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Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore, 24.12.2023


Omelia del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 19.30 di questa sera, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha presieduto la Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore 2023.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo di seguito:

Omelia del Santo Padre

«Il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). È questo il contesto nel quale Gesù nasce e su cui il Vangelo si sofferma. Poteva accennarne rapidamente, invece ne parla con accuratezza. E con ciò fa emergere un grande contrasto: mentre l’imperatore conta gli abitanti del mondo, Dio vi entra quasi di nascosto; mentre chi comanda cerca di assurgere tra i grandi della storia, il Re della storia sceglie la via della piccolezza. Nessuno dei potenti si accorge di Lui, solo alcuni pastori, relegati ai margini della vita sociale.

Ma il censimento dice di più. Nella Bibbia non lasciava un bel ricordo. Il re Davide, cedendo alla tentazione dei grandi numeri e ad una malsana pretesa di autosufficienza, aveva commesso un grave peccato proprio facendo il censimento del popolo. Voleva saperne la forza e dopo circa nove mesi ebbe il numero di quanti potevano maneggiare la spada (cfr 2 Sam 24,1-9). Il Signore si sdegnò e una disgrazia colpì il popolo. In questa notte, invece, il “Figlio di Davide”, Gesù, dopo nove mesi nel grembo di Maria, nasce a Betlemme, la città di Davide, e non punisce il censimento, ma si lascia umilmente conteggiare. Uno fra i tanti. Non vediamo un dio adirato che castiga, ma il Dio misericordioso che si incarna, che entra debole nel mondo, preceduto dall’annuncio: «sulla terra pace agli uomini» (Lc 2,14). E il nostro cuore stasera è a Betlemme, dove ancora il Principe della pace viene rifiutato dalla logica perdente della guerra, con il ruggire delle armi che anche oggi gli impedisce di trovare alloggio nel mondo (cfr Lc 2,7).

Il censimento di tutta la terra, insomma, manifesta da una parte la trama troppo umana che attraversa la storia: quella di un mondo che cerca il potere e la potenza, la fama e la gloria, dove tutto si misura coi successi e i risultati, con le cifre e con i numeri. È l’ossessione della prestazione. Ma al contempo nel censimento risalta la via di Gesù, che viene a cercarci attraverso l’incarnazione. Non è il dio della prestazione, ma il Dio dell’incarnazione. Non sovverte le ingiustizie dall’alto con forza, ma dal basso con amore; non irrompe con un potere senza limiti, ma si cala nei nostri limiti; non evita le nostre fragilità, ma le assume.

Fratelli e sorelle, stanotte possiamo chiederci: noi in che Dio crediamo? Nel Dio dell’incarnazione o in quello della prestazione? Sì, perché c’è il rischio di vivere il Natale avendo in testa un’idea pagana di Dio, come se fosse un padrone potente che sta in cielo; un dio che si sposa con il potere, con il successo mondano e con l’idolatria del consumismo. Sempre torna l’immagine falsa di un dio distaccato e permaloso, che si comporta bene coi buoni e si adira coi cattivi; di un dio fatto a nostra immagine, utile solo a risolverci i problemi e a toglierci i mali. Lui, invece, non usa la bacchetta magica, non è il dio commerciale del “tutto e subito”; non ci salva premendo un bottone, ma Lui si fa vicino per cambiare la realtà dal di dentro. Eppure, quanto è radicata in noi l’idea mondana di un dio distante e controllore, rigido e potente, che aiuta i suoi a prevalere contro gli altri! Tante volte è radicata in noi questa immagine. Ma non è così: Lui è nato per tutti, durante il censimento di tutta la terra.

Guardiamo dunque al «Dio vivo e vero» (1 Ts 1,9): a Lui, che sta al di là di ogni calcolo umano eppure si lascia censire dai nostri conteggi; a Lui, che rivoluziona la storia abitandola; a Lui, che ci rispetta al punto da permetterci di rifiutarlo; a Lui, che cancella il peccato facendosene carico, che non toglie il dolore ma lo trasforma, che non ci leva i problemi dalla vita, ma dà alle nostre vite una speranza più grande dei problemi. Desidera così tanto abbracciare le nostre esistenze che, infinito, per noi si fa finito; grande, si fa piccolo; giusto, abita le nostre ingiustizie. Fratelli e sorelle, ecco lo stupore del Natale: non un miscuglio di affetti sdolcinati e di conforti mondani, ma l’inaudita tenerezza di Dio che salva il mondo incarnandosi. Guardiamo il Bambino, guardiamo la sua mangiatoia, guardiamo il presepe, che gli angeli chiamano «il segno» (Lc 2,12): è infatti il segnale rivelatore del volto di Dio, che è compassione e misericordia, onnipotente sempre e solo nell’amore. Si fa vicino, si fa vicino, tenero e compassionevole, questo è il modo di essere di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.

Sorelle, fratelli, stupiamoci perché “si è fatto carne” (cfr Gv 1,14). Carne: parola che richiama la nostra fragilità e che il Vangelo utilizza per dirci che Dio è entrato fino in fondo nella nostra condizione umana. Perché si è spinto a tanto? – ci domandiamo –. Perché gli interessa tutto di noi, perché ci ama al punto da ritenerci più preziosi di ogni altra cosa. Fratello, sorella, per Dio che ha cambiato la storia durante il censimento tu non sei un numero, ma sei un volto; il tuo nome è scritto nel suo cuore. Ma tu, guardando al tuo cuore, alle prestazioni non all’altezza, al mondo che giudica e non perdona, forse vivi male questo Natale, pensando di non andare bene, covando un senso di inadeguatezza e di insoddisfazione per le tue fragilità, per le tue cadute e i tuoi problemi e per i tuoi peccati. Ma oggi, per favore, lascia l’iniziativa a Gesù, che ti dice: “Per te mi sono fatto carne, per te mi sono fatto come te”. Perché rimani nella prigione delle tue tristezze? Come i pastori, che hanno lasciato le loro greggi, lascia il recinto delle tue malinconie e abbraccia la tenerezza di Dio bambino. E fallo senza maschere , senza corazze, getta in Lui i tuoi affanni ed Egli si prenderà cura di te (cfr Sal 55,23): Lui, che si è fatto carne, non attende le tue prestazioni di successo, ma il tuo cuore aperto e confidente. E tu in Lui riscoprirai chi sei: un figlio amato di Dio, una figlia amata da Dio. Ora puoi crederlo, perché stanotte il Signore è venuto alla luce per illuminare la tua vita e i suoi occhi brillano d’amore per te. Noi abbiamo difficoltà a credere in questo, che gli occhi di Dio brillano di amore per noi.

Sì, Cristo non guarda i numeri, ma i volti. Chi, però, guarda a Lui, tra le tante cose e le folli corse di un mondo sempre indaffarato e indifferente? Chi lo guarda? A Betlemme, mentre molta gente, presa dall’ebbrezza del censimento, andava e veniva, riempiva gli alloggi e le locande parlando del più e del meno, alcuni sono stati vicini a Gesù: sono Maria e Giuseppe, i pastori, poi i magi. Impariamo da loro. Stanno con lo sguardo fisso su Gesù, con il cuore rivolto a Lui. Non parlano, ma adorano. Questa notte, fratelli e sorelle, è il tempo dell’adorazione: adorare.

L’adorazione è la via per accogliere l’incarnazione. Perché è nel silenzio che Gesù, Parola del Padre, si fa carne nelle nostre vite. Facciamo anche noi come a Betlemme, che significa “casa del pane”: stiamo davanti a Lui, Pane di vita. Riscopriamo l’adorazione, perché adorare non è perdere tempo, ma permettere a Dio di abitare il nostro tempo. È far fiorire in noi il seme dell’incarnazione, è collaborare all’opera del Signore, che come lievito cambia il mondo. Adorare è intercedere, riparare, consentire a Dio di raddrizzare la storia. Un grande narratore di imprese epiche scrisse a suo figlio: «Ti offro l’unica cosa grande da amare sulla terra: il Santissimo Sacramento. Lì troverai fascino, gloria, onore, fedeltà e la vera via di tutti i tuoi amori sulla terra» (J.R.R. Tolkien, Lettera 43, marzo 1941).

Fratelli e sorelle, stanotte l’amore cambia la storia. Fa’ che crediamo, o Signore, nel potere del tuo amore, così diverso dal potere del mondo. Signore, fa’ che come Maria, Giuseppe, i pastori e i magi, ci stringiamo attorno a Te per adorarti. Resi da Te più simili a Te, potremo testimoniare al mondo la bellezza del tuo volto.

[01991-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Le recensement sur toute la terre (cf. Lc 2, 1). Tel est le contexte dans lequel Jésus est né et sur lequel l’Évangile s’attarde. Il aurait pu l’évoquer rapidement, mais il en parle avec précision. Ce faisant, il met en évidence un fort contraste : tandis que l’empereur compte les habitants du monde, Dieu y entre presque en secret ; tandis que ceux qui commandent cherchent à s’élever parmi les grands de l’histoire, le Roi de l’histoire choisit la voie de la petitesse. Aucun des puissants ne le remarque, seuls quelques bergers, relégués aux marges de la vie sociale.

Mais le recensement en dit plus. Dans la Bible, il n’a pas laissé un bon souvenir. Le roi David, succombant à la tentation des grands nombres et à une prétention malsaine à l’autosuffisance, avait commis un grave péché précisément en recensant le peuple. Il voulait en connaître la force et, en neuf mois environ, il obtint le nombre de ceux qui savaient manier l’épée (cf. 2 S 24, 1-9). Le Seigneur s’indigna et un malheur s’abattit sur le peuple. En cette nuit, cependant, Jésus le “Fils de David”, après neuf mois dans le sein de Marie, naît à Bethléem, la ville de David. Il ne sanctionne pas le recensement et se laisse humblement dénombrer. Un parmi tant d’autres. Nous ne voyons pas un dieu en colère qui châtie, mais le Dieu miséricordieux qui s’incarne, qui entre faible dans le monde, avec la proclamation : «Paix sur la terre aux hommes» (Lc2, 14) qui le précède. Et notre cœur, ce soir, est à Bethléem, où le Prince de la paix est encore rejeté par la logique perdante de la guerre, avec le fracas des armes qui, aujourd'hui encore, l’empêche de trouver une place dans le monde (cf. Lc 2, 7).

Le recensement de la terre entière, en somme, manifeste d’une part la trame trop humaine qui traverse l’histoire : celle d’un monde en quête de pouvoir et de puissance, de célébrité et de gloire, où tout se mesure à l’aune des réalisations et des résultats, des chiffres et des nombres. C’est l'obsession de la performance. Mais en même temps, dans le recensement, le chemin de Jésus, qui vient nous chercher par l’incarnation, se singularise. Il n’est pas le Dieu de la performance, mais le Dieu de l’incarnation. Il ne renverse pas les injustices d’en haut par la force, mais d’en bas par l’amour ; il ne se déploie pas avec un pouvoir illimité, mais s’immerge dans nos limites ; il n’évite pas nos fragilités, mais les assume.

Frères et sœurs, nous pouvons nous demander cette nuit : en quel Dieu croyons-nous ? Au Dieu de l’incarnation ou au Dieu de la performance ? Oui, parce que il y a un risque de vivre Noël avec en tête une idée païenne de Dieu. Comme s’il était un maître puissant dans le ciel, un dieu lié au pouvoir, au succès mondain et à l’idolâtrie du consumérisme. Toujours revient la fausse image d’un dieu détaché et susceptible, qui se comporte bien avec les bons et se fâche avec les mauvais; un dieu fait à notre image, utile seulement pour résoudre nos problèmes et supprimer nos maux. Au contraire, Il n’utilise pas de baguette magique, Il n’est pas le dieu commercial du “tout et tout de suite” ; il ne nous sauve pas en appuyant sur un bouton, mais il se fait proche pour changer la réalité de l’intérieur. Et pourtant, combien est ancrée en nous l’idée mondaine d’un dieu distant et contrôleur, rigide et puissant, qui aide les siens à l’emporter sur les autres! Très souvent, cette image est enracinée en nous. Mais il n’en est pas ainsi : il est né pour tous, lors du recensement de toute la terre.

Tournons-nous donc vers le «Dieu vivant et vrai» (1 Th 1, 9) : vers Lui qui est au-delà de tout calcul humain et qui pourtant se laisse recenser par nos comptages ; vers Lui qui révolutionne l’histoire en l’habitant ; vers Lui qui nous respecte jusqu’à nous permettre de le rejeter ; vers Lui qui annule le péché en le prenant sur Lui, qui n’enlève pas la souffrance mais la transforme, qui n’enlève pas les problèmes de nos vies mais qui donne à nos vies une espérance plus grande que les problèmes. Il désire tellement embrasser nos existences que, infini, il devient pour nous fini ; grand, il devient petit ; juste, il habite nos injustices. Frères et sœurs, telle est la merveille de Noël : non pas un mélange d’affections sentimentales et de conforts mondains, mais la tendresse sans précédent de Dieu qui sauve le monde en s’incarnant. Regardons l’Enfant, regardons sa mangeoire, regardons la crèche, que les anges appellent «le signe» (Lc 2, 12) : elle est en effet le signe révélateur du visage de Dieu, qui est compassion et miséricorde, tout-puissant toujours et seulement dans l'amour. Il se fait proche, il se fait proche, tendre et compatissant, c’est la manière d’être de Dieu: proximité, compassion, tendresse.

Sœurs et frères, émerveillons-nous car “il s'est fait chair” (cf. Jn 1, 14). Chair : un mot qui rappelle notre fragilité et que l’Évangile utilise pour nous dire que Dieu est entré au plus profond de notre condition humaine. Pourquoi est-Il allé si loin ? – nous nous demandons –. Parce qu’en nous tout est important pour Lui, parce qu’Il nous aime au point de nous considérer comme plus précieux que tout le reste. Frères et sœurs, pour Dieu qui a changé l’histoire lors du recensement, tu n’es pas un numéro, mais tu es un visage ; ton nom est inscrit dans son cœur. Mais toi, en regardant ton cœur, les performances qui ne sont pas à la hauteur, le monde qui juge et ne pardonne pas, peut-être vis-tu mal ce Noël, en pensant que tu ne fais pas bien, en nourrissant un sentiment d’inadéquation et d’insatisfaction à cause de tes fragilités, de tes chutes, de tes problèmes et de tes péchés. Mais aujourd’hui, s’il te plait, laisse l’initiative à Jésus qui te dit : “C'est pour toi que je me suis fait chair, c’est pour toi que je me suis fait semblable à toi”. Pourquoi restes-tu dans la prison de tes tristesses ? Comme les bergers qui ont laissé leurs troupeaux, laisse l’enclos de tes mélancolies et embrasse la tendresse de l’enfant Dieu. Et fais-le sans masque ni armure, jette en lui tes angoisses et il prendra soin de toi (cf. Ps 55, 23). Lui, qui s’est fait chair, n’attend pas tes performances mais ton cœur ouvert et confiant. Et en Lui tu redécouvriras qui tu es : un fils bien-aimé de Dieu, une fille bien-aimée de Dieu. Maintenant tu peux y croire, car, ce soir, le Seigneur est venu dans la lumière pour illuminer ta vie et ses yeux brillent d’amour pour toi. Nous avons du mal à croire en cela, que les yeux de Dieu brillent d’amour pour nous.

Oui, le Christ ne regarde pas les numéros, mais les visages. Mais qui Le regarde, au milieu des innombrables choses et de la course folle d’un monde toujours affairé et indifférent ? Qui le regarde? À Bethléem, alors que beaucoup de gens, pris dans l’ivresse du recensement, allaient et venaient, remplissaient les gîtes et les auberges en parlant de choses et d’autres, certains étaient proches de Jésus : Marie et Joseph, les bergers, puis les mages. Apprenons d’eux. Ils ont les yeux fixés sur Jésus, le cœur tourné vers Lui. Ils ne parlent pas, mais ils adorent. Cette nuit, frères et sœurs, est le temps de l’adoration: adorer.

L’adoration est le moyen d’accueillir l’incarnation. Car c’est dans le silence que Jésus, le Verbe du Père, se fait chair dans nos vies. Faisons, nous aussi, comme à Bethléem qui signifie “maison du pain” : tenons-nous devant Lui, Pain de Vie. Redécouvrons l’adoration, car adorer ce n’est pas perdre son temps, mais permettre à Dieu d’habiter notre temps. C’est faire fleurir en nous la semence de l’incarnation, c’est collaborer à l’œuvre du Seigneur qui change le monde comme un levain. Adorer c’est intercéder, réparer, permettre à Dieu de redresser l’histoire. Un grand conteur d’épopées écrivait à son fils : «Je t’offre la seule grande chose à aimer sur terre : le Saint Sacrement. Tu y trouveras le charme, la gloire, l’honneur, la fidélité et le vrai chemin de toutes tes amours sur terre» (J.R.R. Tolkien, Lettre n. 43, mars 1941).

Frères et sœurs, ce soir, l’amour change l’histoire. Fais-nous croire, Seigneur, au pouvoir de ton amour, si différent du pouvoir du monde. Seigneur, fais que comme Marie, Joseph, les bergers et les mages, nous nous rassemblons autour de Toi pour T’adorer. Rendus par Toi plus semblables à Toi, nous pourrons témoigner au monde de la beauté de Ton visage.

[01991-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

 “A census of the whole earth” (cf. Lk 2:1).  This was the context in which Jesus was born, and the Gospel makes a point of it.  The census might have been mentioned in passing, but instead is carefully noted.  And in this way a great contrast emerges.  While the emperor numbers the world’s inhabitants, God enters it almost surreptitiously.  While those who exercise power seek to take their place with the great ones of history, the King of history chooses the way of littleness.  None of the powerful take notice of him: only a few shepherds, relegated to the margins of social life.

The census speaks of something else.  In the Scriptures, the taking of a census has negative associations.  King David, tempted by large numbers and an unhealthy sense of self-sufficiency, sinned gravely by ordering a census of the people.  He wanted to know how powerful he was.  After some nine months, he knew how many men could wield a sword (cf. 2 Sam 24:1-9).  The Lord was angered and the people suffered.  On this night, however, Jesus, the “Son of David”, after nine months in Mary’s womb, is born in Bethlehem, the city of David.  He does not impose punishment for the census, but humbly allows himself to be registered as one among many.  Here we see, not a god of wrath and chastisement, but the God of mercy, who takes flesh and enters the world in weakness, heralded by the announcement: “on earth peace among those whom he favours” (Lk 2:14).  Tonight, our hearts are in Bethlehem, where the Prince of Peace is once more rejected by the futile logic of war, by the clash of arms that even today prevents him from finding room in the world (cf. Lk 2:7).

The census of the whole earth, in a word, manifests the all-too-human thread that runs through history: the quest for worldly power and might, fame and glory, which measures everything in terms of success, results, numbers and figures, a world obsessed with achievement.  Yet the census also manifests the way of Jesus, who comes to seek us through enfleshment.  He is not the god of accomplishment, but the God of Incarnation.  He does not eliminate injustice from above by a show of power, but from below, by a show of love.  He does not burst on the scene with limitless power, but descends to the narrow confines of our lives.  He does not shun our frailties, but makes them his own.

Brothers and sisters, tonight we might ask ourselves: Which God do we believe in?  In the God of incarnation or the god of achievement?  Because there is always a risk that we can celebrate Christmas while thinking of God in pagan terms, as a powerful potentate in the sky; a god linked to power, worldly success and the idolatry of consumerism.  With the false image of a distant and petulant deity who treats the good well and the bad poorly; a deity made in our own image and likeness, handy for resolving our problems and removing our ills.  God, on the other hand, waves no magic wand; he is no god of commerce who promises “everything all at once”.  He does not save us by pushing a button, but draws near us, in order to change our world from within.  Yet how deeply ingrained is the worldly notion of a distant, domineering, unbending and powerful deity who helps his own to prevail against others!  This image is so frequently ingrained in us.  But that is not the case: our God was born for all, during a census of the whole earth.

Let us look, then, to the “living and true God” (1 Thess 1:9).  The God who is beyond all human reckoning and yet allows himself to be numbered by our accounting.  The God, who revolutionizes history by becoming a part of history.  The God who so respects us as to allow us to reject him; who takes away sin by taking it upon himself; who does not eliminate pain but transforms it; who does not remove problems from our lives but grants us a hope that is greater than all our problems.  God so greatly desires to embrace our lives that, infinite though he is, he becomes finite for our sake.  In his greatness, he chooses to become small; in his righteousness, he submits to our injustice.  Brothers and sisters, this is the wonder of Christmas: not a mixture of sappy emotions and worldly contentment, but the unprecedented tenderness of a God who saves the world by becoming incarnate.  Let us contemplate the Child, let us contemplate the manger, his crib, which the angels call “a sign” for us (cf. Lk 2:12).  For it truly is the sign that reveals God’s face, a face of compassion and mercy, whose might is shown always and only in love.  He makes himself close, tender and compassionate, for this is God’s style: closeness, compassion, tenderness.

Sisters and brothers, let us marvel at the fact that he “became flesh” (Jn 1:14).  Flesh: the very word evokes our human frailty.  The Gospel uses this word to show us that God completely assumed our human condition.  Let us ask: Why did he go to such lengths?  Because he cares for us, because he loves us to the point that he considers us more precious than all else.  Dear brother, dear sister, to God, who changed history in the course of a census, you are not a number; instead you are a face.  Your name is written on his heart.  But if you look to your own heart, and think of your own inadequacies and this world that is so judgmental and unforgiving, you may feel it difficult to celebrate this Christmas.  You may think things are going badly, or feel dissatisfied with your limitations, failings, problems and sins.  Today, though, please, let Jesus take the initiative.  He says to you, “For your sake, I became flesh; for your sake, I became just like you”.

So why remain caught up in your troubles?  Like the shepherds, who left their flocks, leave behind the prison of your sorrows and embrace the tender love of the God who became a child.  Put aside your masks and your armour; cast your cares on him and he will care for you (cf. Ps 55:22).  He became flesh; he is looking not for your achievements but for your open and trusting heart.  In him, you will rediscover who you truly are:  a beloved son or daughter of God.  Now you can believe it, for tonight the Lord was born to light up your life; his eyes are alight with love for you.  We have difficulty believing this, that God’s eyes are alight with love for us.

Christ does not look at numbers, but at faces.  However, who looks at him amid the many distractions and mad rush of a bustling and indifferent world?  Who looks at him?  In Bethlehem, as crowds of people were caught up in the excitement of the census, coming and going, filling the inns and engaged in petty conversation, a few were close to Jesus: Mary and Joseph, the shepherds, and then the Magi.  Let us learn from them.  They stood gazing upon Jesus, with their hearts set on him.  They did not speak, they worshiped.  Tonight, brothers and sisters, is the time to worship.

Worship is the way to embrace the Incarnation.  For it is in silence that Jesus, the Word of the Father, becomes flesh in our lives.  Let us do as they did, in Bethlehem, a town whose name means “House of Bread”.  Let us stand before him who is the Bread of Life.  Let us rediscover worship, for to worship is not to waste time, but to make our time a dwelling-place for God.  It is to let the seed of the Incarnation bloom within us; it is to cooperate in the work of the Lord, who, like leaven, changes the world.  To worship is to intercede, to make reparation, to allow God to realign history.  As a great teller of epic tales once wrote to his son, “I put before you the one great thing to love on earth: the Blessed Sacrament… There you will find romance, glory, honour, fidelity, and the true way of all your loves on earth” (J.R.R. TOLKIEN, Letter 43, March 1941).

Brothers and sisters, tonight love changes history.  Make us believe, Lord, in the power of your love, so different from the power of the world.  Lord, make us, like Mary, Joseph, the shepherds and the Magi, gather around you and worship you.  As you conform us ever more to yourself, we shall bear witness before the world to the beauty of your countenance.

[01991-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

………….

[01991-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

«Un censo en todo el mundo» (Lc 2,1). Este es el contexto en el que nació Jesús y en el que se detiene el Evangelio. Podría haberlo mencionado rápidamente, en cambio habla de ello con precisión. Y así pone de manifiesto un gran contraste: mientras el emperador contabiliza los habitantes del mundo, Dios entra en él casi a escondidas; mientras el que manda intenta convertirse en uno de los grandes de la historia, el Rey de la historia elige el camino de la pequeñez. Ninguno de los poderosos se percata de Él, sólo algunos pastores, relegados a los márgenes de la vida social.

Pero el censo revela aún más. En la Biblia no dejaba un buen recuerdo. El rey David, cediendo a la tentación de los grandes números y a una malsana pretensión de autosuficiencia, había cometido un pecado grave, haciendo precisamente el censo del pueblo. Quería conocer su fuerza y al cabo de un poco más de nueve meses obtuvo el número de los que eran aptos para empuñar la espada (cf. 2 Sam 24,1-9). El Señor, indignado, asoló al pueblo con una desgracia. En esta noche, en cambio, después de nueve meses en el vientre de María nace Jesús, el “Hijo de David”, en Belén, la ciudad de David, y no castiga por el censo, sino que se deja contabilizar humildemente. Uno entre muchos. No vemos un dios iracundo que castiga, sino al Dios misericordioso que se encarna, que entra débil en el mundo, precedido del anuncio: «en la tierra, paz a los hombres» (Lc 2,14). Y nuestro corazón esta noche está en Belén, donde el Príncipe de la Paz sigue siendo rechazado por la lógica perdedora de la guerra, con el rugir de las armas que también hoy le impiden encontrar una posada en el mundo (cf. Lc 2,7).

El censo de toda la tierra, en definitiva, manifiesta, por una parte, la trama demasiado humana que atraviesa la historia: la de un mundo que busca el poder y la fuerza, la fama y la gloria, donde todo se mide con los éxitos y los resultados, con las cifras y los números. Es la obsesión del beneficio. Pero, al mismo tiempo, en el censo se destaca el camino de Jesús, que viene a buscarnos a través de la encarnación. No es el dios del beneficio, sino el Dios de la encarnación. No combate las injusticias desde lo alto con la fuerza, sino desde abajo con el amor; no irrumpe con un poder sin límites, sino que desciende a nuestros límites; no evita nuestras fragilidades, sino que las asume.  

Hermanos y hermanas, esta noche podemos preguntarnos: nosotros, ¿en qué Dios creemos? ¿En el Dios de la encarnación o en el del beneficio? Sí, porque existe el riesgo de vivir la Navidad con una idea pagana de Dios, como si fuera un amo poderoso que está en el cielo; un dios que se alía con el poder, con el éxito mundano y con la idolatría del consumismo. Vuelve siempre la imagen falsa de un dios distante e irritable, que se porta bien con los buenos y se enoja con los malos; de un dios hecho a nuestra imagen, útil solamente para resolvernos los problemas y para quitarnos los males. Él, en cambio, no usa la varita mágica, no es el dios comercial del “todo y ahora mismo”; no nos salva pulsando un botón, sino que Él se acerca para cambiar la realidad desde dentro. Y, sin embargo, ¡qué arraigada está en nosotros la idea mundana de un dios alejado y controlador, rígido y poderoso, que ayuda a los suyos a imponerse sobre los demás! Muchas veces está arraigada en nosotros esta idea, pero no es así, Él ha nacido para todos, durante el censo de toda la tierra.

Miremos, por tanto, al «Dios vivo y verdadero» (1 Ts 1,9); a Él, que está más allá de todo cálculo humano y, sin embargo, se deja censar por nuestros cómputos; a Él, que revoluciona la historia habitándola; a Él, que nos respeta hasta el punto de permitirnos rechazarlo; a Él, que borra el pecado cargándolo sobre sí, que no quita el dolor, sino que lo transforma; que no elimina los problemas de nuestra vida, sino que da a nuestras vidas una esperanza más grande que los problemas. Desea tanto abrazar nuestra existencia que, siendo infinito, por nosotros se hace finito; siendo grande, se hace pequeño; siendo justo, vive nuestras injusticias. Hermanos y hermanas, este es el asombro de la Navidad: no una mezcla de afectos melosos y de consuelos mundanos, sino la inaudita ternura de Dios que salva el mundo encarnándose. Miremos al Niño, miremos su cuna, contemplemos el pesebre, que los ángeles llaman la «señal» (Lc 2,12). Es, en efecto, el signo que revela el rostro de Dios, que es compasión y misericordia, omnipotente siempre y sólo en el amor. Se hace cercano, tierno y compasivo, este es el modo de ser de Dios: cercanía, compasión, ternura.

Hermanas, hermanos, asombrémonos porque «se hizo carne» (Jn 1,14). Carne: palabra que evoca nuestra fragilidad y que el Evangelio utiliza para decirnos que Dios ha entrado plenamente en nuestra condición humana. ¿Por qué llegó a tanto? —nos preguntamos—. Porque le interesa todo de nosotros, porque nos ama hasta el punto de considerarnos más valiosos que cualquier otra cosa. Hermano, hermana, para Dios, que ha cambiado la historia durante el censo, tú no eres un número, sino que eres un rostro; tu nombre está escrito en su corazón. Pero tú, mirando a tu corazón, al rendimiento que no es suficiente, al mundo que juzga y no perdona, quizás vivas mal esta Navidad, pensando que no estás a la altura, albergando un sentimiento de fracaso y de insatisfacción por tus fragilidades, por tus caídas y tus problemas, y por tus pecados. Pero hoy, por favor, deja la iniciativa a Jesús, que te dice: “Por ti me hice carne, por ti me hice como tú”. ¿Por qué permaneces en la prisión de tus tristezas? Como los pastores, que dejaron sus rebaños, deja el recinto de tus melancolías y abraza la ternura del Dios Niño. Y hazlo sin máscaras, sin corazas, encomiéndale a Él tus afanes y Él te sostendrá (cf. Sal 55,23). Él, que se hizo carne, no espera de ti tus resultados exitosos, sino tu corazón abierto y confiado. Y tú en Él redescubrirás quién eres: un hijo amado de Dios, una hija amada de Dios. Ahora puedes creerlo, porque esta noche el Señor vino a la luz para iluminar tu vida y sus ojos brillan de amor por ti. Nos resulta difícil aceptar esto, que los ojos de Dios brillan de amor por nosotros.

Sí, Cristo no mira números, sino rostros. Pero, entre las tantas cosas y las locas carreras de un mundo siempre ocupado e indiferente, ¿quién lo mira a Él? ¿quién lo mira? En Belén, mientras mucha gente, llevada por la euforia del censo, iba y venía, llenaba los albergues y las posadas hablando de todo un poco, sólo algunos estuvieron cerca de Jesús: María y José, los pastores, y luego los magos. Aprendamos de ellos. Permanecen con la mirada fija en Jesús, con el corazón dirigido hacia Él. No hablan, sino adoran. Esta noche, hermanos y hermanas, es el tiempo de la adoración: adorar.

La adoración es el camino para acoger la encarnación. Porque es en el silencio que Jesús, Palabra del Padre, se hace carne en nuestras vidas. Comportémonos también nosotros como en Belén, que significa “casa del pan”. Estemos ante Él, Pan de vida. Redescubramos la adoración, porque adorar no es perder el tiempo, sino permitirle a Dios que habite en nuestro tiempo. Es hacer que florezca en nosotros la semilla de la encarnación, es colaborar con la obra del Señor, que como fermento cambia el mundo. Adorar es interceder, reparar, permitirle a Dios que enderece la historia. Un gran narrador de aventuras épicas escribió a su hijo: «Pongo delante de ti lo que hay en la tierra digno de ser amado: el Bendito Sacramento. En él hallarás el romance, la gloria, el honor, la fidelidad y el verdadero camino a todo lo que ames en la tierra» (J.R.R. Tolkien, Carta 43, marzo 1941).

Hermanos y hermanas, esta noche el amor cambia la historia. Haz que creamos, oh Señor, en el poder de tu amor, tan distinto del poder del mundo. Señor, haz que, como María, José, los pastores y los magos, nos reunamos en torno a Ti para adorarte. Haciéndonos Tú más semejantes a Ti, podremos testimoniar al mundo la belleza de tu rostro.

[01991-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

«O recenseamento de toda a terra» (Lc 2, 1): este é o contexto em que nasce Jesus e no qual se detém o Evangelho. Podia limitar-se a uma rápida alusão, mas ao contrário delonga-se cuidadosamente nele. E assim faz surgir um grande contraste: enquanto o imperador conta os habitantes do mundo, Deus entra nele quase às escondidas; enquanto quem manda procura colocar-se entre os grandes da história, o Rei da história escolhe o caminho da pequenez. Nenhum dos poderosos se dá conta d’Ele; apenas alguns pastores, postos à margem da vida social.

Mas o recenseamento diz-nos mais outra coisa. Na Bíblia, não deixara boas recordações. O rei David, cedendo à tentação dos grandes números e a uma malsã pretensão de autossuficiência, cometera um grave pecado precisamente fazendo o recenseamento do povo. Queria saber a sua força recebendo, cerca de nove meses depois, o número de todos os que podiam manejar a espada (cf. 2 Sam 24, 1-9). O Senhor indignou-se e um flagelo feriu o povo. Diversamente nesta noite, o «Filho de David», Jesus, depois de passar nove meses no ventre de Maria, nasce em Belém, a cidade de David, e não pune o recenseamento, mas deixa-se humildemente registar: um, no meio de tantos. Não vemos um Deus irado que castiga, mas o Deus misericordioso que encarna, que entra, frágil, no mundo, precedido pelo anúncio «paz na terra aos homens» (Lc 2, 14). E, nesta noite, o nosso coração está em Belém, onde o Príncipe da paz continua a ser rejeitado pela lógica perdedora da guerra, com o estrondo das armas que ainda hoje O impede de encontrar alojamento no mundo (cf. Lc 2, 7).

Em suma, o recenseamento de toda a terra manifesta, por um lado, a trama demasiado humana que atravessa a história: a trama dum mundo que procura o poder e a força, a fama e a glória, onde tudo se mede através dos sucessos e dos resultados, dos cálculos e dos números. É a obsessão das façanhas. Mas ao mesmo tempo, no recenseamento, sobressai o caminho de Jesus, que vem procurar-nos através da encarnação. Não é o deus das façanhas, mas o Deus da encarnação. Não subverte do alto as injustiças com a força, mas de baixo com o amor; não irrompe com um poder sem limites, mas desce até aos nossos limites; não evita as nossas fragilidades, mas adota-as.

Nesta noite, irmãos e irmãs, podemos perguntar-nos: Em que Deus acreditamos? No Deus da encarnação ou no das façanhas? Sim, porque há o risco de viver o Natal tendo na cabeça uma ideia pagã de Deus, como se fosse um patrão poderoso que está no céu; um deus que se alia com o poder, o sucesso mundano e a idolatria do consumismo. Sempre volta a imagem falsa dum deus alheado e melindroso, que se comporta bem com os bons e se irrita com os maus; um deus feito à nossa imagem, útil apenas para nos resolver os problemas e preservar dos males. Mas o Deus Menino não usa a varinha mágica, não é o deus comercial do «tudo e já»; não nos salva carregando num botão, mas faz-Se próximo para mudar a realidade a partir de dentro. E todavia como está radicada em nós a ideia mundana dum deus distante e controlador, rígido e poderoso, que ajuda os seus a prevalecerem contra os outros! Muitas vezes, trazemos radicada em nós esta imagem; mas não é assim: Ele nasceu para todos, durante o recenseamento de toda a terra.

Olhemos, pois, para o «Deus vivo e verdadeiro» (1 Tes 1, 9): Ele que está para além de todo o cálculo humano e, no entanto, deixa-Se recensear pelos nossos registos; Ele que revoluciona a história, habitando nela; Ele que nos respeita até ao ponto de nos permitir rejeitá-Lo; Ele que apaga o pecado assumindo a responsabilidade pelo mesmo, que não tira a dor, mas transforma-a, que não nos tira os problemas da vida, mas dá às nossas vidas uma esperança maior do que os problemas. Deseja tanto abraçar as nossas existências que, sendo infinito, por nós Se faz finito; grande, faz-Se pequeno; sendo justo, habita as nossas injustiças. Irmãos e irmãs, aqui está a maravilha do Natal: não uma mistura de sentimentos adocicados e confortos mundanos, mas a inaudita ternura de Deus que salva o mundo encarnando-Se. Fixemos o Menino, olhemos para a sua manjedoura, para o presépio, que os anjos chamam «o sinal» (Lc 2, 12): realmente constitui o sinal revelador do rosto de Deus, que é compaixão e misericórdia, omnipotente sempre e só no amor. Avizinha-Se, torna-Se próximo, terno e compassivo… Este é o modo de ser de Deus: proximidade, compaixão, ternura.

Irmãs, irmãos, deixemo-nos surpreender por Ele Se ter feito carne (cf. Jo 1, 14). Carne! Uma palavra que evoca a nossa fragilidade e que o Evangelho utiliza para nos dizer como Deus entrou profundamente na nossa condição humana. Por que motivo foi Ele tão longe? – perguntamo-nos. Porque Lhe interessa tudo o que nos diz respeito, porque nos ama até ao ponto de nos considerar mais preciosos do que qualquer outra coisa. Irmão, irmã, para Deus, que mudou a história durante o recenseamento, tu não és um número, mas um rosto; o teu nome está escrito no seu coração. Entretanto, se olhares para o teu coração, para as façanhas que não sentes à altura, para o mundo que julga e não perdoa, poderás talvez viver mal este Natal, pensando que não caminhas justamente, provando um sentimento de inadequação e insatisfação pelas tuas fragilidades, quedas e problemas e pelos teus pecados. Mas hoje, por favor, deixa a iniciativa a Jesus, que te diz: «Por ti fiz-Me carne, por ti fiz-Me como tu». Por que motivo continuas na prisão das tuas tristezas? Como os pastores que deixaram os seus rebanhos, deixa o recinto das tuas melancolias e abraça a ternura do Deus Menino. Fá-lo sem máscaras, sem couraças, confia-Lhe as tuas canseiras, e Ele cuidará de ti (cf. Sal 55, 23): Ele, que Se fez carne, espera, não as tuas façanhas de sucesso, mas o teu coração aberto e confiado. E n’Ele descobrirás quem és: um filho amado de Deus, uma filha amada de Deus. Agora podes acreditar nisto, porque, nesta noite, o Senhor nasceu para iluminar a tua vida, e os olhos d’Ele cintilam de amor por ti. Sentimos dificuldade em crer nisto: que os olhos de Deus cintilam de amor por nós.

Sim, Cristo não olha para os números, mas para os rostos. E contudo quem é que olha para Ele, por entre as inúmeras coisas e as corridas loucas dum mundo sempre agitado e indiferente? Quem olha para Ele? Em Belém, enquanto muitas pessoas, preocupadas com o recenseamento, iam e vinham, enchiam as hospedarias e pousadas falando de tudo e de nada, houve alguns que estiveram junto de Jesus: Maria e José, os pastores e depois os magos. Aprendamos com eles. Ei-los com o olhar fixo em Jesus, com o coração voltado para Ele; não falam, mas adoram. Esta noite, irmãos e irmãs, é o tempo da adoração… Adorar.

A adoração é a forma de acolher a encarnação, porque é no silêncio que Jesus, Palavra do Pai, Se faz carne nas nossas vidas. Façamos nós também como se fez em Belém, que significa «casa do pão»: permaneçamos diante d’Ele, Pão de vida. Redescubramos a adoração, porque adorar não é perder tempo, mas permitir a Deus que habite o nosso tempo; é fazer florescer em nós a semente da encarnação, é colaborar na obra do Senhor, que, como o fermento, muda o mundo. Adorar é interceder, reparar, consentir a Deus que endireite a história. Um grande narrador de feitos épicos assim escrevia ao seu filho: «Ofereço-te a única coisa grande que se deve amar sobre a terra: o Santíssimo Sacramento. Lá encontrarás encanto, glória, honra, fidelidade e o verdadeiro caminho de todos os teus amores na terra» (J.R.R. Tolkien, Carta 43, março de 1941).

Irmãos e irmãs, nesta noite, o amor muda a história. Fazei, Senhor, que acreditemos no poder do vosso amor, tão diverso do poder do mundo. Senhor, fazei que, à semelhança de Maria, José, os pastores e os magos, nos estreitemos ao vosso redor para Vos adorar. Feitos por Vós mais semelhantes a Vós, poderemos testemunhar ao mundo a beleza do vosso rosto.

[01991-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

„Spis ludności w całym świecie” (Łk 2, 1). To właśnie jest kontekst, w którym narodził się Jezus i na którym skupia się Ewangelia. Mogła o tym krótko nadmienić, tymczasem mówi o tym dokładnie. Czyniąc to, ukazuje wielki kontrast: podczas gdy cesarz liczy mieszkańców świata, Bóg wkracza weń niemal po kryjomu; gdy ci, którzy rozkazują, starają się dołączyć do grona wielkich postaci historycznych, Król historii wybiera drogę małości. Nikt z możnych nie zauważa Go, tylko nieliczni pasterze, zepchnięci na margines życia społecznego.

Ale spis ludności mówi o czymś więcej. W Biblii nie pozostawił po sobie dobrego wspomnienia. Król Dawid, ulegając pokusie wielkich liczb i niezdrowego roszczenia samowystarczalności, popełnił poważny grzech przeprowadzając właśnie spis ludności. Chciał poznać siłę ludu i po około dziewięciu miesiącach uzyskał liczbę tych, którzy potrafili dobywać miecza (por. 2 Sam 24, 1-9). Pan rozgniewał się i na lud spadło nieszczęście. Natomiast tej nocy „Syn Dawida”, Jezus, po dziewięciu miesiącach w łonie Maryi rodzi się w Betlejem, mieście Dawida, i nie karze nikogo za przeprowadzenie spisu, ale pokornie pozwala się policzyć. Jeden z wielu. Nie widzimy zagniewanego bożka, który karci, lecz miłosiernego Boga, który przyjmuje ludzkie ciało, który słaby wkracza w świat, poprzedzony proklamacją: „na ziemi pokój ludziom” (Łk 2, 14). A nasze serce jest dzisiejszego wieczoru w Betlejem, gdzie Książę pokoju jest nadal odrzucany przez przegrywającą logikę wojny, z hukiem broni, która także dziś nie pozwala Mu znaleźć miejsca na świecie (por. Łk 2, 7).

Spis ludności w całym świecie, krótko mówiąc, ukazuje z jednej strony nazbyt ludzki wątek, który przewija się poprzez dzieje: wątek świata dążącego do władzy i potęgi, sławy i chwały, gdzie wszystko mierzy się sukcesem i wynikami, z liczbami i cyframi. To obsesja na punkcie wydajności. Ale jednocześnie w spisie uwydatnia się droga Jezusa, który przychodzi, aby nas poszukiwać poprzez wcielenie. Nie jest On bożkiem wydajności, lecz Bogiem wcielenia. Nie obala niesprawiedliwości z góry za pomocą siły, lecz od dołu poprzez miłość; nie wkracza z nieograniczoną mocą, lecz zstępuje w nasze ograniczenia; nie unika naszych słabości, lecz je przyjmuje.

Bracia i siostry, tej nocy możemy zadać sobie pytanie: w jakiego Boga wierzymy? W Boga wcielenia czy też w bożka wydajności? Tak, ponieważ istnieje groźba przeżywania Bożego Narodzenia, mając w naszych głowach pogańskie wyobrażenie Boga, jakby był możnym panem, który jest w niebie; bożkiem powiązanym z władzą, z doczesnym sukcesem i bałwochwalstwem konsumpcjonizmu. Zawsze powraca fałszywy obraz oderwanego i obrażającego się bożka, który jest uprzejmy dla dobrych a złości się na złych; boga stworzonego na nasze podobieństwo, przydatnego tylko do rozwiązywania naszych problemów i usuwania naszych nieszczęść. On natomiast nie używa magicznej różdżki, nie jest komercyjnym bożkiem „wszystkiego i natychmiast”; nie zbawia nas naciśnięciem jakiegoś guzika, lecz On staje się bliskim, aby zmienić rzeczywistość od wewnątrz. A jednak, jakże zakorzeniona jest w nas światowa idea boga dalekiego i kontrolującego, surowego i potężnego, który pomaga swoim zwyciężać nad innymi! Tak często jest w nas zakorzeniony ten obraz. Ale tak nie jest: On narodził się dla wszystkich, podczas spisu ludności całej ziemi.

Spójrzmy więc na „Boga żywego i prawdziwego” (1 Tes 1, 9): na Tego, który jest ponad wszelką ludzką kalkulacją, a jednak pozwala się zapisać za pomocą naszych obliczeń; na Tego, który rewolucjonizuje historię, zamieszkując w niej; na Tego, który szanuje nas do tego stopnia, że pozwala nam się odrzucić; na Tego, który przekreśla grzech, biorąc go na siebie, który nie usuwa cierpienia, ale je przemienia, który nie usuwa nam problemów z życia, ale daje naszemu życiu nadzieję większą niż problemy. Tak bardzo pragnie ogarnąć nasze istnienie, że nieskończony, dla nas staje się ograniczonym; wielki, staje się maleńkim; sprawiedliwy, przenika nasze niesprawiedliwości. Bracia i siostry, to jest zdumienie Bożego Narodzenia: nie mieszanina ckliwych uczuć i światowych wygód, lecz niesłychana czułość Boga, który zbawia świat, przyjmując ciało. Spójrzmy na Dzieciątko, spójrzmy na Jego żłóbek, spójrzmy na szopkę, którą aniołowie nazywają „znakiem” (Łk 2, 12): jest doprawdy znakiem objawiającym oblicze Boga, który jest współczuciem i miłosierdziem, wszechmogącym zawsze i tylko w miłości. Staje się bliski, staje się bliski, czuły i współczujący, to jest sposób bycia Boga: bliskość, współczucie, czułość.

Siostry, bracia, zadziwmy się, ponieważ „stał się ciałem” (por. J 1, 14). Ciało: słowo, które przypomina o naszej kruchości, i którym Ewangelia posługuje się, aby powiedzieć nam, że Bóg wszedł aż do głębi naszej ludzkiej natury. Dlaczego posunął się aż tak daleko? – zadajemy sobie pytanie. Ponieważ interesuje Go wszystko, co nas dotyczy, ponieważ tak bardzo nas miłuje, że uważa nas za cenniejszych, niż cokolwiek innego. Bracie, siostro, dla Boga, który zmienił historię podczas spisu ludności, ty nie jesteś liczbą, lecz jesteś obliczem; twoje imię jest zapisane w Jego sercu. Ale ty, patrząc na swoje serce, na swoją wydajność, która nie dosięga wymagań, patrząc na świat, który osądza i nie przebacza, być może źle przeżywasz to Boże Narodzenie, myśląc, że nie radzisz sobie dobrze, mając poczucie niegodności i niezadowolenia z powodu swojej kruchości, upadków i problemów, i z powodu twoich grzechów. Ale dzisiaj, proszę, pozostaw inicjatywę Jezusowi, który mówi do ciebie: „Dla ciebie stałem się ciałem, dla ciebie stałem się taki jak ty”. Dlaczego pozostajesz w więzieniu swoich smutków? Podobnie jak pasterze, którzy opuścili swoje stada, pozostaw zagrodę swoich melancholii i obejmij czułość Bożego Dzieciątka. I zrób to bez masek i, bez zbroi, zrzuć na Niego swoje strapienia, a On zatroszczy się o ciebie (por. Ps 55, 23): On, który stał się ciałem, nie czeka na twoją wydajność osiągającą sukces, ale na twoje otwarte i ufne serce. A w Nim odkryjesz na nowo, kim jesteś: umiłowanym synem Boga, umiłowaną córką Boga. Teraz możesz w to uwierzyć, ponieważ dzisiejszej nocy Pan się narodził, aby rozświetlić twoje życie, a Jego oczy promienieją miłością do ciebie. Trudno nam w to uwierzyć, że oczy Boga promienieją miłością do nas.

Tak, Chrystus nie patrzy na liczby, lecz na twarze. Kto jednak patrzy na Niego pośród wielu rzeczy i szalonego pośpiechu świata, wiecznie zajętego i obojętnego? Kto patrzy na Niego? W Betlejem, podczas gdy wielu ludzi, pochłoniętych szaleństwem spisu ludności, przychodziło i odchodziło, zapełniało kwatery i gospody, rozmawiając o tym i owym, niektórzy byli blisko Jezusa: byli to Maryja i Józef, pasterze, a potem Mędrcy. Uczymy się od nich. Stoją ze wzrokiem utkwionym w Jezusa, z sercem zwróconym ku Niemu. Nie mówią, lecz adorują. Dzisiejsza noc, bracia i siostry, to czas adoracji: adorujmy.

Adoracja jest sposobem na przyjęcie Wcielenia. W ciszy bowiem Jezus, Słowo Ojca, staje się ciałem w naszym życiu. Także i my zróbmy jak w Betlejem, które oznacza „dom chleba”: stańmy przed Nim, Chlebem życia. Odkryjmy na nowo adorację, bo adorowanie nie jest stratą czasu, lecz pozwoleniem Bogu, by wypełnił nasz czas. Jest też pozwoleniem, by zakwitło w nas ziarno wcielenia, i współpracą w dziele Pana, który zmienia świat jak zaczyn. Adorowanie jest wstawianiem się, wynagradzaniem, i pozwalaniem Bogu na wyprostowanie historii. Wielki narrator, który opowiadał o niezwykłych wyczynach, napisał do swojego syna: „stawiam przed Tobą jedną wielką rzecz, którą trzeba kochać na ziemi: Najświętszy Sakrament [...]. Tam znajdziesz romantyzm, chwałę, honor, wierność, prawdziwą ścieżkę wszystkich swoich miłości na świecie” (J.R.R. Tolkien, List 43, marzec 1941 r.).

Bracia i siostry, tej nocy miłość przemienia historię. Spraw, Panie, abyśmy uwierzyli w moc Twojej miłości, tak różnej od mocy świata. Panie, spraw, abyśmy, jak Maryja, Józef, pasterze i Mędrcy, zgromadzili się wokół Ciebie, aby Cię adorować. Przez Ciebie uczynieni bardziej podobnymi do Ciebie, będziemy mogli świadczyć wobec świata o pięknie Twojego oblicza.

[01991-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

 

عظة قداسة البابا فرنسيس

في القدّاس الإلهيّ

في ليلة عيد الميلاد

الأحد 24 كانون الأوّل/ديسمبر 2023

بازيليكا القدّيس بطرس

"إِحصاء جَميعِ أَهلِ المَعمور" (لوقا 2، 1). هذا هو السّياق التّاريخي الذي وُلِدَ فيه يسوع والذي يتوقّف عنده الإنجيل. كان بإمكانه أن يذكُر ذلك بسرعة، لكنه تكلّم عليه بدقّة. وبهذا يضع أمامنا صورة تناقض كبير: فبينما كان الإمبراطور يحصي سكان العالم، دخل الله بالخفاء تقريبًا في هذا العالم. وبينما يسعى من يَحكُم الأرض لأن يحتلّ محله بين كبار التّاريخ، اختار ملك التّاريخ طريق الصِّغار. لم يلاحظه أحد من أصحاب السّلطان، ما عدا بعض الرّعاة فقط، المبعدين على هامش الحياة الاجتماعيّة.

والإِحْصاء يقول أكثر من ذلك. ليس للإحصاء ذكرى حسنة في الكتاب المقدس. الملك داود، الذي استسلم لتجربة الأعداد الكبيرة والادّعاء المعتَلّ بالاكتفاء الذاتي، ارتكب خطيئة جسيمة بإحصاء الشّعب. أراد أن يعرف القوّة التي لديه، وبعد حوالي تسعة أشهر عرف عدد الذين يمكنهم أن يحملوا السّيف (راجع 2 صموئيل 24، 1 – 9). فغضب الله عليه وحلَّتْ بالشّعب مصيبة. أمّا في هذه الليلة، فقد وُلد ”ابن داود“، يسوع، بعد تسعة أشهر في أحشاء مريم، في بيت لحم، مدينة داود، ولم يعاقِب الإحْصاء، بل خضع له بكلّ تواضع. لا نرى إلهًا غاضبًا يعاقب، بل إلهًا رحيمًا يتجسّد، ويدخل العالم ضعيفًا، وقد سبقته البشارة: ويكون "السَّلامُ في الأَرضِ لِلنَّاسِ" (لوقا 2، 14). قلبُنا الليلة في بيت لحم، حيث ما زال أمير السّلام يرفضه منطق الحرب الخاسر، مع زئير الأسلحة الذي يمنعه حتّى اليوم من أن يجد له موضعًا في العالم (راجع لوقا 2، 7).

باختصار، إِحْصاء جَميعِ أَهلِ المَعمور، من ناحية، يبيِّن واقع الإنسانيّة التي تمرّ عبر التّاريخ، واقع عالم يبحث عن السّلطان والقدرة والشّهرة والمجد، حيث يُقاس كلّ شيء بالنّجاحات والنّتائج، وبالأرقام والأعداد. إنّه هوس الإنجاز. ولكن في نفس الوقت تظهر في الإحصاء طريق يسوع الذي جاء يبحث عنا بالتجسّد. فهو ليس إله الإنجازات، بل إله التّجسّد. ولا يرفع المظالم مِن عَلُ بالقوّة، بل من الأسفل بالحبّ. ولا يداهمنا بسلطان لا حدود له، بل يمكث في حدودنا. ولا يتجنّب ضعفنا، بل يتقبله.

أيّها الإخوة والأخوات، في هذه الليلة يمكن أن نسأل أنفسنا: بأيّ إله نحن نؤمن؟ بإله التّجسّد أم بإله الإنجازات؟ نعم، لأن هناك خطرًا وهو أن نعيش الميلاد، بفكرة وثنيّة تملأ رأسنا عن الله، فنراه سيّدًا قديرًا في السّماء. يلتحف السّلطان ونجاحات الدّنيا، وصنم الاستهلاك. تعود دائمًا إلينا صّورة مشوّهة عن الله، فنراه إلهًا منعزلًا سريع الغضب، يُحسِن معاملة الصّالحين ويغضب على الأشرار، إلهًا مصنوعًا على صورتنا، ينفعنا فقط لحلّ مشاكلنا وإزالة شرورنا. لكنّ الله لا يستخدم العصا السّحريّة، وليس إلهًا تجاريًّا يطلب ”كلّ شيء وفورًا“، ولا يخلّصنا بضغطة زر، بل يقترب منّا ليغيّر الواقع من داخلنا. ومع ذلك، كم هي متجذرة فينا الفكرة الدّنيويّة، صورة إله بعيد ومراقب، وصارم وصاحب سلطان، يساعد أتباعه ليسيطروا على الآخرين! لكن الله ليس كذلك: لقد وُلد من أجل الجميع، أثناء إِحْصاءِ جَميعِ أَهلِ المَعمور.

لننظر إذن إلى "اللهِ الحَقِّ الحَيّ" (1 تسالونيقي 1، 9): لننظر إليه، إنّه فوق كلّ حساب بشريّ ولو أنّه يسمح بأن ندخله نحن في حساباتنا. هو الذي أحدث ثورة في التّاريخ لمّا سكنه. هو الذي يحترمنا لدرجة أنّه يسمح لنا بأن نرفضه. هو الذي يمحو الخطيئة فيأخذها على عاتقه، والذي لا يلغي الألم بل يحوّله، والذي لا يزيل المشاكل من حياتنا، بل يملأ حياتنا برجاءٍ أكبر من المشاكل. إنّه يريد أن يعانق حياتنا لدرجة أنّه هو اللامتناهي يصير محدودًا، وهو الكبير، يصير صغيرًا، وهو البار، يعيش مظالمنا. أيّها الإخوة والأخوات، هذه هي دهشة الميلاد: ليس الميلاد مزيجًا من المشاعر اللطيفة ووسائل راحة دنيويّة، بل هو حنان الله العجيب الذي يخلّص العالم بتجسده. لننظر إلى الطّفل، ولننظر إلى مذوده، ولننظر إلى المغارة التي يسمّيها الملائكة "العَلامة" (لوقا 2، 12): إنّها في الواقع العلامة التي تكشف عن وجه الله الذي هو الرّأفة والرّحمة، وهو القدير دائمًا وفي المحبّة فقط. إنّه يقترب منّا، إنّه يقترب منّا، حنونًا ورحيمًا، هذه هي طريقة الله في الحياة: القرب، والرّحمة، والحنان.

أيّها الإخوة والأخوات، لنندهش لأنّه "صارَ بَشَرًا" (راجع يوحنّا 1، 14). بَشَر: إنّها كلمة تحمل معنى ضعفنا، واستخدمها الإنجيل ليقول لنا إنّ الله دخل في عمق حالتنا البشريّة. لماذا اندفع إلى هذا الحدّ؟ لأنّه يهتمّ بكلِّ ما يتعلَّق بِنا، ولأنّه يحبّنا لدرجة أنّه يعتبرنا أثمن من أيّ شيء آخر. أيّها الأخ، وأيّتها الأخت، لله الذي غيّر التّاريخ في أثناء الإحصاء، أنت لست رقمًا، بل أنت وجه، واسمك مكتوب في قلبه. وأنت، إن نظرت إلى قلبك، وإلى إنجازاتك، لا إلى العُلى، وإلى العالم الذي يحكم ولا يغفر، ربما أنت تعيش عيد الميلاد بطريقة خاطئة، وتعتقد أنّك لست على ما يرام، وتشعر بالنّقص وعدم الرّضا بسبب ضعفك، وسقطاتك ومشاكلك وخطاياك. لكن اليوم، من فضلك، اترك المبادرة ليسوع الذي يقول لك: ”صرتُ بشرًا من أجلك، وصرتُ مثلك من أجلك“. لماذا تبقى سجينَ حزنك؟ اترك حظيرة أحزانك وعانق حنان الله الطّفل، مثل الرّعاة الذين تركوا قطيعهم. من دون أقنعة ومن دون دروع، ألقِ همومك عليه وهو سيعتني بِكَ (راجع المزامير 55، 23): هو، الذي صار بشرًا، لا ينتظر إنجازاتك ونجاحك، بل قلبك المُنفتح والواثق. وأنت ستكتشف فِيهِ من أنت: ابن الله المحبوب، وابنة الله المحبوبة. يمكنك أن تؤمن بذلك الآن، لأنّ الرّبّ يسوع في هذه الليلة جاء إلى النّور ليُنير حياتك وعيناه تشّعان بمحبّته لك. نحن لدينا صعوبة أن نثق بأنّ عيني الله تشّعان بمحبّته لنا.

نعم، المسيح لا ينظر إلى الأرقام، بل إلى الوجوه. لكن، من ينظر إليه، بين الأمور الكثيرة والسّعي المجنون لعالمٍ كثير الانشغال وغير مبالٍ؟ من ينظر إليه؟ في بيت لحم، بينما كان كثير من النّاس، منشغلين بنشوة الإحصاء، يأتون ويذهبون، ويملؤون البيوت والفنادق ويتكلّمون على الأعداد الكثيرة والقليلة، كان بعضهم قريبين من يسوع: هم مريم ويوسف، والرّعاة، ثمّ المجوس. لنتعلّم منهم. كان نظرهم مثبتًا في يسوع، وقلوبهم موجّهة نحوه. لا يتكلّمون، بل يسجدون. هذه الليلة، أيّها الإخوة والأخوات، هو وقت السّجود: السّجود.

السّجود هو الطّريق لاستقبال التَّجسّد. لأنّ يسوع، كلمة الآب، يصير بشرًا في حياتنا، في الصّمت. لنصنع نحن أيضًا كما صنعوا هُم في بيت لحم، التي تعني ”بيت الخبز“: لنقف أمامه، هو خبز الحياة. لنكتشف السّجود من جديد، لأنّ السّجود ليس مضيعة للوقت، بل يسمح لله أن يسكن في زمننا. إنّه يجعل بذرة التّجسّد تُزهر فينا، إنّه تعاون مع عمل الله، الذي يغيّر العالم مثل الخميرة. إنّه شفاعة وإصلاح، وأن ندع الله يُقوِّم التّاريخ. كتب كاتبٌ كبير لأعمالٍ ملحميَّة لابنه ما يلي: "أقدّم لك الشّيء الكبير الوحيد الذي يجب أن تحبَّه على الأرض: القربان المقدّس. فيه تجد الانجذاب والمجد والكرامة والإخلاص، والطّريق الحقيقيّ لكلّ الأمور التي تحبّها على الأرض" (J.R.R. Tolkien, Lettera 43, marzo 1941).

أيّها الإخوة والأخوات، في هذه الليلة، الحبّ يغيّر التّاريخ. اجعلنا نؤمن، يا ربّ، بقوّة حبّك، المختلفة عن سلطان العالم. اجعلنا، مثل مريم ويوسف والرّعاة والمجوس، نجتمع حولك لنسجد لكَ. فإذا صرنا أكثر شبهًا بِكَ، سنقدر أن نشهد أمام العالم لجمال وجهك.

[01991-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0912-XX.02]