Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Santa Messa nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella 56.ma Giornata Mondiale della Pace, 01.01.2023


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la celebrazione della Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 56.ma Giornata Mondiale della Pace sul tema: “Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo:

Omelia del Santo Padre

Santa Madre di Dio! È l’acclamazione gioiosa del Popolo santo di Dio, che risuonava per le strade di Efeso nell’anno quattrocento trentuno, quando i Padri del Concilio proclamarono Maria Madre di Dio. Si tratta di un dato essenziale della fede, ma soprattutto di una notizia bellissima: Dio ha una Madre e dunque si è legato per sempre alla nostra umanità, come un figlio alla mamma, al punto che la nostra umanità è la sua umanità. È una verità dirompente e consolante, tanto che l’ultimo Concilio, qui celebrato, ha affermato: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Cost. past. Gaudium et spes, 22). Ecco che cosa ha fatto Dio nascendo da Maria: ha mostrato il suo amore concreto per la nostra umanità, abbracciandola realmente e pienamente. Fratelli, sorelle, Dio non ci ama a parole, ma coi fatti; non “dall’alto”, da lontano, ma “da vicino”, proprio dal di dentro della nostra carne, perché in Maria il Verbo si è fatto carne, perché nel petto di Cristo continua a battere un cuore di carne, che palpita per ciascuno di noi!

Santa Madre di Dio! Su questo titolo sono stati scritti tanti libri e grandi trattati. Ma tali parole sono soprattutto entrate nel cuore del santo Popolo di Dio, nella preghiera più familiare e domestica, che accompagna il ritmo delle giornate, i momenti più faticosi e le speranze più audaci: l’Ave Maria. Dopo alcune frasi tratte dalla Parola di Dio, la seconda parte della preghiera si apre infatti così: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori». Questa invocazione ha spesso cadenzato le nostre giornate e ha permesso a Dio di avvicinarsi, per mezzo di Maria, alle nostre vite e alla nostra storia. Madre di Dio, prega per noi peccatori: recitata nelle lingue più diverse, sui grani del rosario e nei momenti del bisogno, davanti a un’immagine sacra o per la strada, a quest’invocazione la Madre di Dio sempre risponde, ascolta le nostre richieste, ci benedice con il suo Figlio tra le braccia, ci porta la tenerezza di Dio fatto carne. Ci dà, in una parola, speranza. E noi, all’inizio di quest’anno, abbiamo bisogno di speranza come la terra della pioggia. L’anno, che si apre nel segno della Madre di Dio e nostra, ci dice che la chiave della speranza è Maria, e l’antifona della speranza è l’invocazione Santa Madre di Dio. E oggi affidiamo alla Madre Santissima l’amato Papa emerito Benedetto XVI, perché lo accompagni nel suo passaggio da questo mondo a Dio.

Preghiamo la Madre in modo speciale per i figli che soffrono e non hanno più la forza di pregare, per tanti fratelli e sorelle colpiti dalla guerra in tante parti del mondo, che vivono questi giorni di festa al buio e al freddo, nella miseria e nella paura, immersi nella violenza e nell’indifferenza! Per quanti non hanno pace acclamiamo Maria, la donna che ha portato al mondo il Principe della pace (cfr Is 9,5; Gal 4,4). In lei, Regina della pace, si avvera la benedizione che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: «Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,26). Attraverso le mani di una Madre, la pace di Dio vuole entrare nelle nostre case, nei nostri cuori, nel nostro mondo. Ma come fare ad accoglierla?

Lasciamoci consigliare dai protagonisti del Vangelo di oggi, i primi ad aver visto la Madre con il Bambino: i pastori di Betlemme. Erano persone povere e forse anche piuttosto rudi, e quella notte stavano lavorando. Proprio loro, non i sapienti e nemmeno i potenti, hanno riconosciuto per primi il Dio vicino, il Dio venuto povero che ama stare con i poveri. Dei pastori il Vangelo sottolinea anzitutto due gesti molto semplici, che però non sono sempre facili. I pastori sono andati e hanno visto. Due gesti: andare e vedere.

Anzitutto andare. Il testo dice che i pastori «andarono, senza indugio» (Lc 2,16). Non sono rimasti fermi. Era notte, avevano le loro greggi a cui badare ed erano sicuramente stanchi: avrebbero potuto attendere l’alba, aspettare il sorgere del sole per andare a vedere un Bambino adagiato in una mangiatoia. Invece andarono senza indugio, perché di fronte alle cose importanti bisogna reagire prontamente, non rimandare; perché «la grazia dello Spirito non comporta lentezze» (S. Ambrogio, Commento su san Luca, 2). E così trovarono il Messia, l’atteso da secoli che tanti cercavano.

Fratelli, sorelle, per accogliere Dio e la sua pace non si può stare fermi, non si può stare comodi aspettando che le cose migliorino. Bisogna alzarsi, cogliere le occasioni di grazia, andare, rischiare. Bisogna rischiare. Oggi, all’inizio dell’anno, anziché stare a pensare e sperare che le cose cambino, ci farebbe bene chiederci: “Io, quest’anno, dove voglio andare? Verso chi vado a fare del bene?”. Tanti, nella Chiesa e nella società, aspettano il bene che tu e solo tu puoi dare, il tuo servizio. E, di fronte alla pigrizia che anestetizza e all’indifferenza che paralizza, di fronte al rischio di limitarci a rimanere seduti davanti a uno schermo con le mani su una tastiera, i pastori oggi ci provocano ad andare, a smuoverci per quel che succede nel mondo, a sporcarci le mani per fare del bene, a rinunciare a tante abitudini e comodità per aprirci alle novità di Dio, che si trovano nell’umiltà del servizio, nel coraggio di prendersi cura. Fratelli e sorelle, imitiamo i pastori: andiamo!

Arrivati, dice il Vangelo, i pastori «trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (v. 16). Poi annota che, solo «dopo averlo visto» (v. 17), si misero, pieni di stupore, a riferire di Gesù agli altri e a glorificare e lodare Dio per tutto quello che avevano udito e visto (cfr vv. 17-18.20). La svolta è stata averlo visto. È importante vedere, abbracciare con lo sguardo, restare, come i pastori, davanti al Bambino in braccio alla Madre. Senza dire nulla, senza chiedere nulla, senza fare nulla. Guardare in silenzio, adorare, accogliere con gli occhi la tenerezza consolante di Dio fatto uomo, della sua e nostra Madre. All’inizio dell’anno, tra le tante novità che si vorrebbero sperimentare e le molte cose che si vorrebbero fare, dedichiamo del tempo a vedere, cioè ad aprire gli occhi e a tenerli aperti di fronte a quel che conta: a Dio e agli altri. Abbiamo il coraggio di sentire lo stupore dell’incontro, che è lo stile di Dio, cosa ben differente dalla seduzione del mondo, che ti tranquillizza. Lo stupore di Dio, l’incontro, ti dà pace; l’altro soltanto ti anestetizza e ti dà tranquillità.

Quante volte, presi dalla fretta, non abbiamo neanche il tempo di sostare un minuto in compagnia del Signore per ascoltare la sua Parola, per pregare, per adorare, per lodare… La stessa cosa avviene nei riguardi degli altri: presi dalla fretta o dal protagonismo, non c’è tempo per ascoltare la moglie, il marito, per parlare con i figli, per chiedere loro come vanno dentro, non solo come vanno gli studi e la salute. E quanto bene fa mettersi in ascolto degli anziani, del nonno e della nonna, per guardare la profondità della vita e riscoprire le radici. Chiediamoci dunque se siamo capaci di vedere chi ci vive accanto, chi abita il nostro palazzo, chi incontriamo ogni giorno nelle strade. Fratelli e sorelle, imitiamo i pastori: impariamo a vedere! A capire con il cuore, vedendo. Impariamo a vedere.

Andare e vedere. Oggi il Signore è venuto in mezzo a noi e la Santa Madre di Dio ce lo pone davanti agli occhi. Riscopriamo nello slancio di andare e nello stupore di vedere i segreti per rendere quest’anno davvero nuovo, e vincere la stanchezza del rimanere o la falsa pace della seduzione.

E adesso, fratelli e sorelle, invito tutti voi a guardare la Madonna. Acclamiamola tre volte: Santa Madre di Dio!, come faceva il popolo di Efeso. Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio!

[00001-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Sainte Mère de Dieu ! C’est la joyeuse acclamation que le peuple saint de Dieu fit résonner dans les rues d’Éphèse en l’an quatre cent trente et un, lorsque les Pères du Concile proclamèrent Marie Mère de Dieu. Il s’agit d’un élément essentiel de la foi, mais surtout, d’une très belle nouvelle : Dieu a une Mère. Il s’est donc lié pour toujours à notre humanité, comme un enfant avec sa maman, si bien que notre humanité est aussi son humanité. Cette vérité est bouleversante et consolante à tel point que le dernier Concile, célébré ici, a affirmé : «Par son incarnation, le Fils de Dieu s’est en quelque sorte uni lui-même à tout homme. Il a travaillé avec des mains d’homme, Il a pensé avec une intelligence d’homme, Il a agi avec une volonté d’homme, Il a aimé avec un cœur d’homme. Né de la Vierge Marie, Il est vraiment devenu l’un de nous, en tout semblable à nous, hormis le péché» (Const. past. Gaudium et spes, n. 22). Voilà ce que Dieu a fait en naissant de Marie : Il a montré son amour concret pour notre humanité, en l’étreignant vraiment et pleinement. Frères et sœurs, Dieu ne nous aime pas en paroles, mais par des actes ; non pas “d’en haut”, de loin, mais “de près”, du dedans de notre chair, parce que, en Marie, le Verbe s’est fait chair, parce que, dans la poitrine du Christ, un cœur de chair continue de battre, palpitant pour chacun de nous !

Sainte Mère de Dieu ! De nombreux livres et de grands traités ont été écrits sur ce titre. Mais ces mots sont surtout entrés dans le cœur du saint peuple de Dieu, dans la prière la plus familière et la plus intime qui accompagne le rythme des journées, les moments les plus fatigants et les espérances les plus audacieuses : le Je vous salue Marie. Après quelques phrases tirées de la Parole de Dieu, la deuxième partie de la prière s’ouvre ainsi : “Sainte Marie, Mère de Dieu, priez pour nous, pauvres pécheurs”. Cette invocation rythme souvent nos journées et permet à Dieu de s’approcher, à travers Marie, de nos vies et de notre histoire. Mère de Dieu, priez pour nous, pauvres pécheurs : récitée dans les langues les plus diverses, sur les grains du chapelet et dans les moments de nécessité, devant une image sacrée ou dans la rue, la Mère de Dieu répond toujours à cette invocation, elle écoute nos demandes, nous bénit avec son Fils dans les bras, nous apporte la tendresse de Dieu fait chair. En un mot, elle nous donne de l’espérance. Et nous, en ce début d’année, nous avons besoin d’espérance comme la terre a besoin de pluie. L’année qui s’ouvre sous le signe de la Mère de Dieu, qui est la nôtre, nous dit que la clé de l’espérance c’est Marie, et l’antienne de l’espérance c’est l’invocation Sainte Mère de Dieu. Et aujourd’hui, confions à la Mère Très Sainte le bien aimé Pape émérite Benoît XVI afin qu’elle l’accompagne dans son passage de ce monde à Dieu.

Prions la Mère de façon particulière pour les enfants qui souffrent et qui n’ont plus la force de prier, pour tant de frères et sœurs touchés par la guerre dans de nombreuses parties du monde, et qui vivent ces jours de fête dans l’obscurité et le froid, dans la misère et la peur, plongés dans la violence et l’indifférence ! Pour ceux qui n’ont pas la paix, acclamons Marie, la femme qui a mis au monde le Prince de la Paix (cf. Is 9, 5; Gal 4, 4). En elle, Reine de la Paix, se réalisera la bénédiction que nous avons entendue dans la première Lecture : «Que le Seigneur tourne vers toi son visage, qu’il t’apporte la paix!» (Nb 6, 26). Par les mains d’une Mère, la paix de Dieu veut entrer dans nos maisons, dans nos cœurs, dans notre monde. Mais comment faire pour l’accueillir ?

Laissons-nous conseiller par les acteurs de l’Évangile d’aujourd’hui, les premiers à avoir vu la Mère avec l’Enfant : les bergers de Bethléem. C’étaient des gens pauvres et peut-être même plutôt rudes. Ils travaillaient cette nuit-là. Ce sont précisément eux, pas les sages ni les puissants, qui ont reconnu les premiers le Dieu proche, le Dieu qui est venu pauvre et qui aime être avec les pauvres. L’Évangile souligne avant tout deux gestes très simples des bergers, mais qui ne sont pas toujours faciles à faire. Ils sont allés et ils ont vu. Deux gestes: aller et voir.

Tout d’abord, aller. Le texte dit que les bergers «se hâtèrent d’y aller» (Lc 2, 16). Ils ne sont pas restés immobiles. Il faisait nuit, ils avaient leurs troupeaux à garder et ils étaient certainement fatigués. Ils auraient pu attendre l’aube, attendre que le soleil se lève pour aller voir un Enfant couché dans une mangeoire. Au contraire, ils se hâtèrent d’y aller parce que, devant les choses importantes, il faut réagir rapidement, sans remettre à demain ; parce que «la grâce de l’Esprit ne souffre pas de lenteur» (S. Ambrose, Commentaire de saint Luc, 2). Et c’est ainsi qu’ils ont trouvé le Messie, celui qui était attendu depuis des siècles et que tant de personnes cherchaient.

Frères et sœurs, pour accueillir Dieu et sa paix, on ne peut pas rester immobile, on ne peut pas rester à son aise, en attendant que les choses s’améliorent. Il convient de se lever, saisir les occasions de grâce, aller, prendre des risques. Il faut prendre des risques. Aujourd’hui, en ce début d’année, au lieu de rester assis à penser et à espérer que les choses changent, il serait bon de se demander : “Moi, où est-ce que je veux aller cette année ? Vers qui vais-je aller faire du bien?”. Tant de personnes, dans l’Église et dans la société, attendent le bien que toi, et toi seul, peux donner, ton service. Et face à la paresse qui anesthésie, et à l’indifférence qui paralyse, face au risque de nous limiter à rester assis devant un écran, les mains sur un clavier, les pasteurs nous provoquent aujourd’hui à aller, à nous émouvoir de ce qui se passe dans le monde, à nous salir les mains pour faire du bien, à renoncer à nombre d’habitudes et de conforts pour nous ouvrir aux nouveautés de Dieu qui se trouvent dans l’humilité du service, dans le courage du soin. Frères et sœurs, imitons les bergers : allons !

Une fois arrivés, dit l’Évangile, les bergers «découvrirent Marie et Joseph, avec le nouveau-né couché dans la mangeoire» (v. 16). Puis il souligne que c’est seulement «après l’avoir vu» (v. 17) qu’ils se mirent, pleins d’étonnement, à parler de Jésus aux autres et à glorifier et louer Dieu pour tout ce qu’ils avaient entendu et vu (cf. v. 17-18, 20). Le changement s’est produit dans le fait de l’avoir vu. Il est important de voir, d’embrasser du regard, de se tenir, comme les bergers, devant l’Enfant dans les bras de sa Mère. Sans rien dire, sans rien demander, sans rien faire. Regarder en silence, adorer, accueillir avec les yeux la tendresse consolante du Dieu fait homme et de sa Mère qui est la nôtre. En ce début d’année, parmi les nombreuses nouveautés dont nous voudrions faire l’expérience et les nombreuses choses qu’il faudrait faire, prenons le temps de voir, c’est-à-dire d’ouvrir les yeux et de les garder ouverts sur ce qui compte : Dieu et les autres. Ayons le courage de ressentir l'étonnement de la rencontre, qui est le style de Dieu, chose bien différente de la séduction du monde qui nous tranquillise. L'étonnement de Dieu, la rencontre, te donnent la paix ; l'autre ne fait que t'anesthésier et te donner de la tranquillité.

Combien de fois, pris par la hâte, nous n’avons même pas le temps de nous arrêter une minute en compagnie du Seigneur pour écouter sa Parole, pour prier, adorer, louer... La même chose se produit à l’égard des autres : pris par la hâte et par les tâches, il n’y a plus de temps pour écouter la femme, le mari, pour parler aux enfants, leur demander comment ils se sentent en eux-mêmes, et pas seulement comment vont les études et la santé. Et comme il est bon de se mettre à l’écoute des personnes âgées, du grand-père et de la grand-mère, pour regarder la profondeur de la vie et redécouvrir les racines. Demandons-nous donc si nous sommes capables de voir celui qui vit à côté de nous, celui qui vit dans notre immeuble, celui que nous rencontrons tous les jours dans la rue. Frères et sœurs, imitons les bergers : apprenons à voir ! À comprendre avec le cœur en voyant. Apprenons à voir.

Aller et voir. Aujourd’hui, le Seigneur est venu parmi nous et la Sainte Mère de Dieu le met devant nos yeux. Retrouvons, dans l’élan d’aller et dans l’émerveillement de voir, les secrets pour rendre cette année vraiment nouvelle et vaincre la sècheresse de rester immobile ou la fausse paix de la séduction.

Et maintenant frères et sœurs, je vous invite tous à regarder la Vierge. Acclamons-la trois fois : Sainte Mère de Dieu, comme le faisait le peuple d’Éphèse.

Sainte Mère de Dieu ! Sainte Mère de Dieu ! Sainte Mère de Dieu !

[00001-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Holy Mother of God! This was the joyful acclamation of the holy People of God echoing in the streets of Ephesus in the year 431, when the Council Fathers proclaimed Mary the Mother of God. This truth is a fundamental datum of faith, but above all, it is a marvellous fact. God has a Mother and is thus bound forever to our humanity, like a child to its mother, to the point that our humanity is his humanity. It is an amazing and consoling truth, so much so that the most recent Council, which met here in Saint Peter’s, stated that, “by his incarnation, the Son of God has in a certain way united himself with each individual. He worked with human hands, he thought with a human mind, he acted with a human will, and loved with a human heart. Born of the Virgin Mary, he truly became one of us, like us in all things except sin” (Gaudium et Spes, 22). That is what God did by being born of Mary: he showed his concrete love for our humanity, embracing it truly and fully. Brothers and sisters, God does not love us in words but in deeds; not from “on high”, but “up close”, precisely from “within” our flesh, because in Mary the Word became flesh, because Christ continues to have a heart of flesh that beats for each and every of us!

Holy Mother of God! Many books and weighty tomes have been written about this title of Our Lady. Yet these words have mostly entered the minds and hearts of the holy People of God through the simple and familiar prayer that accompanies the rhythm of our days, our moments of weariness and our greatest aspirations: the Hail Mary. After a few phrases drawn from the word of God, the second part of the prayer continues: “Holy Mary, Mother of God, pray for us sinners…” This invocation, often repeated throughout the day, has allowed God to draw near, through Mary, to our lives and our history. Mother of God, pray for us sinners… It is recited in the most diverse languages, on the beads of a rosary and at times of need, in the presence of a holy image or walking along the way. To this invocation the Mother of God always responds; she hears our petitions; holding her Son in her arms, she blesses us and brings us the tender love of God made flesh. In a word, Mary gives us hope. At the beginning of this year, we need hope, just as the earth needs rain. This year that opens with the celebration of God’s Mother and our own, tells us that the key to hope is Mary and that the antiphon of hope is the invocation, Holy Mother of God. And today, we entrust beloved Pope Emeritus Benedict XVI to our Most Holy Mother, that she will accompany him on his journey from this world to God.

Let us pray to our Mother in a special way for her sons and daughters who are suffering and no longer have the strength to pray, and for our many brothers and sisters throughout the world who are victims of war, passing these holidays in darkness and cold, in poverty and fear, immersed in violence and indifference! For all those who have no peace, let us invoke Mary, the woman who brought into the world the Prince of peace (cf. Is 9:6; Gal 4:4). In her, the Queen of Peace, was fulfilled the blessing we heard in the first reading: “May the Lord lift up his countenance upon you, and give you peace” (Num 6:26). At the hands of a Mother, God’s peace wants to enter into our homes, our hearts and our world. Yet what must we do to receive that peace?

Let us be guided by the people we meet in today’s Gospel, who were the first to see the Mother and Child: the shepherds of Bethlehem. They were poor people and perhaps somewhat uncouth, and that night they were working. Yet they, not the learned or the powerful, were the first to recognize God among us, the God who became poor and loves to be with the poor. The Gospel emphasizes two very simple things that the shepherds did: things simple but not always easy. They went and saw. Two actions: Going and seeing.

First, going. The Gospel tells us that the shepherds “went with haste” (Lk 2:16). They did not wait around. It was night, they had their flocks to keep, and naturally they were weary: they could easily have waited for dawn, held off until sunrise in order to go and see the Child lying in the manger. Instead, they went with haste, because where important things are concerned, we need to react promptly and not wait, for “the grace of the Spirit brooks no delay” (SAINT AMBROSE, Commentary on Saint Luke, 2). And so they encountered the Messiah, the one awaited for centuries, the one that so many others had long sought.

Brothers and sisters, if we are to welcome God and his peace, we cannot stand around complacently, waiting for things to get better. We need to get up, recognize the moments of grace, set out and take a risk. We need to take a risk! Today, at the beginning of the year, rather than standing around, thinking and hoping that things will change, we should instead ask ourselves: “This year, where do I want to go? Who is it that I can help?” So many people, in the Church and in society, are waiting for the good that you and you alone can do, they are waiting for your help. Today, amid the lethargy that dulls our senses, the indifference that paralyzes our hearts, and the temptation to waste time glued to a keyboard in front of a computer screen, the shepherds are summoning us to set out and get involved in our world, to dirty our hands and to do some good. They are inviting us to set aside many of our routines and our comforts in order to open ourselves to the new things of God, which are found in the humility of service, in the courage of caring for others. Brothers and sisters, let us imitate the shepherds: let us set out with haste!

When they arrived, the Gospel tells us, the shepherds “found Mary and Joseph, and the child lying in the manger” (v. 16). It then says that “after having seen” the Child (cf. v. 17), they set out, filled with wonder, to tell others about Jesus, glorifying and praising God for everything that they had heard and seen (cf. vv. 17-18, 20). The important thing was that they had seen him. What is important is to see, to look around and, like the shepherds, to halt before the Child resting in his mother’s arms. To say nothing, to ask nothing, to do nothing. Simply to look on in silence, to adore and to contemplate the tender and comforting love of God made man, and his, and our, Mother. At the beginning of this year, among all the other things that we would like to do and experience, let us devote some time to seeing, to opening our eyes and to keeping them open before what really matters: God and our brothers and sisters. Let us have the courage to experience the wonder of encounter, which is God’s style. That is something very different from the world’s seductions, which seem to calm us. The wonder of God and of encounter gives us peace; the world can only anesthetize us and give peace of mind.

How many times, in our busy lives, do we fail to stop, even for a moment, to be close to the Lord and to hear his word, to say a prayer, to adore and praise him. We do the same thing with others: caught up in our own affairs or in getting ahead, we have no time to listen to our wife, our husband, to talk with our children, to ask them about how they really are, and not simply about their studies or their health. And how good it is for us to take time and listen to the elderly, to our grandfathers and grandmothers, in order to remember the deeper meaning of our lives and to recover our roots. Let us ask ourselves too, whether we are capable of seeing the people next door, the people who live in the same building, the people we meet each day on the street. Brothers and sisters, let us imitate the shepherds: let us learn to see! To understand by seeing with our hearts. Let us learn to see.

Going and seeing. Today the Lord has come among us and the Holy Mother of God sets him before our eyes. Let us rediscover in the enthusiasm of going and the wonder of seeing the secret that can make this year truly “new”, and thus overcome the weariness of being stuck or the false peace of seduction.

And now, brothers and sisters, I invite all of you to look to the Virgin Mary. Let us invoke her three times, as the people of Ephesus did: Holy Mother of God! Holy Mother of God! Holy Mother of God!

[00001-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Heilige Mutter Gottes! Dies ist der freudige Ruf des heiligen Volkes Gottes, der im Jahr 431 in den Straßen von Ephesus erklang, als die Konzilsväter Maria feierlich zur Gottesmutter erklärten. Es handelt sich dabei um einen wesentlichen Glaubenssatz, aber vor allem ist es eine wunderschöne Nachricht: Gott hat eine Mutter, er hat sich also für immer an unsere Menschheit gebunden, wie ein Sohn an seine Mutter, so dass unser Menschsein sein Menschsein ist. Dies ist eine erschütternde und tröstliche Wahrheit, so sehr, dass das jüngste, hier abgehaltene Konzil, bestätigte: »Denn er, der Sohn Gottes, hat sich in seiner Menschwerdung gewissermaßen mit jedem Menschen vereinigt. Mit Menschenhänden hat er gearbeitet, mit menschlichem Geist gedacht, mit einem menschlichen Willen hat er gehandelt, mit einem menschlichen Herzen geliebt. Geboren aus Maria, der Jungfrau, ist er in Wahrheit einer aus uns geworden, in allem uns gleich außer der Sünde« (Konstitution Gaudium et spes, 22). Das ist es, was Gott tat, als er von Maria geboren wurde: Er zeigte seine konkrete Liebe zu unserem Menschsein, indem er es wirklich und vollständig annahm. Brüder und Schwestern, Gott liebt uns nicht mit Worten, sondern mit Taten; nicht „von oben“, aus der Ferne, sondern „aus der Nähe“, ja aus dem Inneren unseres Fleisches, denn in Maria ist das Wort Fleisch geworden, damit in der Brust Christi stets ein menschliches Herz schlägt – für jeden einzelnen von uns!

Heilige Mutter Gottes! Viele Bücher und große Abhandlungen sind über diesen Titel geschrieben worden. Aber vor allem sind diese Worte in das Herz des heiligen Volkes Gottes eingegangen, in das vertrauteste und innigste Gebet, das den Tagesrhythmus, die beschwerlichsten Momente und die kühnsten Hoffnungen begleitet: das Ave-Maria. Nach einigen Elementen, die dem Wort Gottes entnommen sind, beginnt der zweite Teil des Gebets so: »Heilige Maria, Mutter Gottes, bitte für uns Sünder«. Diese Anrufung hat unsere Tage oft begleitet und es Gott ermöglicht, durch Maria unserem Leben und unserer Geschichte nahe zu kommen. Mutter Gottes, bitte für uns Sünder: In den verschiedensten Sprachen, mit den Perlen des Rosenkranzes und in Zeiten der Not, vor einem heiligen Bild oder auf der Straße gebetet – auf diese Anrufung antwortet die Mutter Gottes immer, sie hört auf unsere Bitten, segnet uns mit ihrem Sohn in den Armen, bringt uns die Zärtlichkeit des menschgewordenen Gottes. Sie gibt uns, mit einem Wort, Hoffnung. Und wir dürsten zu Beginn dieses Jahres nach Hoffnung, wie die Erde nach Regen. Das Jahr, das im Zeichen der Mutter Gottes, die auch unsere Mutter ist, beginnt, sagt uns, dass der Schlüssel zur Hoffnung Maria ist, und die Antiphon der Hoffnung ist die Anrufung Heilige Mutter Gottes. Und heute vertrauen wir der Heiligen Gottesmutter unseren geliebten emeritierten Papst Benedikt XVI. an, damit sie ihn auf seinem Weg von dieser Welt zu Gott begleite.

Bitten wir die Mutter Gottes in besonderer Weise für die Kinder, die leiden und nicht mehr die Kraft zum Beten haben, für die vielen Brüder und Schwestern, die in vielen Teilen der Welt von Krieg betroffen sind und die in diesen Festtagen in Dunkelheit und Kälte, in Elend und Angst, inmitten von Gewalt und Gleichgültigkeit leben! Für diejenigen, die keinen Frieden haben, rufen wir Maria an, die Frau, die den Friedensfürsten in die Welt gebracht hat (vgl. Jes 9,5; Gal 4,4). In ihr, der Königin des Friedens, erfüllt sich der Segen, den wir in der ersten Lesung gehört haben: »Der Herr wende sein Angesicht dir zu und schenke dir Frieden« (Num 6,26). Durch die Hände einer Mutter will der Friede Gottes in unsere Häuser, unsere Herzen und unsere Welt einziehen. Aber wie können wir ihn aufnehmen?

Lassen wir uns von den Protagonisten des heutigen Evangeliums leiten, die als erste die Mutter mit dem Kind gesehen haben: die Hirten von Betlehem. Sie waren arme, vielleicht auch etwas grobe Leute und sie arbeiteten in jener Nacht. Gerade sie waren es, nicht die Weisen oder die Mächtigen, die als Erste den nahen Gott erkannten, den Gott, der als Armer kam und der es liebt, bei den Armen zu sein. Bezüglich der Hirten hebt das Evangelium vor allem zwei ganz einfache Gebärden hervor, die jedoch nicht immer leichtfallen. Die Hirten sind gegangen und haben gesehen. Zwei Gesten: Gehen und sehen.

Zunächst: gehen. Im Text heißt es, dass die Hirten »eilten« (Lk 2,16). Sie blieben nicht einfach, wo sie waren. Es war Nacht, sie hatten ihre Herden zu hüten und waren gewiss müde: Sie hätten auf die Morgendämmerung warten können, auf den Sonnenaufgang, um hinzugehen und das Kind in der Krippe zu sehen. Stattdessen gingen sie unverzüglich los, denn wenn man etwas Wichtiges zu tun hat, muss man sofort reagieren und darf es nicht aufschieben, denn »die Gnade des Heiligen Geistes kennt keine langsamen, schwerfälligen Schritte« (Hl. Ambrosius, Lukaskommentar, II, 19). Und so fanden sie den Messias, den seit Jahrhunderten erwarteten, den so viele suchten.

Brüder und Schwestern, möchte man Gott und seinen Frieden aufnehmen, kann man nicht stillsitzen und kann man nicht bequem darauf warten, dass die Dinge besser werden. Man muss aufstehen, die Momente der Gnade nutzen, losgehen und etwas riskieren. Man muss etwas riskieren. Heute, zu Beginn des Jahres, sollten wir uns, anstatt nur nachzusinnen und zu hoffen, dass sich die Dinge ändern, fragen: „Wohin will ich dieses Jahr? Zu wem werde ich gehen, um etwas Gutes tun?“ Viele in der Kirche und in der Gesellschaft warten auf das Gute, das du und nur du geben kannst, auf deinen Dienst. Und angesichts der Faulheit, die betäubt, und der Gleichgültigkeit, die lähmt, angesichts der Gefahr, dass wir nur vor dem Bildschirm sitzen bleiben, mit den Händen an der Tastatur, fordern uns die Hirten heute auf, loszugehen, uns von den Geschehnissen in der Welt bewegen zu lassen, uns die Hände schmutzig zu machen, um Gutes zu tun, auf viele Gewohnheiten und Bequemlichkeiten zu verzichten, um uns für Gottes Neuheit zu öffnen, die sich in der Demut des Dienens, im Mut zur Fürsorge zeigt. Brüder und Schwestern, ahmen wir die Hirten nach: Gehen wir!

Als sie ankamen, so heißt es im Evangelium, fanden die Hirten »Maria und Josef und das Kind, das in der Krippe lag« (V. 16). Des Weiteren wird angemerkt, dass sie erst »als sie es sahen« (V. 17), voller Staunen begannen, anderen von Jesus zu erzählen und Gott für alles, was sie gehört und gesehen hatten, zu preisen (vgl. V. 17-18, 20). Der Wendepunkt war, ihn gesehen zu haben. Es ist wichtig, zu sehen, mit dem Blick aufzunehmen und wie die Hirten vor dem Kind in den Armen der Mutter zu verweilen. Ohne etwas zu sagen, ohne etwas zu fragen, ohne etwas zu tun. In Stille zu schauen, anzubeten, mit den Augen die tröstliche Zärtlichkeit des menschgewordenen Gottes, seiner und unserer Mutter aufzunehmen. Nehmen wir uns zu Beginn des Jahres, bei all dem vielen Neuen, das wir erleben, und den vielen Dingen, die wir tun möchten, Zeit, um für das Sehen, dafür, unsere Augen zu öffnen und sie offen zu halten für das, was zählt: für Gott und für unsere Mitmenschen. Mögen wir den Mut haben, das Staunen über die Begegnung zu spüren, die die Weise Gottes ist, die ganz anders ist als die Verführung der Welt, die dich beruhigt. Das Staunen über Gott, die Begegnung, verleiht dir Frieden; das andere betäubt dich nur und gibt dir Beruhigung.

Wie oft haben wir vor lauter Eile nicht einmal die Zeit, eine Minute in der Gesellschaft des Herrn zu verbringen, um sein Wort zu hören, zu beten, anzubeten, zu loben ... Das Gleiche passiert im Umgang mit anderen: In unserer Eile oder in unserem Geltungsdrang haben wir keine Zeit, der Ehefrau oder dem Ehemann zuzuhören, mit den Kindern zu reden, sie zu fragen, wie es ihnen in ihrem Inneren geht, und nicht nur, wie es um das Studium und die Gesundheit steht. Und wie gut tut es, den Älteren zuzuhören, dem Großvater und der Großmutter, um in die Tiefe des Lebens zu gehen und die Wurzeln wiederzuentdecken. Fragen wir uns also, ob wir in der Lage sind, diejenigen zu sehen, die an unserer Seite leben, die mit uns im gleichen Haus wohnen, die wir jeden Tag auf der Straße treffen. Brüder und Schwestern, ahmen wir die Hirten nach: Lernen wir zu sehen! Mit dem Herzen zu verstehen, indem wir sehen. Lass uns lernen zu sehen.

Gehen und sehen. Heute ist der Herr in unsere Mitte gekommen und die Heilige Mutter Gottes stellt ihn uns vor Augen. Lasst uns im beschwingten Gehen und im staunenden Sehen die Geheimnisse wiederentdecken, die dieses Jahr zu einem wirklich neuen Jahr werden lassen und die Müdigkeit des Verharrens oder den trügerischen Frieden der Verführung überwinden.

Und nun, Brüder und Schwestern, lade ich euch alle ein, auf Maria zu schauen. Rufen wir sie dreimal an: „Heilige Mutter Gottes!“, wie es die Menschen in Ephesus taten. Heilige Mutter Gottes! Heilige Mutter Gottes! Heilige Mutter Gottes!

[00001-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

¡Santa Madre de Dios! Es la aclamación gozosa del Pueblo santo de Dios, que resonaba por las calles de Éfeso en el año 431, cuando los Padres del Concilio proclamaron a María Madre de Dios. Se trata de un dato esencial de la fe, pero sobre todo de una noticia bellísima: Dios tiene una Madre y de ese modo se ha vinculado para siempre con nuestra humanidad, como un hijo con su madre, hasta el punto de que nuestra humanidad es su humanidad. Es una verdad tan impresionante y consoladora, que el último Concilio, aquí celebrado, afirmó: «El Hijo de Dios con su encarnación se ha unido, en cierto modo, con todo hombre. Trabajó con manos de hombre, pensó con inteligencia de hombre, obró con voluntad de hombre, amó con corazón de hombre. Nacido de la Virgen María, se hizo verdaderamente uno de los nuestros, semejante en todo a nosotros, excepto en el pecado» (Const. past. Gaudium et spes, 22). Esto es lo que Dios hizo al nacer de María: mostró su amor concreto por nuestra humanidad, abrazándola de forma real y plena. Hermanos, hermanas, Dios no nos ama de palabra, sino con hechos; no lo hace “desde lo alto”, de lejos, sino “de cerca”, precisamente desde el interior de nuestra carne, porque en María el Verbo se hizo carne, porque en el pecho de Cristo sigue latiendo un corazón de carne, que palpita por cada uno de nosotros.

Santa Madre de Dios. Con este título se han escrito muchos libros y grandes tratados. Pero, sobre todo, esas palabras entraron en el corazón del santo Pueblo de Dios, en la oración más familiar y hogareña, que acompaña el ritmo de las jornadas, los momentos más penosos y las esperanzas más audaces: el Avemaría. Después de algunas frases extraídas de la Palabra de Dios, la segunda parte de la oración comienza precisamente así: «Santa María, Madre de Dios, ruega por nosotros pecadores». Esta invocación muchas veces marcó el ritmo de nuestras jornadas y permitió a Dios acercarse, por medio de María, a nuestras vidas y a nuestra historia. Madre de Dios, ruega por nosotros pecadores, se recita en una gran diversidad de lenguas, con las cuentas del rosario y en los momentos de necesidad, ante una imagen sagrada o por la calle. A esta invocación, la Madre de Dios siempre responde, escucha nuestras peticiones, nos bendice con su Hijo entre los brazos, nos trae la ternura de Dios hecho carne. Nos da, en una palabra, esperanza. Y nosotros, al inicio de este año, necesitamos esperanza, como la tierra necesita la lluvia. El año, que se abre bajo el signo de la Madre de Dios y nuestra, nos dice que la llave de la esperanza es María, y la antífona de la esperanza es la invocación Santa Madre de Dios. Y hoy encomendamos a la Madre Santísima al amado Papa emérito Benedicto XVI, para que lo acompañe en su paso de este mundo a Dios.

Recemos a la Madre de modo especial por los hijos que sufren y ya no tienen fuerzas para rezar, por tantos hermanos y hermanas afectados por la guerra en tantas partes de mundo, que viven estos días de fiesta en la oscuridad y a la intemperie, en la miseria y con miedo, sumergidos en la violencia y en la indiferencia. Por tantos que no tienen paz, aclamemos a María, la mujer que ha traído al mundo al Príncipe de la paz (cf. Is 9,5; Ga 4,4). En ella, Reina de la paz, se realiza la bendición que hemos escuchado en la primera lectura: «Que el Señor te descubra su rostro y te conceda la paz» (Nm 6,26). A través de las manos de una Madre, la paz de Dios quiere entrar en nuestras casas, en nuestros corazones, en nuestro mundo. Pero, ¿cómo podemos acogerla?

Dejémonos aconsejar por los protagonistas del Evangelio de hoy, los primeros que vieron a la Madre con el Niño, los pastores de Belén. Eran pobres, quizás también bastante rudos, y aquella noche estaban trabajando. Fueron precisamente ellos, y no los sabios ni mucho menos los poderosos, los que reconocieron en primer lugar al Dios cercano, al Dios que llegó pobre y ama estar con los pobres. El Evangelio subraya de los pastores, sobre todo, dos gestos muy sencillos, que, sin embargo, no siempre son fáciles. Los pastores fueron y vieron. Dos gestos: ir y ver.

En primer lugar, ir. El texto dice que los pastores «fueron, rápidamente» (Lc 2,16). No se quedaron quietos. Era de noche, tenían que cuidar a sus rebaños y seguramente estaban cansados; podrían haber esperado a que amaneciera, aguardar a que saliera el sol para ir a ver a un Niño acostado en un pesebre. En cambio, fueron rápidamente, porque ante las cosas importantes es necesario reaccionar con prontitud, no posponerlas; porque «la gracia del Espíritu Santo ignora la lentitud» (S. Ambrosio, Comentario sobre el Evangelio de San Lucas, 2). Y así, encontraron al Mesías, al esperado durante siglos, a quien tantos buscaban.

Hermanos, hermanas, para acoger a Dios y su paz no podemos quedarnos inmóviles, no podemos permanecer esperando cómodamente a que las cosas mejoren. Hay que levantarse, aprovechar las oportunidades que nos da la gracia, ir, arriesgar. Es necesario arriesgar. Hoy, al comienzo del año, en lugar de sentarnos a pensar y a esperar que las cosas cambien, nos vendría bien preguntarnos: “Yo, ¿hacia dónde quiero ir este año? ¿A quién voy a hacer el bien?”. Muchos, en la Iglesia y en la sociedad, esperan el bien que tú y sólo tú puedes hacer, esperan tu servicio. Y ante la pereza que anestesia y la indiferencia que paraliza, ante el riesgo de limitarnos a quedarnos sentados delante de una pantalla, con las manos sobre un teclado, los pastores hoy nos estimulan a ir, a movernos por lo que sucede en el mundo, a ensuciarnos las manos para hacer el bien, a renunciar a tantos hábitos y comodidades para abrirnos a las novedades de Dios, que se encuentran en la humildad del servicio, en la valentía de hacernos cargo. Hermanos y hermanas, imitemos a los pastores: ¡pongámonos en marcha!

Dice el Evangelio que, cuando llegaron los pastores, «encontraron a María, a José, y al recién nacido acostado en el pesebre» (v. 16). Luego señala que, sólo después de haberlo visto (cf. v. 17), comenzaron a contar a los demás, llenos de asombro, sobre Jesús, y a glorificar y alabar a Dios por todo lo que habían oído y visto (cf. vv. 17-18.20). El punto de inflexión fue haberlo visto. Es importante ver, abrazar con la mirada, quedarse, como los pastores, delante del Niño que está en brazos de la Madre. Sin decir nada, sin preguntar nada, sin hacer nada. Mirar en silencio, adorar, acoger con los ojos la ternura consoladora del Dios hecho hombre; de María, Madre suya y nuestra. Al comienzo del año, entre tantas novedades que quisiéramos experimentar y las tantas cosas que quisiéramos llevar a cabo, tomémonos tiempo para ver, es decir, para abrir los ojos y mantenerlos abiertos ante lo que es verdaderamente importante: Dios y los demás. Tengamos el valor de sentir el asombro del encuentro, que es el estilo de Dios, algo muy distinto a la seducción del mundo, que nos tranquiliza. El asombro de Dios, el encuentro, te da paz; lo otro simplemente te anestesia y te da tranquilidad.

Cuántas veces, por las prisas, no tenemos ni siquiera tiempo para pasar un minuto en compañía del Señor, para escuchar su Palabra, para rezar, para adorar, para alabar. Lo mismo ocurre con respecto a los demás: apurados o atrapados por el protagonismo, no hay tiempo para escuchar a la esposa, al marido, para hablar con los hijos, para preguntarles cómo se sienten por dentro, no sólo cómo van los estudios y la salud. Y cuánto bien nos hace escuchar a los ancianos, al abuelo y a la abuela, para mirar la profundidad de la vida y redescubrir las raíces. Preguntémonos entonces si somos capaces de ver a quienes viven a nuestro lado, a quienes viven en nuestro condominio, a quienes encontramos cada día por las calles. Hermanos y hermanas, imitemos a los pastores: ¡aprendamos a ver! A entender con el corazón, viendo. Aprendamos a ver.

Ir y ver. Hoy el Señor ha venido entre nosotros y la Santa Madre de Dios lo pone ante nuestros ojos. Redescubramos, en el impulso de ir y en el asombro de ver, los secretos para hacer este año verdaderamente nuevo, y vencer el cansancio de quedarnos quietos o la falsa paz de la seducción.

Y ahora, hermanos y hermanas, los invito a todos ustedes a mirar a Nuestra Señora. Aclamémosla tres veces: ¡Santa Madre de Dios!, como hacía el pueblo en Éfeso. ¡Santa Madre de Dios! ¡Santa Madre de Dios! ¡Santa Madre de Dios!

[00001-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Santa Mãe de Deus! Era a aclamação jubilosa do Povo santo de Deus, que ressoava pelas ruas de Éfeso no ano quatrocentos e trinta e um, quando os Padres do Concílio proclamaram Maria, Mãe de Deus. Trata-se dum dado essencial da fé, mas sobretudo duma notícia maravilhosa: Deus tem uma Mãe e, por conseguinte, está ligado para sempre à nossa humanidade, como um filho à mãe, a ponto de a nossa humanidade ser a sua humanidade. É uma verdade tão clamorosa e consoladora que o último Concílio, aqui celebrado, afirmou: «Pela sua encarnação, Ele, o Filho de Deus, uniu-Se de certo modo a cada homem. Trabalhou com mãos humanas, pensou com uma inteligência humana, agiu com uma vontade humana, amou com um coração humano. Nascido da Virgem Maria, tornou-Se verdadeiramente um de nós, semelhante a nós em tudo, exceto no pecado» (Conc. Ecum. Vat. II, Const. past. Gaudium et spes, 22). Eis o que fez Deus com o seu nascimento de Maria: mostrou o seu amor concreto pela nossa humanidade, abraçando-a real e plenamente. Irmãos, irmãs, Deus não nos ama só com palavras, mas com factos; não nos ama lá «do alto», de longe, mas «de perto», precisamente de dentro da nossa carne, porque em Maria o Verbo Se fez carne e, no peito de Cristo, continua a bater um coração de carne, que palpita de amor por cada um de nós!

Santa Mãe de Deus! Muitos livros e grandes tratados se escreveram sobre este título; mas estas palavras entraram no coração do santo Povo de Deus sobretudo com a oração mais familiar e doméstica que acompanha o ritmo dos dias, os momentos mais duros e as esperanças mais ousadas, ou seja, a Ave Maria. De facto, depois dalgumas frases tiradas da Palavra de Deus, começa assim a segunda parte desta oração: «Santa Maria, Mãe de Deus, rogai por nós, pecadores…». Esta invocação marcou muitas vezes os nossos dias e permitiu que, através de Maria, Deus Se aproximasse das nossas vidas e da nossa história: rezada nas mais diversas línguas, desfiando as contas do terço e nos momentos de necessidade, diante duma Imagem sacra ou caminhando pela estrada. A esta invocação – Mãe de Deus, rogai por nós, pecadores –, a Mãe de Deus sempre responde! Escuta os nossos pedidos, abençoa-nos com o seu Filho nos braços, traz-nos a ternura de Deus feito carne; numa palavra, dá-nos esperança. E, no início deste ano, precisamos de esperança, como a terra precisa de chuva. O ano, que se abre sob o signo da Mãe de Deus e nossa, diz-nos que a chave da esperança é Maria, e a antífona da esperança é a invocação Santa Mãe de Deus. E hoje confiamos à nossa Mãe Santíssima o amado Papa emérito Bento XVI para que o acompanhe na sua passagem deste mundo para Deus.

Rezemos à Mãe de modo especial pelos filhos que sofrem e já não têm a força de rezar, por tantos irmãos e irmãs atingidos pela guerra em tantas partes do mundo, que vivem estes dias de festa na escuridão e ao frio, na miséria e no medo, submersos na violência e na indiferença! Por quantos não têm paz, aclamemos Maria, a mulher que trouxe ao mundo o Príncipe da paz (cf. Is 9, 5; Gal 4, 4). N’Ela, Rainha da paz, realiza-se a bênção que ouvimos na primeira Leitura: «O Senhor volte para ti a sua face e te dê a paz» (Nm 6, 26). Pelas mãos duma Mãe, a paz de Deus quer entrar nas nossas casas, nos nossos corações, no nosso mundo. Mas como fazer para a acolher?

Deixemo-nos aconselhar pelos protagonistas do Evangelho de hoje, os primeiros que viram a Mãe com o Menino: os pastores de Belém. Eram pessoas pobres, talvez até bastante rudes e, naquela noite, estavam de serviço. Foram precisamente eles, não os sábios nem mesmo os poderosos, os primeiros a reconhecer o Deus próximo, o Deus que veio pobre e gosta de estar com os pobres. Dos pastores, o Evangelho começa por destacar dois gestos muito simples, mas que não são sempre fáceis: os pastores foram e viram. Dois gestos: ir e ver.

Em primeiro lugar, ir. O texto diz que os pastores «foram apressadamente» (Lc 2, 16). Não ficaram parados. Era noite, tinham os seus rebanhos para cuidar e estavam certamente cansados: poderiam aguardar a aurora, esperar pelo nascer do sol para ir ver um Menino deitado numa manjedoura. Mas não; foram apressadamente, porque, em presença de coisas importantes, é preciso reagir prontamente, não adiar, pois «a graça do Espírito não tolera a lentidão» (Santo Ambrósio, Comentário sobre São Lucas, 2). E assim encontraram o Messias, o esperado que há séculos muitos procuravam.

Irmãos, irmãs, para acolher Deus e a sua paz, não se pode ficar comodamente parado à espera que as coisas melhorem. É preciso levantar-se, aproveitar as oportunidades da graça, ir, arriscar. É preciso arriscar. Hoje, no início do ano, em vez de ficarmos a pensar e esperar que as coisas mudem, será bom interrogar-nos: «Eu, neste ano, aonde quero ir? A quem vou fazer bem?» Muitos, na Igreja e na sociedade, esperam o bem que tu, e só tu, podes proporcionar, o teu serviço. E hoje, face à preguiça que anestesia e à indiferença que paralisa, frente ao risco de nos limitarmos a ficar sentados diante dum ecrã com as mãos no teclado, os pastores desafiam-nos a ir, a comover-nos com o que acontece no mundo, a sujar as mãos na realização do bem, a renunciar a toda uma série de hábitos e comodidades para nos abrirmos às novidades de Deus, que se encontram na humildade do serviço, na coragem de prestar cuidados. Irmãos e irmãs, imitemos os pastores: vamos!

Diz o Evangelho que, tendo chegado, os pastores «encontraram Maria, José e o menino deitado na manjedoura» (2, 16). E observa em seguida que, só «depois de [O] terem visto» (2, 17), começaram, cheios de maravilha, a contar aos outros o que lhes tinham dito de Jesus e a glorificar e louvar a Deus por tudo o que tinham ouvido e visto (cf. 2, 17-18.20). O ponto de viragem deu-se ao tê-Lo visto. É importante ver, abraçar com o olhar, permanecer ali, como os pastores, diante do Menino nos braços da Mãe. Sem dizer nada, sem perguntar nada, sem fazer nada. Olhar em silêncio, adorar, regalar os olhos com a ternura consoladora de Deus humanado e da sua e nossa Mãe. No início do ano, entre tantas novidades que quereríamos experimentar e as inúmeras coisas que quereríamos fazer, incluamos a de dedicar tempo a ver, ou seja, a abrir os olhos e mantê-los abertos diante daquilo que conta: Deus e os outros. Tenhamos a coragem de nos abrir à maravilha do encontro, que é o estilo de Deus; uma coisa muito diferente da sedução do mundo, que te tranquiliza. A maravilha de Deus, o encontro dá-te paz; o mundo consegue apenas anestesiar-te e pôr-te tranquilo.

Quantas vezes, levados pela pressa, não temos tempo sequer de parar um minuto na companhia do Senhor para ouvir a sua Palavra, rezar, adorar, louvar! E o mesmo acontece em relação aos outros: levados pela pressa ou pelo protagonismo, não temos tempo para escutar a esposa, o marido, para conversar com os filhos, para lhes perguntar como se sentem dentro, e não só como vão os estudos e a saúde. Faz muito bem deter-se a escutar os idosos, o avô e a avó, para ver a profundidade da vida e redescobrir as raízes. Sendo assim, perguntemo-nos se somos capazes de ver quem vive ao nosso lado, quem mora no nosso prédio, quem encontramos diariamente pela estrada. Irmãos e irmãs, imitemos os pastores: aprendamos a ver! A compreender com o coração, vendo. Aprendamos a ver.

Ir e ver. Hoje o Senhor veio para o meio de nós e a Santa Mãe de Deus coloca-O diante dos nossos olhos. Redescubramos, no ímpeto de ir e na maravilha de ver, os segredos para fazer verdadeiramente novo este ano, e vencer o cansaço que te faz instalar ou a paz falsa da sedução.

E agora, irmãos e irmãs, convido-vos todos a olhar para Nossa Senhora. Aclamemo-la três vezes «Santa Mãe de Deus!», como fazia o povo de Éfeso: Santa Mãe de Deus! Santa Mãe de Deus! Santa Mãe de Deus!

[00001-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Święta Boża Rodzicielka! Oto radosna aklamacja świętego Ludu Bożego, która rozbrzmiewała na ulicach Efezu w roku czterysta trzydziestym pierwszym, gdy Ojcowie Soboru ogłosili Maryję Matką Boga. Jest to zasadnicza prawda wiary, ale przede wszystkim jest to wspaniała wiadomość: Bóg ma Matkę, a zatem związał się na zawsze z naszym człowieczeństwem, jak syn z matką, do tego stopnia, że nasze człowieczeństwo jest Jego człowieczeństwem. Jest to prawda przełomowa i pocieszająca, tak bardzo, że ostatni Sobór, który odbył się tutaj, stwierdził: „Syn Boży, poprzez wcielenie zjednoczył się w pewien sposób z każdym człowiekiem. Ludzkimi rękoma wykonywał pracę, ludzkim myślał umysłem, ludzką wolą działał, ludzkim sercem kochał. Zrodzony z Maryi Dziewicy, stał się prawdziwie jednym z nas, podobny do nas we wszystkim oprócz grzechu” (Konst. duszpast. Gaudium et spes, 22). To właśnie uczynił Bóg rodząc się z Maryi: okazał swoją konkretną miłość do naszego człowieczeństwa, obejmując je prawdziwie i w pełni. Bracia, siostry, Bóg nie kocha nas słowami, ale czynami; nie „z góry”, z daleka, ale „z bliska”, właśnie z wnętrza naszego ciała, bo w Maryi Słowo stało się ciałem, bo w łonie Chrystusa wciąż bije serce z ciała, pulsujące dla każdego z nas!

Święta Boża Rodzicielka! Na temat tego tytułu napisano wiele książek i wielkich traktatów. Ale takie słowa weszły przede wszystkim do serc świętego Ludu Bożego w najbardziej znanej i domowej modlitwie, która towarzyszy rytmowi dni, chwilom najbardziej trudnym i najśmielszym nadziejom: Zdrowaś Maryjo. Po kilku zdaniach zaczerpniętych ze Słowa Bożego, druga część modlitwy zaczyna się tak: „Święta Maryjo, Matko Boża, módl się za nami grzesznymi”. To wezwanie niejednokrotnie stanowiło zwieńczenie naszych dni i pozwalało Bogu zbliżyć się, poprzez Maryję, do naszego życia i naszej historii. Matko Boża, módl się za nami grzesznymi: odmawiana w najróżniejszych językach, na paciorkach różańca i w potrzebie, przed świętym obrazem lub na ulicy – na to wezwanie Matka Boża zawsze odpowiada, wysłuchuje naszych próśb, błogosławi nas ze swoim Synem trzymanym w ramionach, przynosi nam czułość Boga, który stał się ciałem. Jednym słowem, daje nam nadzieję. A my, na początku tego roku, potrzebujemy nadziei jak ziemia potrzebuje deszczu. Rok, który otwiera się w znaku Matki Boga i naszej, mówi nam, że kluczem do nadziei jest Maryja, a antyfoną nadziei jest wezwanie: Święta Boża Rodzicielko. I dziś powierzamy Matce Najświętszej ukochanego Papieża emeryta Benedykta XVI, aby towarzyszyła mu w jego przejściu z tego świata do Boga

W szczególny sposób módlmy się do Matki za dzieci, które cierpią i nie mają już siły się modlić, za jakże licznych braci i siostry dotkniętych wojną w wielu częściach świata, którzy przeżywają te dni świąteczne w mroku i zimnie, w nędzy i strachu, zanurzeni w przemocy i obojętności! Dla tych, którzy nie mają pokoju, wzywajmy Maryi, Niewiasty, która zrodziła Księcia Pokoju (por. Iz 9, 5; Ga 4, 4). W Niej, Królowej Pokoju, spełnia się błogosławieństwo, które usłyszeliśmy w pierwszym czytaniu: „Niech Pan zwróci ku tobie oblicze swoje i niech cię obdarzy pokojem” (Lb 6, 26). Przez ręce Matki, Boży pokój chce wejść do naszych domów, do naszych serc, do naszego świata. Ale jak go przyjąć?

Pozwólmy, aby doradzili nam bohaterowie dzisiejszej Ewangelii, którzy jako pierwsi zobaczyli Matkę z Dzieciątkiem: pasterze z Betlejem. Byli to ludzie ubodzy i może nawet dość prymitywni, a tej nocy pracowali. To właśnie oni, a nie mądrzy czy możni, pierwsi rozpoznali Boga bliskiego, Boga, który przyszedł ubogi i który kocha przebywać z ubogimi. O pasterzach Ewangelia podkreśla przede wszystkim dwa bardzo proste gesty, które nie zawsze są łatwe. Pasterze poszli i zobaczyli. Dwa gesty: pójść i zobaczyć.

Przede wszystkim pójść. Tekst mówi, że pasterze „pośpiesznie udali się” (Łk 2, 16). Nie stali w miejscu. Była noc, mieli swoje stada do oporządzenia i na pewno byli zmęczeni: mogli czekać na świt, czekać na wschód słońca, aby pójść, by zobaczyć Dzieciątko leżące w żłobie. Natomiast poszli bez zwłoki, bo w obliczu ważnych spraw trzeba reagować szybko, a nie zwlekać; bo „łaska Ducha Świętego nie zna powolnych rachub” (Św. Ambroży, Wykład Ewangelii według św. Łukasza, 2). I w ten sposób znaleźli Mesjasza, oczekiwanego od wieków, którego tak wielu szukało.

Bracia, siostry, aby przyjąć Boga i Jego pokój, nie można siedzieć w miejscu, nie można siedzieć wygodnie, czekając, aż wszystko się poprawi. Trzeba wstać, wykorzystać okazje łaski, pójść, zaryzykować. Trzeba zaryzykować. Dziś, na początku roku, zamiast zastanawiać się i czekać w nadziei, że coś się zmieni, dobrze by było zadać sobie pytanie: „Gdzie chcę pójść w tym roku? Do kogo pójdę, żeby czynić dobro?”. Tak wielu, w Kościele i w społeczeństwie, oczekuje dobra, które ty i jedynie ty możesz dać, twoja posługa. A w obliczu lenistwa, które znieczula, i obojętności, która paraliżuje, w obliczu ryzyka ograniczenia się do siedzenia przed ekranem z rękami na klawiaturze, dzisiejsi pasterze pobudzają nas do pójścia, do wzruszenia się tym, co dzieje się w świecie, do pobrudzenia sobie rąk, by czynić dobro, do wyrzeczenia się wielu przyzwyczajeń i wygód, by otworzyć się na Bożą nowość, która znajduje się w pokorze służby, w odwadze zatroszczenia się. Bracia i siostry, naśladujmy pasterzy: pójdźmy!

 

Ewangelia mówi, że kiedy pasterze przybyli, „znaleźli Maryję, Józefa oraz leżące w żłobie Niemowlę” (w. 16). Następnie zauważa, że dopiero „gdy Je ujrzeli” (w. 17), pełni zdumienia, zaczęli opowiadać innym o Jezusie oraz wielbić i wychwalać Boga za wszystko, co usłyszeli i zobaczyli (por. w. 17-18.20). Punktem zwrotnym było zobaczenie Go. Ważne jest, aby zobaczyć, objąć swoim spojrzeniem, stanąć, jak pasterze, przed Dzieciątkiem w ramionach Matki. Nic nie mówiąc, o nic nie prosząc, nic nie robiąc. Patrzeć w milczeniu, adorować, przyjmować wzrokiem pocieszającą czułość Boga, który stał się człowiekiem, Jego i naszej Matki. Na początku roku, pośród wielu nowych rzeczy, które chcielibyśmy przeżyć i wielu rzeczy, które chcielibyśmy zrobić, poświęćmy czas, aby zobaczyć, czyli otworzyć oczy i mieć je otwarte na to, co się liczy: na Boga i na innych. Miejmy odwagę odczuwać zachwyt ze spotkania, będącego stylem Boga, rzeczą zupełnie inną niż uwodzenie ze strony świata, które uspokaja cię. Zachwyt Bogiem, spotkanie, daje ci pokój; inne tylko cię znieczula i daje ci pozorne uspokojenie.

Ileż to razy, ogarnięci pośpiechem nie mamy czasu, by nawet na minutę zatrzymać się w towarzystwie Pana, by posłuchać Jego słowa, by się modlić, by adorować, by chwalić... To samo dzieje się z innymi: ogarnięci pośpiechem lub pragnieniem odgrywania głównej roli, brak czasu, by wysłuchać żony, męża, by porozmawiać z dziećmi, by zapytać ich, co dzieje się w ich wnętrzu, a nie tylko jak idą studia i zdrowie. A jak dobrze jest posłuchać starszych, dziadka i babci, zajrzeć w głąb życia i na nowo odkryć korzenie. Zadajmy więc sobie pytanie, czy jesteśmy w stanie dostrzec, kto mieszka obok nas, kto mieszka w naszym budynku, kogo spotykamy codziennie na ulicach. Bracia i siostry, naśladujmy pasterzy: uczmy się patrzeć! Rozumieć sercem, patrząc. Uczmy się patrzeć.

 

Pójść i zobaczyć. Dziś Pan przyszedł do nas i Święta Boża Rodzicielka stawia Go przed naszymi oczami. Odkryjmy na nowo w pragnieniu pójścia i w zdumieniu, by zobaczyć tajemnice, by uczynić ten rok naprawdę nowym, i przezwyciężyć zmęczenie spowodowane pozostawaniem w miejscu oraz fałszywy pokój uwodzenia.

A teraz bracia i siostry, zapraszam was wszystkich do spojrzenia na Matkę Bożą. Wezwijmy Ją trzykrotnie: Święta Boża Rodzicielka!, jak czynił to lud Efezu. Święta Boża Rodzicielka! Święta Boża Rodzicielka! Święta Boża Rodzicielka!

[00001-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

عظة قداسة البابا فرنسيس

في قدّاس رأس السّنة

عيد القدّيسة مريم والدة االله - اليوم العالمي السّادس والخمسون للسلام

يوم الأحد 1 كانون الثّاني/يناير 2023

بازيليكا القدّيس بطرس

والدة الله القدّيسة! إنّه هُتاف شعب الله المقدّس الفَرِح، الذي كان يتردّد صداه في شوارع أفسس في سنة أربعمائة وإحدى وثلاثين، عندما أعلن آباء المجمع مريم والدة الله. إنّها حقيقة أساسيّة من حقائق الإيمان، وقبل كلّ شيء، إنّه خَبَرٌ جميلٌ جدًّا: الله له أُم، وصار مرتبطًا بإنسانيّتنا إلى الأبد، مثل ارتباط الابن بأمّه، لدرجة أنّ إنسانيّتنا أصبحت إنسانيّته. إنّها حقيقة تثير الاضطراب في النفس، لكنّها تعزّي. المجمع الأخير الذي احتفلنا به هنا، أكدّ ما يلي: "بتجسُّدِهِ اتَّحَدَ ابن الله نوعًا ما بكلِّ إنسان. لقد اشتغل بيدي إنسانٍ وفكّر كما يُفكر الإنسان وعمل بإرادة إنسانٍ، وأحبَّ بقلبِ إنسان. وُلِدَ من مريم العذراء وصار حقًا واحدًا منّا شبيهًا بنا في كلِّ شيء ما عدا الخطيئة" (دستور رعائي، الكنيسة في عالم اليوم، فرح ورجاء، 22). هذا ما صنعه الله عندما وُلِد من مريم: أظهر محبّته الحقيقيّة لإنسانيّتنا، واتخذها حقًّا وكاملة. أيّها الإخوة والأخوات، الله لا يحبّنا بالكلام، بل بالعمل، ولا يحبّنا ”من فوق“، ومن بعيد، بل ”عن قُرب“، ومن داخل جسدنا، لأنّ الكلمة في مريم صار جسدًا، لأنّ في صَدْرِ المسيح ما زال يخفق قلب اللحم، وينبض من أجل كلّ واحدٍ منّا!

والدة الله القدّيسة! كُتِبَت حول هذا العنوان كُتُبٌ كثيرة ومؤلَّفات كبيرة. لكن هذه الكلمات، قبل كلّ شيء، دخلت في قلب شعب الله المقدّس، وفي الصّلاة المألوفة والعائليّة، التي ترافق إيقاع الأيام، وأشدّ اللحظات تعبًا وأكثر الآمال جرأة، وهي: السّلام عليكِ يا مريم. بعد بضع جمل مأخوذة من كلمة الله، يبدأ القسم الثّاني من الصّلاة على هذا النّحو: "يا قدّيسة مريم، يا والدة الله، صلّي لأجلنا نحن الخطأة". هذا الابتهال ملأ أيّامنا باستمرار وسمح لله بأن يقترب من حياتنا وتاريخنا، بواسطة مريم. يا والدة الله، صلّي لأجلنا نحن الخطأة: تُتلى هذه الصّلاة بلغات متنوّعة كثيرة، على حبّات المسبحة الورديّة، في أوقات الحاجة، أمام أيقونة مقدّسة أو في الطّريق، وابتهالنا هذا تستجيب له والدة الله دائمًا، وتُصغي لطلباتِنا، وتباركنا هي وابنها بين ذراعيها، وتحمل إلينا حنان الله المتجسّد. وبكلمة واحدة، إنّها تحيي فينا الرّجاء. ونحن، في بداية هذه السّنة، بحاجة إلى الرّجاء، كما تحتاج الأرض إلى المطر. السّنة التي تبدأ بعلامة والدة الله ووالدتنا، تقول لنا إنّ مفتاح الرّجاء هي مريم، وإنّ أنتيفونة الرّجاء هو الابتهال: يا والدة الله القدّيسة. واليوم لنوكل البابا السّابق بنديكتس السّادس عشر إلى والدة الله الكليّة القداسة لترافقه في طريقه من هذا العالم إلى الله.

لنصلِّ إلى والدة الله ولا سيّما من أجل الأبناء الذين يعانون ولم يعد لديهم القوّة للصّلاة، ومن أجل الإخوة والأخوات الكثيرين الذين ضربتهم الحروب في أنحاء كثيرة من العالم، ويعيشون أيّام العيد هذه في الظّلام والبَرد، وفي البؤس والخوف، غارقين في العنف واللامبالاة! لنهتف لمريم، المرأة التي حملت إلى العالم أمير السّلام، من أجل الذين ليس عندهم سلام (راجع أشعيا 9، 5؛ غلاطية 4، 4). فيها، ملكة السّلام، تتحقّق البركة التي سمعناها في القراءة الأولى: "يَرفَعُ الرَّبُّ وَجهَه نَحوَكَ ويَمنَحُكَ السَّلام" (العدد 6، 26). بوساطة الأم، يريد سلام الله أن يدخل بيوتنا وقلوبنا وعالمنا. لكن كيف العمل لنستقبله؟

لنسترشد بالأشخاص المذكورين في إنجيل اليوم. هم أوّل من رأى والدة الله مع الطّفل، وهُم: رُعاة بيت لحم. كانوا أناسًا فقراء، وربّما أيضًا معتادين الحياة الخشنة، وكانوا يعملون في تلك الليلة. ليسوا من الحُكماء ولا من أصحاب السّلطان. هم أوّل من عرف الله القريب، الله الذي جاء فقيرًا ويحبّ أن يبقى مع الفقراء. بالنّسبة للرّعاة، يؤكّد الإنجيل أوّلًا على حركتَين بسيطتَين جدًّا، لكنّهما ليستَا دائمًا سهلتَين: ذَهَبَوا ورَأَوا. حركتان بسيطتان: ذَهَبَوا ورَأَوا.

أوّلًا ذَهَبَوا. قال النّص إنّ الرّعاة "ذهبوا مُسرعين" (لوقا 2، 16). لم يبقوا واقفين في مكانهم. أظلم الليل، وهم يسهرون على قطعانهم، وكانوا بالتّأكيد مُتعبين: كان بإمكانهم أن ينتظروا الفجر، وينتظروا شروق الشّمس ليذهبوا ويروا طفلًا مُضجعًا في مِذوَد. لكنّهم ذهبوا مسرعين، لأنّه أمام الأمور المهمّة يجب علينا أن نتصرّف على الفور، ولا نؤجّل، لأنّ "نعمة الرّوح القدس لا تقبل التأجيل" (القدّيس أمبروسيوس، شرح للقدّيس لوقا، 2). وهكذا وجدوا المسيح مُنتظَر الدّهور، الذي كان يبحث عنه الكثيرون.

أيّها الإخوة والأخوات، لكي نستقبل الله وسلام الله، لا يمكننا أن نبقى واقفين في أماكننا مكتوفي الأيدي في راحتنا، ننتظر أن تتحسّن الأمور. علينا أن ننهض، ونغتنم فُرَص النِّعمة، ونذهب، ونُخاطر. علينا أن نُخاطر. اليوم، في بداية السّنة، بدل أن نفكّر ونأمل أن تتغيّر الأمور، حسنٌ لنا أن نسأل أنفسنا: "إلى أين أريد أن أذهب أنا في هذه السّنة؟ ولِمَن سأصنع الخير؟". كثيرون، في الكنيسة والمجتمع، ينتظرون الخير الذي أنت وحدك يمكنك أن تقدّمه، خدمتك. وأمام الكسل الذي يخدّرنا واللامبالاة التي تشلّ حركتنا، وأمام الخطر الذي يهددنا، فنحدّ أنفسنا ونبقى جالسين أمام الشّاشة وأيدينا على لوحة المفاتيح، يحثّنا الرّعاة اليوم على الذّهاب، وعلى أن نتأثّر بما يحدث في العالم، وعلى أن نضع أيدينا في الوحل، لكي نصنع الخير، وعلى أن نتخلّى عن عادات ووسائل راحة كثيرة لكي ننفتح على كلّ ما هو جديد من الله، كلّ ما نجده في تواضع الخدمة، وفي الشّجاعة في أن نعتني بغيرنا. أيّها الإخوة والأخوات، لنقتدِ بالرّعاة: لنذهب!

قال الإنجيل، وصل الرُّعاة "فوَجَدوا مريمَ ويوسُفَ والطِّفلَ مُضجَعًا في المِذوَد" (الآية 16). ثمّ قال: "لَمَّا رَأَوا ذلكَ" (آية 17)، فقط بعد أن رأَوا، وقد امتلأوا بالدّهشة، بدأوا يُخبرون غيرهم عن يسوع، ويمجّدون الله ويسبّحونه على كلّ ما سمعوه ورأوه (راجع الآيات 17-18. 20). كانت نقطة التّحول هي رؤيتهم له. من المهمّ أن نرى، وأن نعانق الآخر بنظرنا، وأن نبقى، مثل الرّعاة، أمام الطّفل بين ذراعي أمّه. دون أن نقول شيئًا، ودون أن نطلب شيئًا، ودون أن نفعل شيئًا. ننظر بصمت، ونسجد، ونستقبل بأعيننا حنان الله المعزّي الذي صار إنسانًا، وحنان أمّه وأمّنا. في بداية السّنة، من بين الأمور الجديدة الكثيرة التي نريد أن نجرّبها والأمور الكثيرة التي نريد أن نفعلها، لنخصّص وقتًا لنرى، أيْ، لنفتح أعيننا ونُبقيها مفتوحة أمام ما هو مهمّ: الله والآخرين. لتكن لدينا الشّجاعة لنشعر بدهشة اللقاء، وهو أسلوب الله، وهو شيء مختلف تمامًا عن إغراءات العالم التي تطمئننا. دهشة اللقاء مع الله تمنحننا السّلام. بينما إغراءات العالم تخدرنا فقط وتمنحنا الهدوء.

كم مرّة، ونحن في عجلة من أمرنا، لا نجد الوقت لنتوقّف لدقيقة في صُحبة الرّبّ يسوع لكي نصغي إلى كلمته، ولكي نصلّي، ونسجد، ونسبّح... الأمر نفسه يحدث مع الآخرين: بسبب عجلتنا أو بسبب أنّنا نحن المسؤولون، لا نجد الوقت لنستمع إلى الزّوجة، أو الزّوج، أو لنتكلّم مع الأبناء، ونسألهم عن أحوالهم في داخل نفوسهم، ليس فقط عن دراستهم وصحّتهم. وكم من الجيّد أن نستمع إلى كبار السّنّ، الجَدّ والجدّة، لكي ننظر في أعماق الحياة ونُعيد اكتشاف الجذور. لذلك، لنسأل أنفسنا هل نحن قادرون على أن نرى الذين يعيشون بقربنا، والذين يعيشون في بنايتنا، والذين نلتقي بهم كلّ يوم في الطّريق. أيّها الإخوة والأخوات، لنقتدِ بالرّعاة: لنتعلّم أن نرى!

لنذهب ونرى. اليوم جاء الرّبّ يسوع بيننا ووضعته والدة الله القدّيسة أمام أعيننا. في انطلاقتنا، وفي دهشتنا لِما نرى، لنكتشِفْ السرَّ والوسيلة، التي نجعل بها هذه السّنة سنةً جديدًة حقًّا، والتي نتغلّب بها على تعب البقاء أو على السّلام المغري الزائف.

والآن، أيّها الإخوة والأخوات، أدعو الجميع إلى أن ينظروا إلى سيّدتنا مريم العذراء. ولنردّد ثلاث مرّات: يا والدة الله القدّيسة! كما فعل أهل أفسس. يا والدة الله القدّيسة! يا والدة الله القدّيسة! يا والدة الله القدّيسة!

[00001-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0001-XX.02]