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Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco a Budapest in occasione della Santa Messa conclusiva del 52.mo Congresso Eucaristico Internazionale e in Slovacchia (12-15 settembre 2021) – Accoglienza ufficiale all’Aeroporto Internazionale di Bratislava e Incontro Ecumenico presso la Nunziatura Apostolica di Bratislava, 12.09.2021


Accoglienza ufficiale all’Aeroporto Internazionale di Bratislava

Incontro Ecumenico presso la Nunziatura Apostolica di Bratislava

Incontro privato con i Membri della Compagnia di Gesù presso la Nunziatura Apostolica di Bratislava

Accoglienza ufficiale all’Aeroporto Internazionale di Bratislava

All’arrivo all’Aeroporto Internazionale di Bratislava, il Santo Padre Francesco è stato accolto dalla Presidente della Repubblica di Slovacchia, Sig.ra Zuzana Čaputová. Due bambini vestiti in abito tradizionale hanno donato al Papa in segno di accoglienza il pane, il sale e i fiori.

Dopo la presentazione delle rispettive Delegazioni e la Guardia d’Onore, il Santo Padre e la Presidente si son recati nella sala VIP dell’Aeroporto di Bratislava per un breve incontro privato.

Quindi Papa Francesco si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica per l’Incontro Ecumenico.

[01208-IT.01]

Incontro Ecumenico presso la Nunziatura Apostolica di Bratislava

Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Dopo l’accoglienza ufficiale in Slovacchia, il Santo Padre Francesco è giunto alla Nunziatura Apostolica di Bratislava.

Al Suo arrivo è stato accolto dal personale della Rappresentanza Pontificia. Quindi, alle ore 16.40, nel salone della Nunziatura Apostolica, ha luogo l’Incontro Ecumenico.

Introdotto dal saluto del Presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Vescovo Ivan Eľko, il Papa ha pronunciato il suo discorso. Dopo la preghiera del Salmo 103, la foto di gruppo e lo scambio dei doni, il Santo Padre ha salutato individualmente i partecipanti all’incontro.

Erano presenti: per la Chiesa Evangelica Luterana di Confessione Augustana, Ivan Eľko, Vescovo Generale, Presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese nella Repubblica Slovacca; per la Chiesa Ortodossa, Sua Beatitudine Rastislav, Arcivescovo di Prešov, Metropolita delle Terre Ceche e della Slovacchia; per la Chiesa dei Fratelli, Štefan Evin, Presidente del Consiglio della Chiesa dei Fratelli; per la Chiesa Evangelica Metodista, Štefan Rendoš, Sovrintendente, Presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica Metodista, provincia slovacca; per la Chiesa Hussita Cecoslovacca, Jan Hradil, Vescovo della Chiesa Hussita Cecoslovacca in Slovacchia; per l’Unità Fraterna dei Battisti, Benjamin Uhrin, Presidente del Consiglio dell’Unità Fraterna dei Battisti nella Repubblica Slovacca; per la Chiesa Cristiana Riformata, Róbert Géresi, Vescovo della Chiesa Cristiana Riformata; per Chiesa Cattolica di Rito Latino, S.E. Mons. Ján Orosch Arcivescovo di Trnava; per la Chiesa Vetero-Cattolica, Vlastimil Šulgan, Vescovo della Chiesa Vetero-Cattolica in Slovacchia; per la Chiesa Apostolica in Slovacchia, Ján Liba, Vescovo della Chiesa Apostolica in Slovacchia; per l’Unione Centrale delle Comunità Religiose Ebraiche nella Repubblica Slovacca, Richard Duda, Presidente della Unione Centrale delle Comunità Religiose Ebraiche nella Repubblica Slovacca.

Pubblichiamo di seguito il discorso che Papa Francesco ha pronunciato nel corso dell’Incontro Ecumenico:

Discorso del Santo Padre

Cari Membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese nella Repubblica Slovacca,

vi saluto cordialmente e vi ringrazio per aver accolto l’invito ed essermi venuti incontro: io pellegrino in Slovacchia, voi graditi ospiti in Nunziatura! Sono contento che il primo incontro sia con voi: è un segno che la fede cristiana è – e vuole essere – in questo Paese germe di unità e lievito di fraternità. Grazie Beatitudine, Fratello Rastislav, per la sua presenza; grazie, caro Vescovo Ivan, Presidente del Consiglio Ecumenico, per le parole che mi ha rivolto e che testimoniano l’impegno di voler continuare a camminare insieme per passare dal conflitto alla comunione.

Il cammino delle vostre comunità è ripartito dopo gli anni della persecuzione ateista, quando la libertà religiosa era impedita o messa a dura prova. Poi, finalmente, è arrivata. E ora vi accomuna un tratto di percorso nel quale sperimentate quanto sia bello, ma al tempo stesso difficile, vivere la fede da liberi. C’è infatti la tentazione di ritornare schiavi, non certo di un regime, ma di una schiavitù ancora peggiore, quella interiore.

È ciò da cui metteva in guardia Dostoevskij in un racconto celebre, la Leggenda del Grande Inquisitore. Gesù è ritornato sulla Terra e viene imprigionato. L’inquisitore rivolge parole sferzanti: l’accusa che gli muove è proprio quella di aver dato troppa importanza alla libertà degli uomini. Gli dice: «Tu vuoi andare nel mondo e ci vai a mani vuote, con la promessa di una libertà che essi, nella loro semplicità e nel loro disordine innato, non possono neppure concepire, della quale hanno paura e terrore, perché nulla è mai stato più intollerabile della libertà per l’uomo!» (I Fratelli Karamazov, Milano 2012, p. 338). E rincara la dose, aggiungendo che gli uomini sono disposti a barattare volentieri la loro libertà con una schiavitù più comoda, quella di assoggettarsi a qualcuno che decida per loro, pur di avere pane e sicurezze. E così arriva a rimproverare Gesù di non aver voluto diventare Cesare per piegare la coscienza degli uomini e stabilire la pace con la forza. Invece, ha continuato a preferire per l’uomo libertà, mentre l’umanità reclama “pane e poco altro”.

Cari Fratelli, non ci accada questo; aiutiamoci a non cadere nella trappola di accontentarci di pane e di poco altro. Perché questo rischio sopraggiunge quando la situazione si normalizza, quando ci siamo stabilizzati e ci adagiamo ambendo a mantenere il quieto vivere. Allora, ciò a cui si punta non è più «la libertà che abbiamo in Cristo Gesù» (Gal 2,4), la sua verità che ci fa liberi (cfr Gv 8,32), ma l’ottenere spazi e privilegi. Che, secondo il Vangelo, è “pane e poco altro”. Qui, dal cuore dell’Europa, viene da chiedersi: noi cristiani abbiamo un po’ smarrito l’ardore dell’annuncio e la profezia della testimonianza? È la verità del Vangelo a farci liberi oppure ci sentiamo liberi quando ricaviamo comfort zone che ci permettono di gestirci e di andare avanti tranquilli senza particolari contraccolpi? E ancora, accontentandoci di pane e sicurezze, abbiamo forse perso lo slancio nella ricerca dell’unità implorata da Gesù, unità che certamente richiede la libertà matura di scelte forti, rinunce e sacrifici, ma è la premessa perché il mondo creda (cfr Gv 17,21)? Non interessiamoci solo di quanto può giovare alle nostre singole comunità. La libertà del fratello e della sorella è anche la nostra libertà, perché la nostra libertà non è piena senza di lui e di lei.

Qui l’evangelizzazione è sorta in modo fraterno, portando impresso il sigillo dei santi fratelli di Tessalonica Cirillo e Metodio. Essi, testimoni di una cristianità ancora unita e infuocata dall’ardore dell’annuncio, ci aiutino a proseguire nel cammino coltivando la comunione fraterna tra di noi nel nome di Gesù. D’altronde, come possiamo auspicare un’Europa che ritrovi le proprie radici cristiane se siamo noi per primi sradicati dalla piena comunione? Come possiamo sognare un’Europa libera da ideologie, se non abbiamo il coraggio di anteporre la libertà di Gesù alle necessità dei singoli gruppi dei credenti? È difficile esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza avere cura gli uni degli altri. Calcoli di convenienza, ragioni storiche e legami politici non possono essere ostacoli irremovibili sul nostro cammino. Ci aiutino i Santi Cirillo e Metodio, «precursori dell’ecumenismo» (S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Slavorum Apostoli, 14), a prodigarci per una riconciliazione delle diversità nello Spirito Santo; per un’unità che, senza essere uniformità, sia segno e testimonianza della libertà di Cristo, il Signore che scioglie i lacci del passato e ci guarisce da paure e timidezze.

Ai loro tempi, Cirillo e Metodio hanno permesso che la Parola divina si incarnasse in queste terre (cfr Gv 1,14). Vorrei condividere con voi due suggerimenti in questa prospettiva, consigli fraterni per diffondere il Vangelo della libertà e dell’unità oggi. Il primo consiglio, il primo suggerimento riguarda la contemplazione. Un carattere distintivo dei popoli slavi, che sta a voi custodire insieme, è il tratto contemplativo, che va oltre le concettualizzazioni filosofiche e anche teologiche, a partire da una fede esperienziale, che sa accogliere il mistero. Aiutatevi a coltivare questa tradizione spirituale, di cui l’Europa ha tanto bisogno: in particolare ne ha sete l’Occidente ecclesiale, per ritrovare la bellezza dell’adorazione di Dio e l’importanza di non concepire la comunità di fede anzitutto sulla base di un’efficienza programmatica e funzionale.

Il secondo consiglio riguarda invece l’azione. L’unità non si ottiene tanto con i buoni propositi e con l’adesione a qualche valore comune, ma facendo qualcosa insieme per quanti ci avvicinano maggiormente al Signore. Chi sono? Sono i poveri, perché in loro Gesù è presente (cfr Mt 25,40). Condividere la carità apre orizzonti più ampi e aiuta a camminare più spediti, superando pregiudizi e fraintendimenti. Ed è anch’esso un tratto che trova genuina accoglienza in questo Paese, dove a scuola s’impara a memoria una poesia, che contiene, tra gli altri, un passaggio molto bello: «Quando alla nostra porta bussa la mano straniera con sincera fiducia: chiunque sia, se viene da vicino oppure da lontano, di giorno o di notte, sul nostro tavolo ci sarà il dono di Dio ad attenderlo» (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). Il dono di Dio sia presente sulle tavole di ciascuno perché, mentre ancora non siamo in grado di condividere la stessa mensa eucaristica, possiamo ospitare insieme Gesù servendolo nei poveri. Sarà un segno più evocativo di molte parole, che aiuterà la società civile a comprendere, specialmente in questo periodo sofferto, che solo stando dalla parte dei più deboli usciremo davvero tutti insieme dalla pandemia.

Cari fratelli, vi ringrazio per la vostra presenza e per il vostro cammino: il carattere mite e accogliente, tipico del popolo slovacco, la tradizionale convivenza pacifica tra di voi e la vostra collaborazione per il bene del Paese sono preziosi per il fermento del Vangelo. Vi incoraggio ad andare avanti nel cammino ecumenico, tesoro prezioso e irrinunciabile. Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.

[01190-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers Membres du Conseil Œcuménique des Eglises en République slovaque,

je vous salue cordialement et vous remercie d’avoir accepté l’invitation et d’être venus à ma rencontre: moi en tant que pèlerin en Slovaquie, vous comme hôtes bienvenus à la Nonciature ! Je suis content que la première rencontre soit avec vous: c’est un signe que la foi chrétienne est – et veut être –, dans ce pays, germe d’unité et levain de fraternité. Merci Béatitude, Frère Rastislav, pour votre présence; merci cher Monseigneur Ivan, Président du Conseil Œcuménique, pour les paroles que vous m’avez adressées et qui témoignent de la volonté de continuer à marcher ensemble pour passer du conflit à la communion.

La marche de vos communautés a repris après les années de persécution athéiste, alors que la liberté religieuse était interdite ou mise à dure épreuve. Enfin, elle est arrivée. Et maintenant vous avez en commun une partie du parcours sur lequel vous expérimentez combien il est beau, mais en même temps difficile, de vivre la foi comme des personnes libres. En effet il existe la tentation de redevenir esclaves, certes, non pas d’un régime, mais d’un esclavage encore pire, l’esclavage intérieur.

C’est ce contre quoi Dostoïevski mettait en garde dans un récit célèbre, la Légende du Grand Inquisiteur. Jésus est revenu sur la Terre et est emprisonné. L’inquisiteur prononce des paroles cinglantes: l’accusation qu’il porte est précisément celle d’avoir donné trop d’importance à la liberté des hommes. Il lui dit: «Tu veux aller au monde les mains vides, en prêchant aux hommes une liberté que leur sottise et leur ignominie naturelles les empêchent de comprendre, une liberté qui leur fait peur, car il n’y a et il n’y a jamais rien eu de plus intolérable pour l’homme!» (Les Frères Karamazov, Galimard 1994, p.644). Et il augmente la dose, en ajoutant que les hommes sont disposés à échanger volontiers leur liberté avec l’esclavage le plus confortable, celui qui consiste à se soumettre à quelqu’un qui décide pour eux, pour avoir du pain et une sécurité. Et il en arrive ainsi à reprocher à Jésus de ne pas avoir voulu devenir César pour plier la conscience des hommes et établir la paix par la force. Au contraire, il continué à préférer pour l’homme la liberté, alors que l’humanité réclame “du pain et rien d’autre”.

Chers Frères, que cela ne nous arrive pas; aidons-nous à ne pas tomber dans le piège de se contenter de pain et de rien d’autre. Car ce risque survient lorsque la situation se normalise, lorsque nous nous sommes établis et que nous nous installons dans le but de mener une vie tranquille. Alors, ce que l’on vise n’est plus «la liberté que nous avons dans le Christ Jésus» (Ga 2, 4), sa vérité qui nous rend libres (cf. Jn 8, 32), mais l’obtention d’espaces et de droits qui, selon l’Evangile, sont “du pain et rien d’autre”. Ici, au cœur de l’Europe, on en vient à se demander: nous chrétiens, n’avons-nous pas un peu perdu l’ardeur de l’annonce et la prophétie du témoignage? Est-ce la Vérité de l’Evangile qui nous rend libres, ou bien nous sentons-nous libres lorsque nous nous dégageons des comfort zone qui nous permettent de nous gérer et d’avancer sereinement sans contrecoups particuliers? Et encore, en nous contentant de pain et de sécurité, n’avons-nous pas perdu l’élan dans la recherche de l’unité implorée par Jésus? Unité qui exige certainement une liberté mûre de choix forts - renoncements et sacrifices - mais qui est la condition préalable pour que le monde croie. (cf. Jn 17, 21). Ne nous intéressons pas seulement à ce qui peut servir à nos différentes communautés. La liberté du frère et de la sœur est aussi notre liberté, parce que notre liberté n’est pas complète sans lui ou elle.

Ici l’évangélisation est née de manière fraternelle, en portant le sceau des saints frères de Thessalonique Cyrille et Méthode. Ceux-ci, témoins d’une chrétienté encore unie et enflammée par l’ardeur de l’annonce, nous aident à poursuivre le chemin en cultivant la communion fraternelle entre nous au nom de Jésus.

Par ailleurs, comment pouvons-nous souhaiter une Europe qui retrouve ses racines chrétiennes si nous sommes nous-mêmes les premiers déracinés de la pleine communion? Comment pouvons-nous rêver d’une Europe libre d’idéologies si nous n’avons pas la liberté de faire passer la liberté de Jésus avant les nécessités des différents groupes de croyants? Il est difficile d’exiger une Europe davantage fécondée par l’Evangile sans se préoccuper du fait que nous sommes encore divisés entre nous sur le continent et sans prendre soin les uns des autres. Des calculs de convenance, des raisons historiques et des liens politiques ne peuvent pas être des obstacles inébranlables sur notre chemin. Que les saints Cyrille et Méthode, «précurseurs de l’œcuménisme» (S. Jean-Paul II, Lett.enc. Slavorum Apostoli, n. 14), nous aident à nous prodiguer pour une réconciliation des diversités dans l’Esprit Saint; pour une unité qui, sans être uniformité, soit un signe et un témoignage de la liberté du Christ, le Seigneur qui dénoue les nœuds du passé et nous guérit de nos peurs et de nos timidités.

A leur époque, Cyrille et Méthode ont permis que la Parole divine s’incarne sur ces terres (cf. Jn 1, 14). Je voudrais vous proposer deux suggestions dans cette perspective, des conseils fraternels pour répandre l’Evangile de la liberté et de l’unité aujourd’hui. Le premier conseil, la première suggestion concerne la contemplation. Un caractère distinctif des peuples slaves, qu’il vous appartient ensemble de conserver, c’est le trait contemplatif, qui, à partir d’une foi expérimentale, va au-delà des conceptualisations philosophiques et même théologiques, et qui sait accueillir le mystère. Aidez-vous à cultiver cette tradition spirituelle dont l’Europe a tant besoin: l’Occident religieux en particulier en a soif, pour retrouver la beauté de l’adoration de Dieu et l’importance de ne pas concevoir avant tout la communauté de foi sur la base d’une efficacité programmatique et fonctionnelle.

Le deuxième conseil concerne en revanche l’action. L’unité ne s’obtient pas tant avec de bonnes intentions ni par l’adhésion à quelques valeurs communes, mais en faisant quelque chose ensemble pour ceux qui nous rapprochent davantage du Seigneur. Qui sont-ils? Ce sont les pauvres parce que Jésus est présent en eux (cf. Mt 25, 40). Partager la charité ouvre des horizons plus larges et aide à marcher plus vite, en surmontant les préjugés et les malentendus. Et c’est aussi une caractéristique qui trouve un accueil véritable dans ce pays où on apprend par cœur à l’école une poésie qui contient, entre autres, un très beaupassage : «Lorsque la main étrangère frappe à notre porte avec une confiance sincère: qui que ce soit, s’il vient d’à côté ou de loin, de jour ou de nuit, sur notre table il y aura le don de Dieu à l’attendre» (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). Que le don de Dieu soit présent sur la table de chacun afin que, même si nous ne sommes pas encore capables de partager le même repas eucharistique, nous puissions accueillir ensemble Jésus en le servant dans les pauvres. Ce sera un signe plus évocateur que de nombreuses paroles, et aidera la société civile à comprendre, spécialement en ce temps de souffrance, que c’est seulement en étant du côté des plus faibles que nous sortirons vraiment tous ensemble de la pandémie.

Chers frères, je vous remercie pour votre présence et pour votre cheminement: le caractère doux et accueillant, typique du peuple slovaque, la traditionnelle cohabitation pacifique entre vous et votre collaboration pour le bien du pays sont précieuses pour la fermentation de l’Evangile. Je vous encourage à avancer sur le chemin œcuménique, trésor précieux et indispensable. Je vous assure de mon souvenir dans la prière et vous demande, s’il vous plaît, de prier pour moi. Merci.

[01190-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear Members of the Ecumenical Council of the Churches in Slovakia,

I offer you a cordial greeting and I thank you for accepting my invitation and coming here to be with me. I am here as a pilgrim in Slovakia, and you are here as welcome guests in this Nunciature! I am pleased that my very first meeting is with you. It is a sign that the Christian faith is – and desires to be – a seed of unity and leaven of fraternity in this country. I thank Your Beatitude, dear brother Rastislav, for your presence. I am grateful, dear Bishop Ivan, President of the Ecumenical Council, for your words that bear witness to your commitment to continue to walk together in moving from conflict to communion.

Your communities made a new start after the years of atheistic persecution, when religious freedom was stifled or harshly repressed. Then, finally, that freedom returned. Now you are sharing a similar experience of growth in which you are coming to discover how beautiful, but also how difficult it is to live your faith in freedom. For there is always the temptation to return to bondage, not that of a regime, but one even worse: an interior bondage.

That is what Dostoevsky warned about in his celebrated Legend of the Grand Inquisitor. Jesus comes back to the earth and is once again imprisoned. The inquisitor minces no words: he accuses Jesus of having overestimated human freedom. He tells him: “You want to go into the world empty-handed, with the promise of freedom that they, in their simplicity and innate disorder cannot even imagine, a freedom appalling and terrifying, for nothing has ever been more unbearable for man than to be free!” (The Brothers Karamazov, Part II, Book V, Ch. 5). He goes even further, adding that men are quick to barter their freedom for a more comfortable slavery: that of submitting to someone who will make decisions for them, as long as they have bread and security. He even reproaches Jesus for not choosing to become Caesar, in order to subdue men’s consciences and establish peace by force. Instead, Jesus continued to offer freedom, whereas humanity cries out for “bread and little else”.

Dear brothers, may this not happen to us! Let us help one another never to fall into the trap of being satisfied with bread and little else. It is a danger that makes itself felt once we think situations are back to normal, when we feel that things have quieted down and we settle into the hope of a peaceful and tranquil life. Then our goal is no longer “the freedom we have in Christ Jesus” (Gal 2:4), his truth that sets us free (cf. Jn 8:32), but the staking out of spaces and privileges, which, as far as the Gospel is concerned, are “bread and little else”. Here, from the heart of Europe, we can ask: have we Christians lost some of our zeal for the preaching of the Gospel and for prophetic witness? Does the truth of the Gospel set us free? Or do we think we are free when we can mark out comfort zones that allow us to keep everything under control and calmly go our way without particular setbacks? Content with bread and security, have we lost our momentum in seeking the unity for which Jesus prayed, a unity that surely demands the mature freedom born of firm decisions, endurance and sacrifice, but which is also a reason for the world to believe (cf. Jn 17:21)? Let us not be concerned only with the things that can benefit our individual communities. The freedom of our brothers and sisters is also our freedom, since our freedom is not complete without theirs.

In these lands, evangelization began with brotherhood and was sealed by the holy brothers Cyril and Methodius of Thessalonica. As witnesses of a Christianity still marked by unity and zeal for the preaching of the Gospel, may they help us to persevere on our journey by fostering our fraternal communion in the name of Jesus. For that matter, how can we hope that Europe will rediscover its Christian roots when we ourselves are not rooted in full communion? How can we dream of a Europe free of ideologies if we lack the courage to put the freedom of Christ before the needs of individual groups of believers? It is hard to expect Europe to be increasingly influenced and enriched by the Gospel if we are untroubled by the fact that on this continent we are not yet fully united and are unconcerned for one another. Particular interests, historical reasons and political ties should not be insurmountable obstacles in our path. May Saints Cyril and Methodius, “precursors of ecumenism” (SAINT JOHN PAUL II, Slavorum Apostoli, 14) help us make every effort to work for a reconciliation of diversity in the Holy Spirit. May they help us attain a unity that, without being uniformity, is capable of being a sign and witness to the freedom of Christ, the Lord who loosens the bonds of the past and heals us of all fear and anxiety.

In their time, Cyril and Methodius enabled the word of God to take flesh in these lands (cf. Jn 1:14). Here I would like to share with you two suggestions as fraternal advice for spreading the Gospel of freedom and unity today. The first concerns contemplation. A distinctive feature of the Slavic peoples, one which you are together called to preserve, is the contemplative spirit that, on the basis of an experiential faith, passes beyond philosophical and even theological concepts to embrace the mystery. Help one another to cultivate this spiritual tradition, which Europe greatly needs. The Church in the West in particular thirsts for this, to rediscover the beauty of the worship of God and the importance of not viewing the community of faith primarily in terms of programmes and organizational efficiency.

The second suggestion concerns action. Unity is not attained so much by good intentions and agreement about some shared value, but by doing something concrete, together, for those who bring us closest to the Lord. Who are they? They are the poor, for in them Jesus is present (cf. Mt 25:40). Sharing in works of charity can open up broader horizons and help us to make greater progress in overcoming prejudice and misunderstanding. It is also a quality that is traditionally important in this country, whose schoolchildren learn by heart a poem containing these very beautiful lines: “When a stranger knocks on our door in heartfelt trust: whoever he or she may be, whether coming from near or afar, day or night, God’s gift will be waiting on our table” (SAMO CHALUPKA, Mor ho !, 1864). May the gift of God be present on the table of all, so that, even though we are not yet able to share the same Eucharistic meal, we can welcome Jesus together by serving him in the poor. It will be a sign more eloquent than a multitude of words, and will help civil society to understand, especially in these troubled times, that only by being on the side of the weakest can we all, together, survive the present pandemic.

Dear brothers and sisters, I thank you for your presence and for the journey you are making together. The kindness and hospitality typical of the Slovak people, your tradition of peaceful coexistence and your cooperation for the welfare of the country are precious for spreading the Gospel. I encourage you to pursue your ecumenical journey, so necessary and enriching. I assure you of a remembrance in my prayers, and I ask you, please, to remember me in your own. Thank you.

[01190-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Mitglieder des Ökumenischen Rates der Kirchen in der Slowakischen Republik,

ich grüße euch herzlich und danke euch, dass ihr die Einladung angenommen habt und mir entgegengekommen seid. Ich bin hier als Pilger in der Slowakei und ihr als geschätzte Gäste in der Nuntiatur! Ich freue mich, dass diese Begegnung mit euch am Beginn meines hiesigen Aufenthalts steht. Dies ist ein Zeichen dafür, dass der christliche Glaube in diesem Land eine Keimzelle der Einheit und ein Sauerteig der Geschwisterlichkeit ist – und sein will. Danke, Eure Seligkeit, verehrter Bruder Rastislav, für Ihre Anwesenheit; danke, lieber Bischof Ivan, Präsident des Ökumenischen Rates, für die Worte, die Sie an mich gerichtet haben und die die Entschlossenheit zu einem gemeinsamen Weg bezeugen, um vom Konflikt zur Gemeinschaft zu gelangen.

Der Weg eurer Gemeinschaften hat nach den Jahren der atheistischen Verfolgung, in denen die Religionsfreiheit verhindert oder auf eine harte Probe gestellt wurde, wieder Fahrt aufgenommen. Endlich gab es Religionsfreiheit. Und nun geht ihr ein Stück des Weges gemeinsam, wobei ihr erfahrt, wie schön, aber auch wie schwierig es ist, den Glauben als freie Menschen zu leben. Es besteht in der Tat die Versuchung, wieder zu Sklaven zu werden, nicht eines Regimes, sondern einer noch schlimmeren Sklaverei, nämlich der inneren.

Davor warnte Dostojewski in der berühmten Erzählung Der Großinquisitor. Jesus ist auf die Erde zurückgekehrt und wird gefangengenommen. Der Inquisitor geht ihn mit harten Wort an. Er wirft ihm vor, der menschlichen Freiheit zu viel Bedeutung beigemessen zu haben. Er sagt zu ihm: »Du willst in die Welt gehen, und du gehst mit leeren Händen dorthin, mit der Verheißung einer Freiheit, die die Menschen in ihrer Einfalt und ihrer angeborenen Verwirrtheit nicht einmal begreifen können, die sie in Angst und Schrecken versetzt, weil für den Menschen nichts jemals unerträglicher war als die Freiheit!“« (Die Brüder Karamasow). Und er geht noch weiter und fügt hinzu, dass die Menschen gerne bereit sind, ihre Freiheit gegen eine bequemere Form der Sklaverei einzutauschen, nämlich die, sich jemandem zu unterwerfen, der für einen entscheidet, nur um Brot und Sicherheit zu haben. Und so wirft er Jesus schließlich vor, dass er nicht Kaiser werden wollte, wodurch er das Gewissen der Menschen beugen und mit Gewalt Frieden hätte stiften können. Stattdessen hielt er lieber an der Freiheit des Menschen fest, während die Menschheit „Brot und kaum etwas Anderes“ verlangt.

Liebe Brüder und Schwestern, das möge uns nicht passieren; stehen wir einander bei, damit wir nicht in diese Falle tappen und uns mit Brot und kaum etwas Anderem begnügen. Denn dieses Risiko entsteht, wenn die Lage sich normalisiert, wenn wir uns eingerichtet haben und uns damit zufriedengeben ein ungestörtes Leben zu führen. Dann geht es uns nicht mehr um die »Freiheit, die wir in Christus Jesus haben« (Gal 2,4), um seine Wahrheit, die uns befreit (vgl. Joh 8,32), sondern darum, Raum und Rechte zu erlangen. Und das ist nach dem Evangelium „Brot und kaum etwas Anderes“. Hier, im Herzen Europas, stellt sich die Frage: Haben wir Christen nicht ein wenig den Eifer der Verkündigung und die prophetische Kraft des Zeugnisses verloren? Ist es die Wahrheit des Evangeliums, die uns befreit, oder fühlen wir uns frei, wenn wir Komfortzonen einrichten, die es uns erlauben, uns selbst zu verwalten und ohne besondere Rückschläge einfach ruhig weiterzumachen? Und haben wir, wenn wir uns mit Brot und einigen Sicherheiten begnügen, nicht vielleicht den Schwung bei der Suche nach der von Jesus beschworenen Einheit verloren, einer Einheit, die gewiss die reife Freiheit starker Entscheidungen, Verzicht und Opfer erfordert, aber Voraussetzung dafür ist, dass die Welt glaube? (vgl. Joh 17,21). Wir sollten uns nicht nur für das interessieren, was für unsere einzelnen Gemeinschaften nützlich erscheint. Die Freiheit unseres Bruders und unserer Schwester ist auch unsere Freiheit, denn ohne ihn oder sie ist unsere Freiheit nicht vollständig.

Hier begann die Evangelisierung auf brüderliche Weise und sie trug das Siegel der heiligen Brüder Kyrill und Methodius aus Thessaloniki. Mögen sie, als Zeugen eines noch geeinten und vom Eifer der Verkündigung entflammten Christentums, uns helfen, den Weg weiterzugehen und miteinander im Namen Jesu geschwisterliche Gemeinschaft zu pflegen. Wie können wir sonst auf ein Europa hoffen, das seine christlichen Wurzeln wiederentdeckt, wenn wir die ersten sind, welche die ursprüngliche volle Gemeinschaft vermissen lassen? Wie können wir von einem ideologiefreien Europa träumen, wenn wir nicht die Freiheit haben, die Freiheit Jesu über die Bedürfnisse einzelner Gruppen von Gläubigen zu stellen? Es ist schwierig, ein mehr vom Evangelium befruchtetes Europa zu fordern, ohne sich darüber Sorgen zu machen, dass wir auf dem Kontinent noch immer untereinander gespalten sind und uns nicht umeinander kümmern. Zweckmäßigkeitskalküle, historische Gründe und politische Bindungen dürfen keine unüberwindbaren Hindernisse auf unserem Weg sein. Die heiligen Kyrill und Methodius, diese »Wegbereiter der Ökumene« (Johannes Paul II., Enzyklika Slavorum Apostoli, 14), mögen uns helfen, nach einer im Heiligen Geist versöhnten Verschiedenheit zu streben; nach einer Einheit, die, ohne Uniformität zu sein, Zeichen und Zeugnis der Freiheit Christi ist, unseres Herrn, der die Fesseln der Vergangenheit löst und uns von unseren Ängsten und Zögerlichkeiten heilt.

Zu ihrer Zeit ermöglichten Kyrill und Methodius, dass das göttliche Wort sich in dieser Gegend hier inkarnierte (vgl. Joh 1,14). In diesem Sinne möchte ich euch zwei Vorschläge unterbreiten, brüderliche Ratschläge, um das Evangelium der Freiheit und der Einheit heute zu verkünden. Der erste Rat, der erste Vorschlag, betrifft die Kontemplation. Ein besonderes Merkmal der slawischen Völker, das ihr gemeinsam zu bewahren habt, ist der kontemplative Zug, der von einem erfahrungsbezogenen Glauben ausgeht, der offen ist für das Geheimnis und über die philosophische und auch theologische Begriffsfassung hinausgeht. Helft einander, diese geistliche Tradition zu pflegen, die Europa so sehr braucht. Gerade der kirchliche Westen dürstet danach, um die Schönheit der Anbetung Gottes wiederzuentdecken und zu erkennen, wie wichtig es ist, die Gemeinschaft des Glaubens nicht in erster Linie auf der Grundlage programmatischer und funktionaler Effizienz zu konzipieren.

Der zweite Ratschlag betrifft das Handeln. Einheit wird nicht so sehr durch gute Absichten und das Bekenntnis zu dem ein oder anderen gemeinsamen Wert erreicht, sondern dadurch, dass man gemeinsam etwas für diejenigen tut, die uns dem Herrn in besonderer Weise näherbringen. Wer sind diese? Es sind die Armen, weil Jesus in ihnen gegenwärtig ist (vgl. Mt 25,40). Gemeinsam geübte Nächstenliebe öffnet Horizonte und hilft uns, schneller voranzugehen und Vorurteile und Missverständnisse zu überwinden. Und auch sie ist eine Eigenschaft, die gut zu diesem Land passt, lernt man hier in der Schule doch ein Gedicht auswendig, das folgende sehr schöne Passage enthält: »Wenn die Hand eines Fremden mit aufrichtigem Vertrauen an unsere Tür klopft – wer immer es sei, ob von nah oder fern, ob am Tag oder bei Nacht, auf unserem Tisch wird Gottes Gabe auf ihn warten« (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). Möge die Gabe Gottes auf den Tischen eines jeden von uns zu finden sein, damit wir, auch wenn wir uns noch nicht um denselben eucharistischen Tisch versammeln können, Jesus gemeinsam aufnehmen können, indem wir ihm in den Armen dienen. Dieses Zeichen wird aussagekräftiger sein als viele Worte und wird der Zivilgesellschaft, insbesondere in diesen schwierigen Zeiten, helfen, zu verstehen, dass wir nur dann wirklich alle zusammen die Pandemie hinter uns lassen werden, wenn wir uns auf die Seite der Schwächsten stellen.

Liebe Brüder, ich danke euch für eure Anwesenheit und für euren Weg. Der gütige und gastfreundliche Charakter, der für das slowakische Volk typisch ist, euer traditionell friedliches Zusammenleben und eure Zusammenarbeit zum Wohle des Landes sind wertvoll für die Entfaltung des Evangeliums. Ich ermutige euch, den ökumenischen Weg weiterzugehen, der ein wertvoller und unverzichtbarer Schatz ist. Ich versichere euch meines Gedenkens im Gebet und bitte euch, für mich zu beten. Danke.

[01190-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos miembros del Consejo Ecuménico de las Iglesias en la República Eslovaca:

Los saludo cordialmente y les agradezco por haber aceptado la invitación y por haber venido a mi encuentro. Yo, peregrino en Eslovaquia, ustedes, distinguidos huéspedes en la Nunciatura. Estoy contento de que el primer encuentro sea con ustedes: es un signo de que la fe cristiana es —y quiere ser—semilla de unidad y levadura de fraternidad en este país. Gracias Beatitud, Hermano Rastislav, por su presencia; gracias, querido Obispo Ivan, Presidente del Consejo Ecuménico, por las palabras que me ha dirigido y que testimonian el esfuerzo de querer seguir caminando juntos para pasar del conflicto a la comunión.

El camino de sus comunidades ha vuelto a comenzar después de los años de la persecución ateísta, cuando no había libertad religiosa, o esta era duramente probada. Después, finalmente, llegó. Y ahora los une un tramo de camino en el que experimentan lo hermoso, aunque al mismo tiempo difícil, que es vivir la fe como personas libres. Existe en efecto la tentación de volver a ser esclavos, no ciertamente de un régimen, sino de una esclavitud todavía peor, la interior.

Es esto lo que advertía Dostoyevski en un relato célebre, la Leyenda del Gran Inquisidor. Jesús vuelve a la tierra y es encarcelado. El inquisidor le dirige palabras hirientes, lo acusa precisamente de haber dado demasiada importancia a la libertad de los hombres. Le dice: «Quieres ir por el mundo con las manos vacías, predicando una libertad que los hombres, en su estupidez y su ignominia naturales, no pueden comprender; una libertad que los atemoriza, pues no hay ni ha habido jamás nada más intolerable para el hombre y para la sociedad que ser libres» (Los Hermanos Karamazov). Y sube el tono, agregando que los hombres están dispuestos a intercambiar gustosamente su libertad por una esclavitud más cómoda, la de someterse a alguien que decida por ellos, con tal de tener pan y seguridades. Y así llega a reprochar a Jesús el no haber querido convertirse en César, para doblegar la conciencia de los hombres y establecer la paz con la fuerza. En cambio, continuó prefiriendo para el hombre la libertad, mientras la humanidad reclama “pan y poco más”.

Queridos hermanos, que no nos pase esto; ayudémonos a no caer en la trampa de contentarnos con pan y poco más. Porque este riesgo sobreviene cuando la situación se normaliza, cuando nos estabilizamos y nos acostumbramos, aspirando a mantener una vida tranquila. Entonces, a lo que se apunta no es más a «la libertad que tenemos en Cristo Jesús» (Ga 2,4), a su verdad que nos hace libres (cf. Jn 8,32), sino a obtener espacios y privilegios. Que, según el Evangelio, es “pan y poco más”. Aquí, desde el corazón de Europa, nos preguntamos: nosotros cristianos, ¿hemos perdido un poco el ardor del anuncio y la profecía del testimonio? ¿Es la verdad del Evangelio lo que nos hace libres o nos sentimos libres cuando conseguimos zonas de confort que nos permitan organizarnos y seguir adelante tranquilos sin mayores consecuencias? E incluso, contentándonos con pan y seguridades, ¿no habremos perdido tal vez el impulso en la búsqueda de la unidad implorada por Jesús, unidad que ciertamente exige esa libertad madura de decisiones fuertes, de renuncias y sacrificios, pero que es la premisa para que el mundo crea? (cf. Jn 17,21). No nos interesemos solamente de lo que puede beneficiar a nuestras comunidades particulares. La libertad del hermano y de la hermana es también nuestra libertad, porque nuestra libertad no es plena sin él y sin ella.

Aquí la evangelización ha surgido de manera fraterna, llevando impreso el sello de los santos hermanos de Tesalónica Cirilo y Metodio. Que ellos, testigos de una cristiandad todavía unida e inflamada del ardor del anuncio, nos ayuden a proseguir en el camino cultivando la comunión fraterna entre nosotros en el nombre de Jesús. Por otra parte, ¿cómo podemos desear una Europa que vuelva a encontrar las propias raíces cristianas si somos nosotros los primeros desarraigados de la plena comunión? ¿Cómo podemos soñar una Europa libre de ideologías, si no somos libres para anteponer la valentía de Jesús a las necesidades de los distintos grupos de creyentes? Es difícil exigir una Europa más fecundada por el Evangelio sin advertir el hecho de que en el continente aún no estamos unidos plenamente entre nosotros, y sin preocuparnos unos de otros. Cálculos de conveniencia, razones históricas y vínculos políticos no pueden ser obstáculos inamovibles en nuestro camino. Que nos ayuden los santos Cirilo y Metodio, «precursores del ecumenismo» (S. Juan Pablo II, Carta enc. Slavorum Apostoli, 14), a prodigarnos por una reconciliación de las diversidades en el Espíritu Santo; por una unidad que, sin ser uniformidad, sea signo y testimonio de la libertad de Cristo, el Señor que desata los nudos del pasado y cura del miedo y las inseguridades.

En su tiempo, Cirilo y Metodio hicieron posible que la Palabra divina se encarnara en estas tierras (cf. Jn 1,14). En esta perspectiva, quisiera compartir con ustedes dos sugerencias, consejos fraternos para difundir el Evangelio de la libertad y de la unidad hoy. El primer consejo, la primera sugerencia se refiere a la contemplación. Un carácter distintivo de los pueblos eslavos, que ustedes tienen que conservar juntos, es el rasgo contemplativo, que va más allá de las conceptualizaciones filosóficas e incluso teológicas, a partir de una fe experiencial, que sabe acoger el misterio. Ayúdense a cultivar esta tradición espiritual, que Europa tanto necesita; en particular tiene sed de ella el Occidente eclesial, para volver a encontrar la belleza de la adoración de Dios y la importancia de no concebir la comunidad de fe principalmente sobre la base de una eficiencia programática y funcional.

El segundo consejo concierne en cambio a la acción. La unidad no se obtiene tanto con los buenos propósitos y con la adhesión a algún valor común, sino haciendo algo juntos por los que nos acercan más al Señor. ¿Quiénes son? Son los pobres, porque en ellos Jesús está presente (cf. Mt 25,40). Compartir la caridad abre horizontes más amplios y ayuda a caminar más ligeros, superando prejuicios y malentendidos. Y también eso es una característica que encuentra una acogida genuina en este país, donde en la escuela se aprende de memoria una poesía que contiene, entre otros, un pasaje muy hermoso: «Cuando la mano forastera llame a nuestra puerta con sincera confianza, sea quien sea, venga de cerca o de lejos, de día o de noche, el don de Dios estará esperándolo en nuestra mesa» (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). Que el don de Dios esté presente en las mesas de cada uno para que, mientras no compartamos la misma mesa eucarística, podamos al menos acoger juntos a Jesús sirviéndolo en los pobres. Será un signo más evocador que muchas palabras, que ayudará a la sociedad civil a comprender, especialmente en este período de sufrimiento, que sólo estando de parte de los más débiles saldremos en verdad de la pandemia todos juntos.

Queridos hermanos, les agradezco su presencia y su camino. El carácter afable y acogedor, típico del pueblo eslovaco, la tradicional convivencia pacífica entre ustedes y su colaboración por el bien del país son importantes para el fermento del Evangelio. Los animo a seguir adelante en el camino ecuménico, tesoro valioso e irrenunciable. Les aseguro mi recuerdo en la oración y les pido, por favor, que recen por mí. Gracias.

[01190-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Queridos membros do Conselho Ecuménico das Igrejas na República Eslovaca,

Saúdo-vos cordialmente e vos agradeço terdes acolhido o convite para me vir encontrar: eu, peregrino na Eslováquia, vós, hóspedes bem-vindos na Nunciatura! Estou contente por o primeiro encontro ser convosco: constitui um sinal de que a fé cristã é – e quer ser – neste país semente de unidade e fermento de fraternidade. Obrigado, Beatitude, Irmão Rastislav, pela sua presença; obrigado, querido Bispo Ivan, Presidente do Conselho Ecuménico, pelas palavras que me dirigiu, nelas testemunhando o empenho em querer continuar a caminhar juntos para passar do conflito à comunhão.

O caminho das vossas comunidades pôde ser retomado após os anos da perseguição ateia em que a liberdade religiosa esteve impedida ou sujeita a dura prova. Depois, finalmente, aquela chegou. E agora tendes em comum uma parte do caminho, experimentando como é belo, mas ao mesmo tempo difícil, viver a fé em liberdade. De facto, existe a tentação de voltar a ser escravos, não certamente dum regime, mas duma escravidão ainda pior: a interior.

Para isto mesmo, advertia Dostoiévski numa célebre narrativa, O Grande Inquisidor. Jesus voltou à terra e foi preso. O inquisidor dirige-Lhe palavras mordazes: a acusação que Lhe faz é precisamente a de ter dado demasiada importância à liberdade dos homens. Diz-Lhe: «Queres ir pelo mundo e vais de mãos vazias, com uma promessa de liberdade que eles, na sua simplicidade e no seu natural desregramento, não podem sequer compreender e de que têm medo; porque é que nada foi nunca tão insuportável para o homem e para a sociedade humana como a liberdade?» (Os Irmãos Karamázov, Lisboa 2012, p. 258). E insiste, acrescentando que os homens estão dispostos a trocar, de boa vontade, a sua liberdade por uma escravidão mais cómoda – a de sujeitar-se a quem decida por eles –, contanto que tenham pão e segurança. Chega assim ao ponto de censurar Jesus por não ter querido tornar-Se César para dominar a consciência dos homens e estabelecer a paz pela força. Em vez disso, continuou a preferir a liberdade para o homem, enquanto a humanidade reivindica apenas «pão e pouco mais».

Queridos Irmãos, que isto não aconteça connosco! Ajudemo-nos a não cair na armadilha de nos contentarmos com pão e pouco mais. Pois este risco sobrevém quando a situação se normaliza, quando nos estabelecemos e acomodamos desejando levar uma vida tranquila. Assim, o objetivo em vista deixa de ser a liberdade «que temos em Cristo Jesus» (Gal 2, 4), a sua verdade que nos faz livres (cf. Jo 8, 32), e passa a ser a obtenção de espaços e privilégios, que, segundo o Evangelho, são «pão e pouco mais». Daqui, do coração da Europa, perguntemo-nos: Será que nós, cristãos, perdemos um pouco o ardor do anúncio e a profecia do testemunho? É a verdade do Evangelho que nos faz livres, ou então sentimo-nos livres quando alcançamos zonas de conforto que nos permitem gerir a vida e avançar tranquilos sem particulares contratempos? Mais ainda: contentando-nos com pão e segurança, será que não perdemos o ímpeto na busca da unidade que Jesus implorou, uma unidade que certamente requer a liberdade madura de opções fortes, renúncias e sacrifícios, mas é a premissa para que o mundo creia (cf. Jo 17, 21)? Não nos preocupemos apenas com o que possa ser útil às nossas próprias comunidades; a liberdade do irmão e da irmã é também a nossa liberdade, porque, sem a dele e a dela, não será plena a nossa liberdade.

Aqui, a evangelização nasceu de modo fraterno, trazendo impresso o selo dos santos irmãos de Tessalónica, Cirilo e Metódio. Que eles, testemunhas dum cristianismo ainda unido e inflamado pelo ardor do anúncio, nos ajudem a continuar o caminho, cultivando entre nós a comunhão fraterna no nome de Jesus. Caso contrário, como podemos desejar uma Europa que reencontre as suas raízes cristãs, se somos nós os primeiros desarraigados da plena comunhão? Como podemos sonhar com uma Europa livre de ideologias, se não temos a coragem de antepor a liberdade de Jesus às necessidades dos grupos particulares de crentes? É difícil exigir uma Europa mais fecundada pelo Evangelho sem se preocupar com o facto de ainda não estarmos plenamente unidos entre nós no continente e sem cuidarmos uns dos outros. Cálculos de conveniência, razões históricas e laços políticos não podem ser obstáculos irremovíveis no nosso caminho. Que os Santos Cirilo e Metódio, «precursores do ecumenismo» (São João Paulo II, Carta enc. Slavorum Apostoli, 14), nos ajudem a trabalhar pela reconciliação das diferenças no Espírito Santo; por uma unidade que, sem ser uniformidade, se revele sinal e testemunho da liberdade de Cristo, o Senhor que desata as amarras do passado e nos cura dos medos e da timidez.

No seu tempo, Cirilo e Metódio tornaram possível que a Palavra de Deus se encarnasse nestas terras (cf. Jo 1, 14). Gostaria de partilhar convosco duas sugestões nesta perspetiva, conselhos fraternos para a difusão do Evangelho da liberdade e da unidade no tempo atual. O primeiro conselho, a primeira sugestão diz respeito à contemplação. Um traço distintivo dos povos eslavos, que cabe a vós unidos conservar, é a dimensão contemplativa, que ultrapassa as conceptualizações filosóficas e mesmo teológicas a partir duma fé vivida que sabe acolher o mistério. Ajudai-vos mutuamente a cultivar esta tradição espiritual de que a Europa tanto necessita: particularmente tem sede dela o Ocidente eclesial para redescobrir a beleza da adoração de Deus e a importância de não conceber a comunidade de fé primariamente segundo uma eficiência programática e funcional.

O segundo conselho, por sua vez, diz respeito à ação. A unidade não se alcança tanto com os bons propósitos e a adesão a qualquer valor comum, como sobretudo fazendo algo em conjunto por aqueles que mais nos aproximam do Senhor. Quem são? Os pobres, porque neles está presente Jesus (cf. Mt 25, 40). A partilha da caridade abre horizontes mais amplos e ajuda a caminhar mais rápido, superando preconceitos e equívocos. Trata-se de um traço que encontra também genuína aceitação neste país, como demonstra esta estupenda passagem dum poema que se aprende de cor na escola: «Quando uma mão estrangeira bate à nossa porta com sincera confiança: seja quem for, venha de perto ou de longe, chegue de dia ou de noite, aguarda-o sobre a nossa mesa o dom de Deus» (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). Que o dom de Deus esteja presente sobre a mesa de todos, pois, embora ainda não possamos partilhar a mesma Mesa Eucarística, podemos hospedar juntos Jesus, servindo-O nos pobres. Será um sinal mais sugestivo do que muitas palavras, que ajudará a sociedade civil a compreender, especialmente neste período doloroso, que só estando do lado dos mais fracos poderemos sair verdadeiramente todos juntos da pandemia.

Queridos irmãos, agradeço-vos a vossa presença e o vosso caminho: o caráter sereno e acolhedor, típico do povo eslovaco, a tradicional convivência pacífica entre vós, e a vossa colaboração em prol do bem do país são elementos preciosos para o crescimento do Evangelho. Encorajo-vos a prosseguir no caminho ecuménico, tesouro irrenunciável e valioso. Asseguro a vossa recordação nas minhas orações e peço-vos, por favor, que rezeis por mim. Obrigado!

[01190-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy Członkowie Ekumenicznej Rady Kościołów w Republice Słowackiej

Pozdrawiam was serdecznie i dziękuję, że przyjęliście zaproszenie i przybyliście na spotkanie ze mną: jestem pielgrzymem na Słowacji, a wy, mile widzianymi gośćmi w Nuncjaturze! Cieszę się, że moje pierwsze spotkanie jest z wami: to znak, że wiara chrześcijańska jest - i chce być - w tym kraju ziarnem jedności i zaczynem braterstwa. Wielce Błogosławiony Bracie Rościsławie dziękuję za Twoją obecność; dziękuję drogi Biskupie Iwanie, Przewodniczący Ekumenicznej Rady, za słowa, jakie skierowałeś do mnie, świadczące o zdecydowanej woli kontynuacji wspólnego podążania, aby przejść od konfliktu do komunii.

Droga waszych wspólnot została wznowiona po latach prześladowań ateistycznych, kiedy to wolność religijna była uniemożliwiana lub wystawiana na ciężką próbę. Potem, w końcu nadeszła. A teraz łączy was fragment tej drogi, w którym doświadczacie, jak pięknie, ale jednocześnie jak trudno jest żyć wiarą będąc ludźmi wolnymi. Istnieje bowiem pokusa, by ponownie stać się niewolnikami, oczywiście nie reżimu, ale zniewolenia jeszcze gorszego: niewoli wewnętrznej.

Przed tym właśnie przestrzegał Dostojewski w słynnym opowiadaniu Legenda o Wielkim Inkwizytorze. W tym utworze Jezus powrócił na Ziemię i zostaje uwięziony. Inkwizytor kieruje do niego ostre słowa, zarzucając mu, że zbyt dużą wagę przywiązuje do ludzkiej wolności. Mówi mu: „Chcesz iść między ludzi i idziesz z pustymi rękami, z jakąś obietnicą wolności, której oni w swojej prostocie i przyrodzonej skłonności do nieładu nie mogą pojąć, której boją się i lękają albowiem nie ma i nie było nic bardziej nieznośnego dla człowieka i dla ludzkiej społeczności niż wolność!” (Bracia Karamazow, tłum. A. Wat, Warszawa, 1978, s. 305). I posuwa się jeszcze dalej, dodając, że ludzie są gotowi przehandlować swoją wolność za wygodniejszą formę niewolnictwa, jaką jest podporządkowanie się komuś, kto za nich decyduje, byle mieli chleb i bezpieczeństwo. I tak Inkwizytor posuwa się do wyrzucania Jezusowi, że nie chciał On stać się Cezarem, by nagiąć ludzkie sumienia i ustanowić pokój siłą. Tymczasem On wciąż pragnął dla człowieka wolności, podczas gdy ludzkość domaga się „chleba i niewiele więcej”.

Drodzy bracia, oby nam się to nie przydarzyło; pomagajmy sobie, abyśmy nie wpadli w pułapkę zadowalania się chlebem i niczym więcej. To zagrożenie pojawia się bowiem wtedy, kiedy sytuacja się normuje, kiedy osiągnęliśmy stabilizację i spoczywamy na laurach, starając się utrzymywać spokojne życie. Wówczas nie chodzi już o „wolność, jaką mamy w Chrystusie Jezusie” (Ga 2, 4), o Jego prawdę, która czyni nas wolnymi (por. J 8, 32), ale o uzyskanie przestrzeni i przywilejów – co, według Ewangelii, jest owym „chlebem i niewiele więcej”. Tutaj, w sercu Europy, rodzi się pytanie: czy my, chrześcijanie, straciliśmy nieco zapał głoszenia i proroctwo świadectwa? Czy to prawda Ewangelii nas wyzwala, czy też czujemy się wolni, gdy tworzymy strefy komfortu, które pozwalają nam zarządzać sobą i spokojnie iść dalej bez żadnych szczególnych reperkusji? I znowu, czy zadowalając się chlebem i bezpieczeństwem, nie straciliśmy być może zapału w poszukiwaniu jedności, o którą prosi Jezus, jedności, która z pewnością wymaga dojrzałej wolności w zdecydowanych wyborach, wyrzeczeniach i poświęceniach, ale też jest warunkiem koniecznym, aby świat uwierzył? (por. J 17, 21). Nie ograniczajmy naszego zainteresowania do tego, co może służyć naszym poszczególnym wspólnotom. Wolność brata i siostry jest także naszą wolnością, ponieważ nasza wolność nie jest bez nich pełna.

Tutaj ewangelizacja zrodziła się na drodze braterstwa, niosąc niezatarty ślad świętych Braci Sołuńskich, Cyryla i Metodego. Niech oni, świadkowie chrześcijaństwa wciąż zjednoczonego i rozpalonego żarem przepowiadania, pomogą nam iść dalej tą drogą, pielęgnując między nami braterską komunię w imię Jezusa. Z drugiej strony, jakże możemy mieć nadzieję na Europę, która na nowo odkryłaby swoje korzenie chrześcijańskie, jeśli jako pierwsi zostaliśmy wykorzenieni z tej pełnej komunii? Jakże możemy marzyć o Europie wolnej od ideologii, jeśli brakuje nam odwagi, by przedkładać wolność Jezusa nad potrzeby poszczególnych grup wierzących? Trudno wymagać od Europy, by bardziej owocowała Ewangelią, nie martwiąc się zarazem tym, że na tym kontynencie wciąż nie jesteśmy w pełni zjednoczeni między sobą i nie troszcząc się jedni o drugich. Wygodne kalkulacje, względy historyczne i powiązania polityczne nie mogą być nieusuwalnymi przeszkodami na naszej drodze. Niech święci Cyryl i Metody, „prekursorzy ekumenizmu” (św. Jan Paweł II, Enc. Slavorum Apostoli, 14), pomagają nam dążyć do pojednania odmienności, w Duchu Świętym; do jedności, która nie będąc jednolitością, byłaby znakiem i świadectwem wolności Chrystusa, Pana uwalniającego z sideł przeszłości i leczącego nas z lęków i bojaźliwości.

W swoich czasach, Cyryl i Metody pozwolili, by Słowo Boże stało się ciałem na tych ziemiach (por. J 1, 14). Chciałbym podzielić się z wami dwiema sugestiami w tej perspektywie, braterskimi radami dla szerzenia dzisiaj Ewangelii wolności i jedności. Pierwsza rada, pierwsza sugestia dotyczy kontemplacji. Cechą charakterystyczną narodów słowiańskich, której wspólnie powinniście strzec, jest ich rys kontemplacyjny, który wykracza poza koncepcje filozoficzne, a nawet teologiczne, wychodząc od wiary doświadczalnej, która potrafi ogarnąć tajemnicę. Pomagajcie sobie pielęgnować tę duchową tradycję, której tak bardzo potrzebuje Europa, i której szczególnie spragniony jest Kościół zachodni, aby odkrywać na nowo piękno adoracji Boga i znaczenie tego, by nie pojmować wspólnoty wiary przede wszystkim przez pryzmat jej skuteczności programowej i funkcjonalnej.

Druga rada dotyczy natomiast działania. Jedność osiąga się nie tyle dzięki dobrym intencjom i wyznawaniu pewnych wspólnych wartości, ile dzięki wspólnemu działaniu na rzecz tych, którzy zbliżają nas do Pana. Kim oni są? Są to ubodzy, ponieważ Jezus jest w nich obecny (por. Mt 25, 40). Dzielenie się dobroczynnością poszerza horyzonty i pomaga nam iść szybciej, przezwyciężając uprzedzenia i nieporozumienia. Jest to również cecha, która spotyka się ze szczerym przyjęciem w tym kraju, w którym w szkole uczy się na pamięć wiersza, zawierającego między innymi ten bardzo piękny fragment: „Gdy obca ręka do naszych drzwi zapuka ze szczerą ufnością: kimkolwiek jest, czy przychodzi z bliska czy z daleka, dniem czy nocą, na naszym stole będzie czekał na niego Boży dar”, (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). Niech dar Boży będzie obecny na stole każdego z nas, abyśmy, choć nie jesteśmy jeszcze w stanie dzielić tego samego stołu eucharystycznego, mogli razem przyjmować Jezusa, służąc Mu w ubogich. Będzie to znak bardziej sugestywny niż wiele słów, znak, który pomoże społeczeństwu obywatelskiemu zrozumieć, zwłaszcza w tych trudnych czasach, że tylko stając po stronie najsłabszych, wszyscy razem naprawdę wyjdziemy z pandemii.

Drodzy bracia, dziękuję wam za waszą obecność i za drogę, którą podążacie: łagodny i gościnny charakter, typowy dla narodu słowackiego, tradycyjne pokojowe współistnienie między wami i wasza współpraca dla dobra kraju są cenne dla zaczynu Ewangelii. Zachęcam was do kontynuowania drogi ekumenicznej, która jest cennym i niezastąpionym skarbem. Zapewniam was o mojej pamięci w modlitwie i proszę was o modlitwę za mnie. Dziękuję.

[01190-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

الزّيارة الرسوليّة

إلى بودابست في مناسبة القداس الختامي للمؤتمر الإفخارستي الدولي الثاني والخمسين وإلى سلوفاكيا

كلمة قداسة البابا فرنسيس

في اللقاء المسكوني

في السّفارة البابويّة في براتيسلافا

الأحد 12 أيلول/سبتمبر 2021

أعزّائي أعضاء مجلس الكنائس المسكوني في الجمهوريّة السلوفاكيّة،

أحيّيكم تحيّة قلبيّة وأشكركم على قبول الدّعوة وحضوركم للقائي: أنا حاجّ في سلوفاكيا، وأنتم ضيوف مرحّب بكم في السّفارة البابويّة! أنا سعيد بأن يكون الاجتماع الأوّل معكم: هذه علامة على أنّ الإيمان المسيحيّ هو - ويريد أن يكون - في هذا البلد بذرة الوَحدة وخميرة الأخوّة. شكرًا صاحب الغبطة الأخ راستيسلاف على حضورك. شكرًا عزيزي المطران إيفان، رئيس مجلس الكنائس المسكوني، على الكلمات التي وجّهتا إليّ والتي تشهد على الالتزام في الرغبة بمواصلة السّير معًا من أجل العبور من الخلاف إلى الشّركة.

انطلقت مسيرة جماعاتكم من جديد بعد سِنِي الاضطهاد زمن الإلحاد، عندما كانت الحريّة الدينيّة ممنوعة أو كانت في محنة شديدة. وأخيرًا أصبحت متاحة. والآن، يجمعكم معًا جزءٌ من الطريق الذي فيه تختبرون كم هو جميل، ولكن في الوقت نفسه كم هو صعب، أن تعيشوا الإيمان وأنتم أحرار. في الواقع، هناك تجربة لأن نعود عبيدًا، بالتّأكيد ليس لنظام ما، بل لعبوديّة أسوأ، وهي العبوديّة الداخليّة.

هذا ما حذّر منه دوستويفسكي في رواية شهيرة وهي "رواية المحقّق الكبير". عاد يسوع إلى الأرض وسُجن. ويوجّه المحقّق إليه كلمات لاذعة: الاتّهام الذي يوجّهه إليه هو بالتّحديد أنّه أعطى أهميّة كبيرة لحريّة البشر. قال له: "تريد أن تمضي إلى الناس، وأنت تمضي إليهم خالي اليدين إلّا من وعدٍ بحريّة لا يستطيعون بحكم ما فطروا عليه من بساطة وفوضى حتى أن يتصوّروها، بل ويخافونها ويرتعبون منها، لأنّه لم يكن هناك يومًا شيء لا يطاق بالنسبة للإنسان أكثر من الحرية" (راجع الإخوة كارامازوف، الباب الخامس، ص 85-86). ويزيد الجرعة، فيضيف أنّ البشر على استعداد لمقايضة حريّتهم طوعًا بعبوديّة مريحة، وهي إخضاع أنفسهم لمن يقرّر نيابة عنهم، شرط أن يحصلوا على الخبز والأمان. وهكذا وصل إلى أن يؤنّب يسوع لعدم رغبته في أن يصبح قيصر فيضغط على ضمير البشر ويقيم السّلام بالقوّة. بدلاً من ذلك، استمرّ في تفضيل الحريّة للإنسان، بينما الإنسان يطالب بـ "الخبز وبشيء قليل غيره".

أيّها الإخوة الأعزّاء، لا يحدُثْ هذا لنا. لنساعِدْ بعضنا بعضًا لعدم الوقوع في فخّ الاكتفاء بالخبز وبشيء قليل غيره. لأنّ هذا الخطر يحدث عندما يصبح الوضع طبيعيًّا، وعندما نستقرّ ونستتبّ ونطمع فقط في الحفاظ على حياة هادئة. لذا، ما نهدف إليه لم يعد "حُرِّيَّتَنا الَّتي نَحنُ علَيها في المَسيحِ يسوع" (غلاطية 2، 4)، ولا حقيقته التي تجعلنا أحرارًا (راجع يوحنّا ​​8، 32)، بل أن نملك مساحات وامتيازات، والذي بحسب الإنجيل هو "خبز وشيء قليل غيره". هنا، من قلب أوروبّا، نتساءل: هل فقدنا نحن المسيحيّين حماسة الإعلان ونبوءة الشّهادة؟ هل هي حقيقة الإنجيل التي تحرّرنا أم إنّنا نشعر بالحريّة عندما نحصل على "مناطق راحة" تسمح لنا بتدبير أنفسنا والسّعي بهدوء من دون اعتداءات معيّنة؟ ومرّة أخرى، عندما نكتفي بالخبز والأمن، ربّما نفقد الاندفاع في البحث عن الوَحدة التي طلبها يسوع، وهي الوَحدة التي تتطلّب بالتّأكيد الحريّة الناضجة والخيارات القويّة والتّخلي والتّضحيات، ولكنّها هي المقدّمة حتّى يؤمن العالم؟ (راجع يوحنّا 17، 21). لا نهتمّ فقط لما يمكن أن ينفع جماعاتنا. فحريّة الأخ والأخت هي أيضًا حريّتنا، لأنّ حريّتنا لا تكتمل من دونه ومن دونها.

هنا نشأت البشارة بطريقة أخويّة، تحمل ختم الأخوين القدّيسَين من تسالونيقي كيرلّس وميثوديوس. هما، الشاهدان على مسيحيّة ما زالت موحّدة ومشتعلة بحماسة الإعلان، فليساعدانا على مواصلة المسيرة من خلال تنمية الشّركة الأخويّة بيننا باسم يسوع. ومن ناحية أخرى، كيف يمكننا أن نأمل أن تنشأ أوروبّا تبحث عن جذورها المسيحيّة، إذا كنّا نحن أوّل من اقتلعنا أنفسنا من الشّركة الكاملة؟ كيف يمكننا أن نحلم بأوروبّا خالية من الأيديولوجيّات، إذا لم تكن لدينا الشّجاعة في وضع حريّة يسوع قبل احتياجات جماعاتنا المؤمنة، كلّ واحد لجماعته؟ من الصّعب أن نطالب بأوروبّا يَرويها الإنجيل من دون أن نقلق لأنّنا ما زلنا غير موحّدين بشكل كامل فيما بيننا في القارّة ومن دون أن نهتمَّ بعضنا لبعض.

لا يمكن أن تكون حسابات المصالح والأسباب التاريخيّة والروابط السياسيّة عقبات لا يمكن إزالتها في طريقنا. ليساعدْنا القدّيسَان كيرلّس وميثوديوس، "رائدَا المسكونيّة" (القدّيس يوحنّا بولس الثاني، رسالة بابوية عامة، "رسولا الشعوب السلافية" Slavorum Apostoli، 14)، على بذل الجهود من أجل مصالحة التّنوّع في الرّوح القدس؛ من أجل الوحدة التي، من دون أن تكون توحيدًا في الشبه والشخصيّة، تكون علامة وشهادة لحريّة المسيح، الرّبّ يسوع الذي يحلّ قيود الماضي ويشفينا من الخوف وأنواع الجبن.

كيرلّس وميثوديوس، في زمنهما، سمحا للكلمة الإلهيّة، أن تتجسّد في هذه الأرض (راجع يوحنّا ​​1، 14). أودّ أن أشارككم اقتراحين في هذا الموضع، هي نصائح أخويّة لنشر إنجيل الحريّة والوَحدة اليوم. النصيحة الأولى، الاقتراح الأوّل هو التأمّل. السّمة المُمَيّزة للشّعوب السلافيّة، والتي يعود الأمر لكم للحفاظ عليها معًا، هي السّمة التأمليّة، التي تتجاوز المفاهيم الفلسفيّة وحتّى اللاهوتيّة، انطلاقًا من إيمان هو خبرة حياة، يعرف أن يستقبل السرّ. ساعدوا بعضكم بعضًا على تنمية هذا التّقليد الروحيّ، الذي تحتاج إليه أوروبّا بشدّة: والذي تتعطّش إليه على وجه الخصوص الكنيسة الغربيّة، لإيجاد جمال السجود لله من جديد وأهميّة ألّا تنظر الجماعة المؤمنة، أوّلًا، إلى النجاعة الناجمة عن البرامج والوظائف.

النصيحة الثانية هي العمل. لا تتحقّق الوَحدة كثيرًا بالنّوايا الحسنة والالتزام ببعض القيم المشتركة، ولكن من خلال القيام بشيء معًا من أجل الذين هم الأقربون إلى الرّبّ يسوع. ومن هم؟ هم الفقراء، لأنّ يسوع حاضر فيهم (متّى 25، 40). المشاركة في أعمال المحبّة تفتح آفاقًا أوسع وتساعد على السّير بشكل أسرع، متجاوزين الأحكام السابقة وسوء الفهم. وهي أيضًا سمة تجد قبولًا حقيقيًّا في هذا البلد، حيث يتمّ في المدرسة حفظ قصيدة غيبًا، والتي تحتوي، من بين الأمور الأخرى، على مقطع جميل جدًّا: "عندما تقرع يد غريبة على بابنا بثقة صادقة: كائنًا من كان، سواء جاء من قريب أم من بعيد، في النّهار أم في الّليل، سوف تنتظره عطيّة الله على مائدتنا" (Samo Chalupka, Mor ho!, 1864). لتكن عطيّة الله حاضرة على موائد كلّ واحدٍ منّا، لأنّه، بينما لا يمكننا بعد المشاركة في المائدة الإفخارستيّة نفسها، يمكننا استضافة يسوع معًا من خلال خدمتنا له في الفقراء. ستكون علامة أبلغ من العديد من الكلمات، وسيساعد المجتمع المدني، وخاصّة في هذه الفترة الصعبة، على أن نفهم أنّنا سنخرج كلّنا حقًا من الجائحة معًا، فقط من خلال الوقوف إلى جانب من هم الأضعف بيننا.

الإخوة الأعزّاء، أشكركم على حضوركم وعلى مسيرتكم: إنّ السّمة الّلطيفة والترحيبيّة التي تميّز الشعب السلوفاكي، والتّعايش السّلمي التقليدي بينكم، وتعاونكم من أجل خير البلد لهي أمورٌ ثمينة من أجل خميرة الإنجيل. أشجّعكم على المتابعة في المسيرة المسكونيّة، فهي كنزٌ ثمينٌ لا يمكن أن نتركه. أؤكّد لكم صلاتي وأطلب منكم أن تصلّوا من أجلي. شكرًا.

[01190-AR.02] [Testo originale: Italiano]

Incontro privato con i Membri della Compagnia di Gesù presso la Nunziatura Apostolica di Bratislava

Al termine dell’Incontro Ecumenico, il Santo Padre Francesco ha incontrato in forma privata i Membri della Compagnia di Gesù presenti in Slovacchia.

[01209-IT.01]

[B0564-XX.02]