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Conferenza Stampa “Azioni di carattere sociale della Basilica Papale di San Pietro in preparazione al Giubileo”, 05.12.2023


Intervento dell’Em.mo Card. Mauro Gambetti, O.F.M. Conv.

Intervento della Dott.ssa Flavia Filippi

Intervento del Dott. Arnoldo Mosca Mondadori

Oggi, alle 12.30, ha avuto luogo in diretta streaming dalla Sala Stampa della Santa Sede la Conferenza Stampa “Azioni di carattere sociale della Basilica Papale di San Pietro in preparazione al Giubileo”.

Sono intervenuti: l’Em.mo Card. Mauro Gambetti, O.F.M. Conv., Arciprete della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e Presidente della Fabbrica di San Pietro; il Presidente Giovanni Russo, Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia della Repubblica italiana; la Dott.ssa Flavia Filippi, Fondatrice e Presidente dell’Associazione “Seconda Chance”; e il Dott. Arnoldo Mosca Mondadori, Fondatore e Presidente della Fondazione “Casa dello Spirito e delle Arti”.

Pubblichiamo di seguito alcuni interventi:

Intervento dell’Em.mo Card. Mauro Gambetti, O.F.M. Conv.

Secondo la tradizione ebraica il giubileo cadeva al termine di sette settimane di anni, il cinquantesimo anno, e aveva diverse implicazioni sociali ed economiche.

Nel giubileo gli ebrei caduti in disgrazia, divenuti “schiavi” dei propri fratelli per restituire debiti, venivano liberati e le proprietà che erano state vendute a causa di difficoltà finanziarie venivano restituite ai proprietari originari. Inoltre, in quell’anno – come ogni sette anni – la terra non veniva coltivata, per consentirle di rigenerarsi.

Era una forma utopica di giustizia sociale, di compassione e di rispetto per la terra. Si congiungevano così due principi assoluti: la dignità di ogni persona – espressa dalla restituzione della libertà e della terra – e la grandezza e bontà di Dio, che ha creato persone libere e ha donato loro la terra perché vivano in pace e nell’abbondanza.

In fin dei conti, il giubileo era un memoriale della liberazione del popolo dalla schiavitù d’Egitto e dell’ingresso nella terra promessa. Così, attraverso leggi che promuovevano uno spirito di solidarietà, veniva coltivato il sogno di sconfiggere la miseria, eliminare le ingiustizie, dare a tutti almeno una seconda possibilità.

Tre parole risuonano nell’anno giubilare. Gratuità, giustizia, perdono.

La gratuità. Viviamo in un mondo che non ci siamo dati; nessuno si è fatto da sé, con il proprio lavoro o con il proprio ingegno. Ciascuno di noi è un dono e tutto ciò che utilizziamo o di cui abbiamo il temporaneo possesso ha la sua origine nella gratuità. È un’evidenza. Una delle conseguenze che ne derivano: prima di pensare alla retribuzione da ricevere, occorre impegnarsi per restituire ciò che è stato ricevuto in dono (in prestito), mettendo a disposizione degli altri il “talento” e i “talenti”. Questa è l’anima più limpida e potente di qualsivoglia attività d’impresa e di mercato, perché rispetta tutti, valorizza ciascuno e costruisce amicizia sociale.

La giustizia. La terra in cui viviamo è una terra buona, terra donata, ma non solo a me. A tutti. Per cui, bisogna che le diseguaglianze sociali, le sperequazioni, vengano quanto più possibile ridotte, dove non del tutto eliminate. Certamente gli indigenti non mancheranno mai, ma dobbiamo lottare per contrastare la miseria – economica, culturale, spirituale – per consentire a tutte e a tutti di avere le medesime opportunità di crescita e di godere dei beni della terra e del cielo.

Il perdono è allo stesso tempo il motore e il carburante della gratuità e della giustizia. Occorre essere operatori di pace nel proprio ambiente, a partire da quello familiare, praticando il perdono. Ad esempio, rispondere con mitezza alle parole offensive, porre gesti di riconciliazione dove vi è divisione, fare del bene a chi si pone come nemico sono alcuni degli atteggiamenti che costruiscono la pace, distruggono il potenziale del male e lo trasformano in bene.

Da queste convinzioni e dalla collaborazione con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia della Repubblica Italiana, con la Fondazione “Casa dello Spirito e delle Arti” e con l’Associazione “Seconda Chance”, nascono i progetti sociali della Basilica che saranno illustrati oggi.

Accanto a questi progetti, la sera del 9 dicembre, in occasione dell’accensione dell’albero e della benedizione del Presepe di Greccio in piazza San Pietro, la Parrocchia di San Pietro organizza insieme al Dicastero per la Carità e con il supporto del Governatorato una cena con le persone senza fissa dimora.

In preparazione al giubileo abbiamo inoltre ampliato gli orari per la preghiera in Basilica, aggiungendo al sabato alle 21 l’appuntamento settimanale dell’Adorazione eucaristica serale all’Altare della Confessione.

Il giubileo è possibile viverlo solo attingendo continuamente allavitaspirituale, che consente di avere uno sguardo semplice ed umile e un cuore largo per accogliere gli altri, i diversi, perchéli riconosce cosìsimili a sénelle profondità misteriose dell’essere da sentirsi una cosa sola con loro.

Chi si abbevera alle sorgenti dello spirito vede scomparire dal cuore la paura della morte e sa rinunciare ai propri averi e alle proprie ragioni, sa aprirsi al perdono, donare con generosità, fare del bene a chi gli fa del male, sottomettersi a tutti per amore.

In questo ci faremo guidare dalla testimonianza di Pietro lungo il ciclo delle Lectio Petri, già iniziate dalla Fondazione Fratelli tutti in collaborazione con il Cortile dei Gentili.

Pietro ha compreso che Gesù ha sconfitto il male e la morte non perché non ne ha sentito tutta la feroce e ingiusta violenza, ma perché ha risposto solo con l’amore e tutto il male della storia si è sciolto come neve al sole, lasciando solo la pace, la vita e la gioia, condensate nel saluto del Risorto: shalom. E lui lo ha seguito fino in fondo.

 

[01855-IT.01] [Testo originale: Italiano]

 

 

Intervento della Dott.ssa Flavia Filippi

Sono molto grata a S. Em. il Card. Gambetti per l'apertura verso questo progetto che sta portando fermento negli istituti di pena e regala speranza a chi la cercava invano da tempo. L'arrivo in Vaticano del primo detenuto di Seconda Chance, lo scorso primo settembre alle 6.55 del mattino, è stato un momento indimenticabile. Il suo sorriso stupefatto mentre correva verso l’ingresso del Sant’Uffizio per arrivare puntuale alle 7 segna l’avvio di un percorso cominciato un anno e mezzo fa grazie al Cardinale e alla Fabbrica di San Pietro. Diversi colloqui di selezione sono in corso per altre posizioni presso la Fabbrica. Siamo già tornati a Rebibbia e a Regina Coeli per valutare alcuni candidati. Il progetto si diffonde con una velocità impressionante: inizialmente Seconda Chance puntava solo al reinserimento lavorativo dei detenuti, ma l’Associazione si è presto trasformata in un punto di riferimento per la popolazione carceraria. Al nostro indirizzo (info@secondachance.net) riceviamo continue richieste dai detenuti, dai familiari, dagli avvocati, ma anche da operatori penitenziari che ci chiedono di portare corsi di formazione, di procurare forni per pizza e attrezzi da palestra, di provare a migliorare le infrastrutture sportive, di organizzare eventi sportivi, culturali, musicali. La richiesta primaria però è quella di trovare opportunità per i tanti ristretti che sono nella condizione giuridica adeguata per lavorare fuori, dove la carenza di manodopera è cronica in diversi settori, soprattutto nell’edilizia e nella ristorazione. Ma i reclusi ci scrivono anche per colmare la solitudine, per una risposta o una visita, per domandare se possono contare su di noi. E quando escono in permesso ci telefonano sempre, talvolta passano a salutarci.

L’intenzione di Seconda Chance è quella di allargare, consolidare, ben strutturare sull’intero territorio nazionale questa piccolissima rete che, non contando su personale dedicato, non è potuta ancora uscire dall’artigianalità. Reperire contratti di lavoro è una fatica immensa. Non bastano le mail, le telefonate, i biglietti da visita lasciati nei bar, nei ristoranti, nei negozi, nelle autofficine, nelle fabbriche, nelle aziende edili, agricole, grafiche. Per individuare un imprenditore senza pregiudizi disposto a venire in carcere con noi per valutare manodopera, e disinteressato ai lunghi tempi burocratici che passano prima che il detenuto venga autorizzato a lavorare fuori, occorrono pazienza, sensibilità, cuore, tempo. Occorre una squadra numerosa, motivata e bene attrezzata. Spero di riuscire a formarla presto.

[01857-IT.01] [Testo originale: Italiano]

 

Intervento del Dott. Arnoldo Mosca Mondadori

“Quando sono andato a Lampedusa e ho visto arrivare le barche con i migranti, barche che venivano distrutte e smaltite come “rifiuti speciali”, ho pensato che quel legno potesse diventare memoria della storia di quelle persone in fuga dalla guerra e dalla povertà.

Allora, nel 2021 abbiamo chiesto al Governo italiano che il legno delle barche, anziché essere distrutto, potesse essere riutilizzato.Ed eccoci qui con i Rosari del Mare: con le chiglie vengono realizzate le croci da parte di persone detenute. Le croci arrivano quindi dal carcere insieme ai grani, sempre nati da quel legno, e in un locale messo a disposizione dalla Basilica di San Pietro due persone rifugiate assemblano i Rosari. Ringrazio molto la Basilica di San Pietro di accogliere ogni mattina queste persone, che vengono ogni giorno a lavorare presso la Fabbrica di San Pietro e a ritrovare qui autonomia e dignità. Da una parte cerchiamo quindi, con questo progetto che si chiama “Metamorfosi”, di far sì che tanti giovani, ricevendo un rosario, possano conoscere il dramma contemporaneo dei migranti. Dall’altra diamo lavoro in carcere, negli istituti penitenziari di Opera, Monza, Rebibbia e Secondigliano, dove ci sono le diverse liuterie e falegnamerie, per sottolineare l’importanza dell’articolo 27 della Costituzione italiana, secondo cui la pena deve tendere alla “rieducazione del condannato”.

A coordinare il lavoro dei laboratori dove vengono costruiti i Rosari, è una persona che è qui presente, e si chiama Erjugen. Con il legno delle barche vengono anche realizzati dei violini nel carcere di Milano Opera, e Erjugen è stato uno dei primi liutai: ci siamo incontrati tredici anni fa, proprio nel carcere di Opera.

Lo abbiamo accompagnato nel suo percorso e ora da uomo libero, con il suo cartellino con la scritta “insegnante”, va a coordinare il lavoro delle persone detenute e presto sarà qui nella Fabbrica di San Pietro a collaborare anche in questo laboratorio, insieme al falegname Stefano, presenza costante insieme alle due donne rifugiate, Suzanne e Ana Maria. Grazie”.

[01856-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0856-XX.02]