pablo—, «se despojó de sí mismo, […] se humilló a sí mismo» (Flp 2,7.8). Sorprende ver al Omnipotente reducido a nada. Verlo a Él, la Palabra que sabe todo, enseñarnos en silencio desde la cátedra de la cruz. Ver al rey de reyes que tiene por trono un patíbulo. Ver al Dios del universo despojado de todo. Verlo coronado de espinas y no de gloria. Verlo a Él, la bondad en persona, que es insultado y pisoteado. ¿Por qué toda esta humillación? Señor, ¿por qué dejaste que te hicieran todo esto?

Lo hizo por nosotros, para tocar lo más íntimo de nuestra realidad humana, para experimentar toda nuestra existencia, todo nuestro mal. Para acercarse a nosotros y no dejarnos solos en el dolor y en la muerte. Para recuperarnos, para salvarnos. Jesús subió a la cruz para descender a nuestro sufrimiento. Probó nuestros peores estados de ánimo: el fracaso, el rechazo de todos, la traición de quien le quiere e, incluso, el abandono de Dios. Experimentó en su propia carne nuestras contradicciones más dolorosas, y así las redimió, las transformó. Su amor se acerca a nuestra fragilidad, llega hasta donde nosotros sentimos más vergüenza. Y ahora sabemos que no estamos solos. Dios está con nosotros en cada herida, en cada miedo. Ningún mal, ningún pecado tiene la última palabra. Dios vence, pero la palma de la victoria pasa por el madero de la cruz. Por eso las palmas y la cruz están juntas.

Pidamos la gracia del estupor. La vida cristiana, sin asombro, es monótona. ¿Cómo se puede testimoniar la alegría de haber encontrado a Jesús, si no nos dejamos sorprender cada día por su amor admirable, que nos perdona y nos hace comenzar de nuevo? Si la fe pierde su capacidad de sorprenderse se queda sorda, ya no siente la maravilla de la gracia, ya no experimenta el gusto del Pan de vida y de la Palabra, ya no percibe la belleza de los hermanos y el don de la creación. Y no tiene ninguna otra salida más que refugiarse en el legalismo, en el clericalismo y en todas esas actitudes que Jesús condena en el capítulo 23 de Mateo.

En esta Semana Santa, levantemos nuestra mirada hacia la cruz para recibir la gracia del estupor. San Francisco de Asís, mirando al Crucificado, se asombraba de que sus frailes no llorasen. Y nosotros, ¿somos capaces todavía de dejarnos conmover por el amor de Dios? ¿Por qué hemos perdido la capacidad de asombrarnos ante él? ¿Por qué? Tal vez porque nuestra fe ha sido corroída por la costumbre. Tal vez porque permanecemos encerrados en nuestros remordimientos y nos dejamos paralizar por nuestras frustraciones. Tal vez porque hemos perdido la confianza en todo y nos creemos incluso fracasados. Pero detrás de todos estos “tal vez” está el hecho de que no nos hemos abierto al don del Espíritu, que es Aquel que nos da la gracia del estupor.

Volvamos a comenzar desde el asombro; miremos al Crucificado y digámosle: “Señor, ¡cuánto me amas, qué valioso soy para Ti!”. Dejémonos sorprender por Jesús para volver a vivir, porque la grandeza de la vida no está en tener o en afirmarse, sino en descubrirse amados. Ésta es la grandeza de la vida, descubrirse amados. Y la grandeza de la vida está precisamente en la belleza del amor. En el Crucificado vemos a Dios humillado, al Omnipotente reducido a un despojo. Y con la gracia del estupor entendemos que, acogiendo a quien es descartado, acercándonos a quien es humillado por la vida, amamos a Jesús. Porque Él está en los últimos, en los rechazados, en aquellos que nuestra cultura farisaica condena.

Hoy el Evangelio nos muestra, justo después de la muerte de Jesús, la imagen más hermosa del estupor. Es la escena del centurión que, al verlo «expirar así, exclamó: “¡Realmente este hombre era Hijo de Dios!”» (Mc 15,39). Se dejó asombrar por el amor. ¿Cómo había visto morir a Jesús? Lo había visto morir amando, y esto lo impresionó. Sufría, estaba agotado, pero seguía amando. Esto es el estupor ante Dios, quien sabe llenar de amor incluso el momento de la muerte. En este amor gratuito y sin precedentes, el centurión, un pagano, encuentra a Dios. ¡Realmente este hombre era Hijo de Dios! Su frase ratifica la Pasión. Muchos antes de él en el Evangelio, admirando a Jesús por sus milagros y prodigios, lo habían reconocido como Hijo de Dios, pero Cristo mismo los había mandado callar, porque existía el riesgo de quedarse en la admiración mundana, en la idea de un Dios que había que adorar y temer en cuanto potente y terrible. Ahora ya no, ante la cruz no hay lugar a malas interpretaciones. Dios se ha revelado y reina sólo con la fuerza desarmada y desarmante del amor.

Hermanos y hermanas, hoy Dios continúa sorprendiendo nuestra mente y nuestro corazón. Dejemos que este estupor nos invada, miremos al Crucificado y digámosle también nosotros: “Realmente eres el Hijo de Dios. Tú eres mi Dios”.

[00412-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Todos os anos, esta liturgia cria em nós uma atitude de espanto, de surpresa: passamos da alegria de acolher Jesus, que entra em Jerusalém, à tristeza de O ver condenado à morte e crucificado. É uma atitude interior que nos acompanhará ao longo da Semana Santa. Abramo-nos, pois, a esta surpresa.

Jesus começa logo por nos surpreender. O seu povo acolhe-O solenemente, mas Ele entra em Jerusalém num jumentinho. Pela Páscoa, o seu povo espera o poderoso libertador, mas Jesus vem cumprir a Páscoa com o seu sacrifício. O seu povo espera celebrar a vitória sobre os romanos com a espada, mas Jesus vem celebrar a vitória de Deus com a cruz. Que aconteceu àquele povo que, em poucos dias, passou dos «hossanas» a Jesus ao grito «crucifica-O»? Que sucedeu? Aquelas pessoas seguiam uma imagem de Messias, e não o Messias. Admiravam Jesus, mas não estavam prontas para se deixar surpreender por Ele. A surpresa é diferente da admiração. A admiração pode ser mundana, porque busca os próprios gostos e anseios; a surpresa, ao contrário, permanece aberta ao outro, à sua novidade. Também hoje há muitos que admiram Jesus: falou bem, amou e perdoou, o seu exemplo mudou a história, e coisas do género. Admiram-No, mas a vida deles não muda. Porque não basta admirar Jesus; é preciso segui-Lo no seu caminho, deixar-se interpelar por Ele: passar da admiração à surpresa.

E qual é o aspeto do Senhor e da sua Páscoa que mais nos surpreende? O facto de Ele chegar à glória pelo caminho da humilhação. Triunfa acolhendo a dor e a morte, que nós, súcubos à admiração e ao sucesso, evitaríamos. Ao contrário, Jesus «despojou-Se – disse São Paulo –, humilhou-Se» (Flp 2, 7.8). Isto surpreende: ver o Omnipotente reduzido a nada; vê-Lo, a Ele Palavra que sabe tudo, ensinar-nos em silêncio na cátedra da cruz; ver o Rei dos reis que, por trono, tem um patíbulo; ver o Deus do universo despojado de tudo; vê-Lo coroado de espinhos em vez de glória; vê-Lo, a Ele bondade em pessoa, ser insultado e vexado. Porquê toda esta humilhação? Por que permitistes, Senhor, que Vos fizessem tudo aquilo?

Fê-lo por nós, para tocar até ao fundo a nossa realidade humana, para atravessar toda a nossa existência, todo o nosso mal; para Se aproximar de nós e não nos deixar sozinhos no sofrimento e na morte; para nos recuperar, para nos salvar. Jesus sobe à cruz para descer ao nosso sofrimento. Prova os nossos piores estados de ânimo: o falimento, a rejeição geral, a traição do amigo e até o abandono de Deus. Experimenta na sua carne as nossas contradições mais dilacerantes e, assim, as redime e transforma. O seu amor aproxima-se das nossas fragilidades, chega até onde mais nos envergonhamos. Agora sabemos que não estamos sozinhos! Deus está connosco em cada ferida, em cada susto: nenhum mal, nenhum pecado tem a última palavra. Deus vence, mas a palma da vitória passa pelo madeiro da cruz. Por isso, os ramos e a cruz estão juntos.

Peçamos a graça do assombro. A vida cristã, sem surpresa, torna-se cinzenta. Como se pode testemunhar a alegria de ter encontrado Jesus, se não nos deixamos surpreender cada dia pelo seu amor espantoso, que nos perdoa e faz recomeçar? Se a fé perde o assombro, torna-se surda: já não sente a maravilha da graça, deixa de sentir o gosto do Pão da vida e da Palavra, fica sem perceber a beleza dos irmãos e o dom da criação. E não lhe resta outra saída senão refugiar-se nos legalismos, clericalismos e tudo o mais que Jesus condena no capítulo 23 de Mateus.

Nesta Semana Santa, ergamos o olhar para a cruz a fim de recebermos a graça do assombro. São Francisco de Assis, ao contemplar o Crucificado, maravilhava-se com os seus frades por não chorarem. E nós, conseguimos ainda deixar-nos comover pelo amor de Deus? Porque é que já não sabemos surpreender-nos à vista d’Ele? Porquê? Talvez porque a nossa fé foi corroída pelo hábito; talvez porque ficamos fechados nas lamúrias e deixamo-nos paralisar pelos dissabores; talvez porque perdemos a confiança em tudo, chegando ao ponto de nos consideramos mal feitos. Mas, por trás destes «talvez», encontra-se o facto de não estarmos abertos ao dom do Espírito, que é Aquele que nos dá a graça do assombro.

Recomecemos do espanto; olhemos o Crucificado e digamos-Lhe: «Senhor, quanto me amais! Como sou precioso a vossos olhos!» Deixemo-nos surpreender por Jesus para voltar a viver, porque a grandeza da vida não está na riqueza nem no sucesso, mas na descoberta de que somos amados. Esta é a grandeza da vida: descobrir que somos amados. A grandeza da vida está precisamente na beleza do amor. No Crucificado, vemos Deus humilhado, o Omnipotente reduzido a um descartado. E, com a graça do assombro, compreendemos que, acolhendo quem é descartado, aproximando-nos de quem é humilhado pela vida, amamos Jesus, porque Ele está nos últimos, nos rejeitados, naqueles que a nossa cultura farisaica condena.

O Evangelho de hoje, imediatamente depois da morte de Jesus, mostra-nos o ícone mais belo da surpresa. É a cena do centurião, que, «ao vê-Lo expirar daquela maneira, disse: “Verdadeiramente este homem era Filho de Deus!”» (Mc 15, 39). Deixou-se surpreender pelo amor. De que maneira vira Jesus morrer? Viu-O morrer amando, e isto maravilhou-o. Sofria, estava exausto, mas continuava a amar. Eis aqui a surpresa diante de Deus, que sabe encher de amor o próprio morrer. Neste amor gratuito e inaudito, o centurião, um pagão, encontra Deus. Verdadeiramente era Filho de Deus! A sua frase chancela a Paixão. Muitos antes dele no Evangelho, admirando Jesus pelos seus milagres e prodígios, reconheceram-No como Filho de Deus, mas o próprio Cristo mandava-os calar, porque havia o risco de se deterem na admiração mundana, na ideia dum Deus que Se devia adorar e temer enquanto poderoso e terrível. Agora já não há tal risco; ao pé da cruz, já não é possível equivocar-se: Deus revelou-Se e reina só com a força desarmada e desarmante do amor.

Irmãos e irmãs hoje, Deus ainda surpreende a nossa mente e o nosso coração. Deixemos que nos impregne este assombro, olhemos para o Crucificado e digamos também nós: «Vós sois verdadeiramente Filho de Deus. Vós sois o meu Deus».

[00412-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Co roku ta Liturgia budzi w nas postawę zdumienia: przechodzimy od radości powitania Jezusa wjeżdżającego do Jerozolimy, do bólu, gdy widzimy Go skazanego na śmierć i ukrzyżowanego. Jest to postawa wewnętrzna, która będzie nam towarzyszyła przez cały Wielki Tydzień. Wejdźmy zatem w to zdumienie.

Jezus natychmiast nas zadziwia. Jego lud wita Go uroczyście, ale On wjeżdża do Jerozolimy na skromnym osiołku. Jego lud oczekuje na Paschę potężnego wyzwoliciela, lecz Jezus przybywa, by wypełnić Paschę poprzez swoją ofiarę. Jego lud oczekuje, że będzie świętować zwycięstwo nad Rzymianami za pomocą miecza, lecz Jezus przychodzi, by świętować zwycięstwo Boga przez krzyż. Co się stało z tymi ludźmi, którzy w ciągu kilku dni przeszli od witania Jezusa okrzykiem „hosanna” do krzyczenia „ukrzyżuj go”? Co się stało? Ludzie ci podążali bardziej za obrazem Mesjasza, niż za Mesjaszem. Podziwiali Jezusa, ale nie byli gotowi, by dać się przez Niego zadziwić. Zadziwienie jest czymś innym od podziwu. Podziw może być światowy, bo szuka swoich gustów i oczekiwań; zachwyt natomiast pozostaje otwarty na drugiego, na jego nowość. Również dzisiaj wielu podziwia Jezusa: dobrze mówił, kochał i przebaczał, jego przykład zmienił historię... i tak dalej. Podziwiają Go, ale ich życie się nie zmienia. Bo podziwiać Jezusa to za mało. Trzeba iść za Nim na Jego drodze, pozwolić, by postawił On coś pod znakiem zapytania: przejść od podziwu do zdumienia.

A co nas najbardziej zadziwia w Panu i Jego Passze? Fakt, że dochodzi On do chwały drogą upokorzenia. Triumfuje przyjmując cierpienie i śmierć, których my, całkowicie podporządkowani podziwowi i sukcesowi, chcielibyśmy uniknąć. Natomiast Jezus - mówi nam św. Paweł – „ogołocił samego siebie, [...] uniżył samego siebie” (Flp 2, 7. 8). To zaskakuje: widzieć Wszechmocnego doprowadzonego do nicości. Widzieć Jego, Słowo, które wie wszystko, nauczającego nas w milczeniu na katedrze krzyża. Widzieć Króla królów, którego tronem jest miejsce kaźni. Widzieć Boga wszechświata ogołoconego ze wszystkiego. Widzieć Go ukoronowanego cierniem, a nie chwałą. Widzieć, jak On, uosobiona dobroć, jest znieważany i wyszydzany. Po co to całe upokorzenie? Dlaczego, Panie, pozwoliłeś, by Tobie to czyniono?

Zrobił to dla nas, aby dotknąć naszej ludzkiej rzeczywistości do samej głębi, aby przejść przez całą naszą egzystencję, całe nasze zło. Aby zbliżyć się do nas i nie zostawić nas samych w cierpieniu i śmierci. By nas odzyskać, by nas zbawić. Jezus wstępuje na krzyż, aby zstąpić w nasze cierpienie. Doświadcza naszych najgorszych nastrojów: klęski, odrzucenia przez wszystkich, zdrady przez tych, którzy Go kochają, a nawet opuszczenia przez Boga. Doświadcza w swoim ciele naszych najbardziej rozdzierających sprzeczności, i w ten sposób dokonuje ich odkupienia, przekształcenia. Jego miłość przybliża się do naszych ułomności, dociera tam, gdzie wstydzimy się najbardziej. I teraz wiemy, że nie jesteśmy sami: Bóg jest z nami w każdej ranie, w każdym lęku: żadne zło, żaden grzech nie ma ostatniego słowa. Bóg zwycięża, ale palma zwycięstwa przechodzi przez drzewo krzyża. Dlatego palma i krzyż są razem.

Prośmy o łaskę zdumienia. Życie chrześcijańskie, bez zdumienia, staje się szarością. Jak możemy dawać świadectwo radości ze spotkania z Jezusem, jeśli nie pozwolimy, by każdego dnia zadziwiała nas Jego zaskakująca miłość, która nam przebacza i pozwala zaczynać od nowa? Jeśli wiara traci swój zachwyt, staje się głucha: nie czuje już cudu łaski, nie czuje smaku Chleba życia i Słowa, nie dostrzega piękna swoich braci oraz daru stworzenia. I nie ma innego wyjścia, jak ukryć się za legalizmami, za klerykalizmem i wszystkimi tymi rzeczami, które Jezus piętnuje w rozdziale 23 Mateusza.

W tym Wielkim Tygodniu wznieśmy nasze spojrzenie na krzyż, aby otrzymać łaskę zdumienia. Święty Franciszek z Asyżu, patrząc na Krucyfiks, był zdumiony, że jego bracia nie płaczą. A czy my nadal jesteśmy w stanie dać się poruszyć miłością Boga? Dlaczego nie potrafimy już zdumiewać się przed Nim? Dlaczego? Być może dlatego, że nasza wiara została nadwyrężona przez rutynę. Może dlatego, że pozostajemy zamknięci w naszych żalach i dajemy się paraliżować naszym niezadowoleniom. Może dlatego, że utraciliśmy ufność we wszystko, a nawet sądzimy, że jesteśmy źli. Ale za tymi „być może” kryje się fakt, że nie jesteśmy otwarci na dar Ducha Świętego, który jest Tym, który daje nam łaskę zadziwienia.

Zacznijmy na nowo od zdumienia; spójrzmy na Ukrzyżowanego i powiedzmy Mu: „Panie, jak bardzo mnie miłujesz! Jakże jestem dla Ciebie cenny”. Pozwólmy się zadziwić Jezusowi, aby powrócić do życia, bo wielkość życia nie polega na posiadaniu i zdobyciu uznania, ale na odkrywaniu, że jest się kochanym. To jest wielkość życia: odkryć, że jest się kochanym. Wielkością życia jest właśnie piękno miłości. W Ukrzyżowanym widzimy Boga upokorzonego, Wszechmocnego sprowadzonego do wyrzutka. I dzięki łasce zdumienia rozumiemy, że przyjmując tych, którzy zostali odrzuceni, podchodząc do ludzi upokorzonych przez życie, kochamy Jezusa: ponieważ On jest tam, w tych ostatnich, w tych odrzuconych, w tych, których skazuje nasza faryzejska kultura.

Dziś, zaraz po śmierci Jezusa, Ewangelia ukazuje nam najpiękniejszą ikonę zdumienia. Jest to scena setnika, który „widząc, że w ten sposób oddał ducha, rzekł: Prawdziwie, ten człowiek był Synem Bożym” (Mk 15, 38). Zdumiał się miłością. W jaki sposób widział umierającego Jezusa? Widział, jak umiera miłując i to go zdumiało. Cierpiał, był wyczerpany, ale nie przestawał miłować. Oto zdumienie wobec Boga, który potrafi napełnić miłością nawet umierających. W tej bezinteresownej i niesłychanej miłości setnik, poganin, odnajduje Boga. On był naprawdę Synem Bożym! Jego zdanie przypieczętowuje Mękę. Wielu przed nim w Ewangelii, podziwiając Jezusa za Jego cuda i niezwykłe znaki, uznało Go za Syna Bożego, ale sam Chrystus ich uciszał, ponieważ istniało ryzyko zatrzymania się na zachwycie doczesnym, na idei Boga, którego należy uwielbiać i lękać się, ponieważ jest potężny i straszliwy. Już nie, pod krzyżem nie jest już możliwe nieporozumienie: Bóg się objawił i króluje tylko z bezbronną i rozbrajającą siłą miłości.

Bracia i siostry, dziś Bóg wciąż zadziwia nasze umysły i serca. Niech nas ogarnie to zdumienie, spójrzmy na Krucyfiks i powiedzmy także i my: „Ty jesteś naprawdę Synem Bożym. Ty jesteś moim Bogiem”.

[00412-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في أحد الشعانين

الأحد 28 مارس/آذار 2021

بازليكا القدّيس بطرس

تبعث فينا كلّ سنة هذه الليتورجيا موقفًا من الاندهاش: لأنّنا ننتقل من الفرح لاستقبال يسوع الذي يدخل أورشليم إلى الألم لرؤيته محكومًا عليه بالموت والصّلب. إنّه موقف داخلي يرافقنا طوال الأسبوع المقدس. لذلك لندخل في هذا الاندهاش.

منذ البداية، يدهشنا يسوع: استقبله الناس باحتفال كبير، وهو يدخل أورشليم راكبًا على جحش وضيع. انتظر الناس في عيد الفصح المحرر القدير، وهو أتى ليُتم الفصح بذبيحة ذاته. توقع الناس أن يحتفلوا بالنصر على الرومان بالسيف، وأتى يسوع ليحتفل بانتصار الله بالصليب. ماذا حدث لهؤلاء الناس، الذين تحولوا في غضون أيام قليلة من الهتاف ليسوع إلى الصراخ قائلين "اصلبه"؟ ماذا حدث؟ كان هؤلاء الناس يتبعون صورةً للمسيح، وليس المسيح. أُعجِبُوا بيسوع، لكنهم لم يكونوا مستعدين لأن يندهشوا فيتبعوه. الإعجاب يختلف عن الاندهاش والاتباع. يمكن أن يكون الإعجاب شأنًا دنيويًّا، لأنّه يبحث عن مشاعر وتوقعات خاصة، بينما الاندهاش والاتباع يظَلُّ منفتحًا على الآخر، وعلى ما هو جديد فيه. حتى اليوم، كثيرون معجبون بيسوع، يقولون: أحسن في كلامه، وأحبّ وغفر، ومثاله غيّر التاريخ... وهلمّ جرا. إنّهم معجبون به، لكن حياتهم لا تتغير. لأنّ الإعجاب بيسوع لا يكفي. يجب اتباعه في طريقه، ويجب أن نسمح له بأن يجعلنا وأن نجعل أنفسنا موضوع مساءلة: للانتقال من الإعجاب إلى الاندهاش والاتباع.

وما الذي يثير الاندهاش في الرّبّ يسوع وفصحه؟ هو أنّه بلغ المجد من خلال طريق المذلة، وأنّه انتصر بقبوله الألم والموت، اللذين نتجنبهما نحن، لكوننا خاضعين لمقياس الإعجاب والنجاح. بدل ذلك، قال لنا القديس بولس إنّ يسوع "تَجرَّدَ مِن ذاتِه [...] فَوضَعَ نَفْسَه" (فل 2، 7. 8). هذا أمر مدهش: أن نرى القادر على كلّ شيء يصبح لا شيء. أن نراه هو الكلمة الذي يعرف كلّ شيء، يعلّمنا بصمته من على منبر الصّليب. أن نراه هو ملك الملوك، وعرشُه على الصّليب. أن نرى ربَّ الكون مجرّدًا من كلّ شيء. أن نراه مكلَّلًا بالشوك بدلاً من المجد. أن نراه هو الصّلاحَ بالذات، يُهان ويُضرَب. لماذا كلّ هذا الإذلال؟ لماذا يا ربّ تركْتَهم يفعلون بك كلّ هذا؟

لقد فعل ذلك من أجلنا، ليلمَسَ أعماقَ واقعنا البشري، وليخترق كلّ وجودنا، وكلّ شرّنا. لقد فعل ذلك ليقترب منا ولا يتركنا وحدنا في الألم والموت. وليستردنا وليخلصنا. صعد يسوع على الصليب لينحدر في عمق آلامنا. اختبر أسوأ حالاتنا النفسيّة: الفشل والرفض من الجميع والخيانة مِن الذي يحبه، وحتى التخلي من قبل الله. واختبر في جسده تناقضاتنا التي تمزِّقنا، وهكذا فداها، وبدَّلها. دنا حبُّه من ضعفنا، ووصل حيث يعترينا الخجلُ الأكبر. والآن نعلم أنّنا لسنا وحدنا: الله معنا في كلّ جرح وفي كلّ خوف: لأنّ الكلمة الأخيرة ليست للشرّ ولا للخطيئة. انتصر الله، لكنَّ نخلةَ النصر تمر عبر خشبة الصّليب. لذلك تبقى النخلة والصّليب معًا.

لنطلب نعمة الاندهاش الذي يبدِّلُنا. بدونه الحياة المسيحيّة مظلمة. كيف يمكننا أن نشهد لفرح اللقاء مع يسوع إن لم نسمح لأنفسنا بأن نندهش كلّ يوم أمام حبّه المذهل، الذي يغفر لنا ويجعلنا نبدأ من جديد؟ الإيمانُ إن فقدَ الاندهاشَ أصبح أصمَّ: فلا يعودُ يشعرُ بما هو عجيب في النعمة، ولا يعود يشعر بطعم خبز الحياة والكلمة، ولا يدركُ جمالَ الإخوة وعطية الخلق. وليس لديه أيّ طريقة أخرى سوى اللّجوء إلى النواميس، ونزعة الإكليروسيّة وإلى كلّ هذه الأمور التي يدينها يسوع في الفصل 23 من إنجيل متى.

في هذا الأسبوع المقدس، لننظر إلى الصّليب لننال نعمة الاندهاش المبدِّل. كان القديس فرنسيس الأسيزي، وهو ينظر إلى المصلوب، يتعجب كيف أنّ إخوتَه لا يبكون. ونحن، هل ما زلنا نتأثر بمحبة الله؟ لماذا لم نعد نعرف كيف نندهش أمامه؟ لماذا؟ لعلَّ إيمانَنا نفَدَ بسبب العادة. ربما لأنّنا نظل منغلقين في حسراتنا ونسمح لأنفسنا بأن نُشَلَّ بسبب الأمور الكثيرة التي لا ترضينا. ربما لأنّنا فقدنا الثقة بكلّ شيء ولأنّنا نعتقد أنّنا مخطئون. لكن وراء هذا كلّه، توجد حقيقة وهي أنّنا لسنا منفتحين على عطية الرّوح، الذي يمنحنا نعمة الاندهاش وهو الذي يبدِّلُنا.

لنَعُدْ مرة أخرى إلى الاندهاش. لننظر إلى المصلوب ولنقل له: "يا ربّ، كم أنتَ تحبني! كم أنا ثمين لك!". لنترك الاندهاش أمام يسوع يستولي علينا، فنعودَ إلى الحياة، لأنّ عظمة الحياة لا تكمُنُ في ما نملك، أو في تثبيت أنفسنا، بل في هذا الاكتشاف: أنّنا محبوبون. هذه هي عظمة الحياة: أن نكتشف أنّنا محبوبون. وعظمةُ الحياة هي تحديدًا في جمال الحبّ. في المصلوب نرى الله خاضعًا للذل، والقديرَ لا قيمة له. وبنعمة الاندهاش نفهم أنّه إنْ رحَّبْنا بمن نبذه الناس، وإن دنَوْنا ممَّن أذلَّته الحياة، أحبَبْنا يسوع: لأنّ يسوع يوجد في الأخيرين وفي المنبوذين، وفي الذين تدينهم ثقافتنا الفريسية.

اليوم، مباشرة بعد موت يسوع، يكشف لنا الإنجيل عن أجمل أيقونة للاندهاش. إنّه مشهد قائد المائة. "فلَمَّا رأَى قائِدُ المِائَةِ الواقِفُ تُجاهَهُ أَنَّه لَفَظَ الرُّوحَ هكذا، قال: كانَ هذا الرَّجُلُ ابنَ اللهِ حَقّاً!" (مر 15، 39). لقد اندهش من الحبّ. كيف رأى يسوع يموت؟ رآه يموت وهو يحبّ، وقد أذهله هذا. لقد تألم، وكان مرهقًا، لكنه استمر يحبّ. هذا هو الاندهاش أمام الله الذي يعرف أن يملأ حتى الموت بالحبّ. في هذا الحبّ المجاني وغير المسبوق، وجد اللهَ، هو قائد المائة الوثني، لما قال: كانَ هذا الرَّجُلُ ابنَ اللهِ حَقّاً! قولُه هذا هو خاتَمُ الآلام. كثيرون قبله في الإنجيل، أُعجِبوا بيسوع وبمعجزاته وآياته، وأدركوا أنّه ابن الله، لكن المسيح نفسه كان يسكتهم، لأنّه كان هناك خطر أن يتوقفوا عند الإعجاب الدنيوي، وعند الفكرة أنّ الله يُعبد ويُرهَبُ بقدر ما هو قدير ورهيب. أمّا الآن، عند الصّليب، فلم يعد من الممكن أن يُساءَ فهمُه: لقد كشف الله عن نفسه، إنّه لا يملك إلّا بقوة الحبّ الأعزل والمجرِّد من كلّ سلاح.

أيّها الإخوة والأخوات، اليوم لا يزال الله يُدهش عقولنا وقلوبنا. لندع هذا الاندهاش يملأنا، ولننظر إلى المصلوب ولنقل نحن أيضًا: "أنت حقًا ابن الله. أنت إلهي".

[00412-AR.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0188-XX.02]