Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


Udienza ai partecipanti al Convegno Internazionale sulla formazione permanente dei sacerdoti, 08.02.2024


Discorso del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza i partecipanti al Convegno Internazionale sulla formazione permanente dei sacerdoti sul tema: “Ravviva il dono di Dio che è in te” (2Tm 1,6). La bellezza di essere discepoli oggi. Una formazione unica, integrale, comunitaria e missionaria, che ha luogo a Roma dal 6 al 10 febbraio 2024.

Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti all’incontro:

Discorso del Santo Padre

Cari fratelli e sorelle!

Vi ringrazio di cuore per questo momento che posso trascorrere con voi. Grazie di essere venuti a Roma in occasione Convegno internazionale per la formazione permanente dei sacerdoti, promosso dal Dicastero per il Clero – soprattutto dal grande capo coreano! – e anche dai Dicasteri per l’Evangelizzazione e per le Chiese Orientali. Ringrazio i Prefetti dei Dicasteri coinvolti e tutti coloro che si sono prodigati per la preparazione di questo appuntamento. Per tanti di voi non è stato facile venire a Roma; ma soprattutto voglio esprimervi la mia gratitudine per quanto fate nelle vostre diocesi e nei vostri Paesi, per il servizio che portate avanti e che anche il sondaggio condotto in vista di questo Convegno ha messo in luce.

In questi giorni avete la grazia di condividere le buone pratiche, di confrontarvi sulle sfide e sui problemi e di scrutare gli orizzonti futuri della formazione sacerdotale in questo cambiamento d’epoca, guardando sempre avanti, sempre pronti a gettare nuovamente le reti sulla Parola del Signore (cfr Lc 5,4-5; Gv 21,6). Si tratta di camminare alla ricerca di strumenti e linguaggi che aiutino la formazione sacerdotale, non pensando di avere in mano tutte le risposte – io ho paura di coloro che hanno in mano tutte le risposte, ne ho paura –, ma confidando di poterle trovare strada facendo. In questi giorni, allora, ascoltatevi a vicenda, e lasciatevi ispirare dall’invito che l’apostolo Paolo rivolge a Timoteo e che dà il titolo al vostro Convegno: «Ravviva il dono di Dio che è in te» (cfr 2 Tm 1,6). Ravvivare il dono, riscoprire l’unzione, riaccendere il fuoco perché non si spenga lo zelo del ministero apostolico.

E come possiamo ravvivare il dono ricevuto? Vorrei indicarvi tre strade per il cammino che state facendo: la gioia del Vangelo, l’appartenenza al popolo, la generatività del servizio.

Primo: la gioia del Vangelo. Al centro della vita cristiana c’è il dono dell’amicizia con il Signore, che ci libera dalla tristezza dell’individualismo e dal rischio di una vita senza significato, senza amore e senza speranza. La gioia del Vangelo, la buona notizia che ci accompagna è proprio questa: siamo amati da Dio con tenerezza e misericordia. E questo annuncio gioioso siamo chiamati a farlo risuonare nel mondo, testimoniandolo con la vita, perché tutti possano scoprire la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto (cfr Evangelii gaudium, 36). Ricordiamoci di ciò che diceva San Paolo VI: essere testimoni prima che maestri (cfr Evangelii nuntiandi, 41), testimoni dell’amore di Dio, che è l’unica cosa che conta. E quando uno non è capace di essere testimone è triste, è molto triste.

Qui troviamo un caposaldo della formazione permanente, non soltanto dei preti ma di ogni cristiano, che anche la Ratio fundamentalis sottolinea: solo se siamo e rimaniamo discepoli, possiamo diventare ministri di Dio e missionari del suo Regno. Solo accogliendo e custodendo la gioia del Vangelo, possiamo portare questa gioia agli altri. Nel fare formazione permanente, dunque, non dimentichiamo che siamo sempre discepoli in cammino e che ciò costituisce, in ogni momento, la cosa più bella che ci è capitata, per grazia! E quando noi troviamo sacerdoti che non hanno quella capacità di servizio, forse egoisti, sacerdoti che hanno preso un po’ la via “imprenditoriale”, allora hanno perso questa capacità di sentirsi discepoli, si sentono padroni.

La grazia suppone sempre la natura, e per questo abbiamo bisogno di una formazione umana integrale. Infatti, l’essere discepoli del Signore non è un travestimento religioso, ma è uno stile di vita, e dunque richiede la cura della nostra umanità. Il contrario di questo è il prete “mondano”. Quando la mondanità entra nel cuore del prete si rovina tutto. Su questo aspetto vi chiedo di impiegare tutte le vostre energie e risorse: la cura della formazione umana. E anche la cura per vivere umanamente. Una volta un vecchio prete mi ha detto: “Quando un prete è incapace di giocare con i bambini, ha perso”. È interessante: è un test. C’è bisogno di sacerdoti pienamente umani, che giochino con i bambini e che accarezzino i vecchi, capaci di buone relazioni, maturi nell’affrontare le sfide del ministero, perché la consolazione del Vangelo giunga al popolo di Dio attraverso la loro umanità trasformata dallo Spirito di Gesù. Non dimentichiamo mai la forza umanizzante del Vangelo! Un sacerdote amaro, un sacerdote che ha l’amarezza nel cuore è uno “zitellone”!

Una seconda strada da percorrere: l’appartenenza al popolo di Dio. Discepoli missionari si può essere solo insieme. Possiamo vivere bene il ministero sacerdotale solo immersi nel popolo sacerdotale, dal quale anche noi proveniamo. Questa appartenenza al popolo – non sentirci mai separati dal cammino del santo popolo fedele di Dio – ci custodisce, ci sostiene nelle fatiche, ci accompagna nelle ansie pastorali e ci preserva dal rischio di staccarci dalla realtà e di sentirci onnipotenti. Stiamo attenti, perché questa è anche la radice di ogni forma di abuso.

Per restare immersi nella storia reale del popolo, c’è bisogno che la formazione sacerdotale non sia concepita come “separata”, ma possa servirsi dell’apporto del popolo di Dio: di sacerdoti e fedeli laici, di uomini e donne, di persone celibi e coppie sposate, di anziani e giovani, senza dimenticare i poveri e i sofferenti che hanno tanto da insegnare. Nella Chiesa, infatti, vi è una reciprocità e una circolarità tra gli stati di vita, le vocazioni, tra i ministeri e i carismi. E questo ci chiede la sapienza umile di imparare a camminare insieme, facendo della sinodalità uno stile della vita cristiana e della stessa vita sacerdotale. Ai sacerdoti, soprattutto oggi, è richiesto l’impegno di fare “esercizi di sinodalità”. Ricordiamolo sempre: camminare insieme. Il prete sempre insieme con il popolo a cui appartiene, ma anche insieme al vescovo e al presbiterio. Non trascuriamo mai la fraternità sacerdotale! E su questo aspetto, di essere unito al popolo di Dio, Paolo avverte Timoteo: “Ricordati di tua mamma e di tua nonna”. Ricordati delle tue radici, della tua storia, della storia della tua famiglia, della storia del tuo popolo. Il sacerdote non nasce per generazione spontanea. O è del popolo di Dio è un aristocratico che finisce nevrotico.

Infine, una terza via è quella della generatività del servizio. Servire è il distintivo dei ministri di Cristo. Ce lo ha mostrato il Maestro, in tutta la sua vita e, in particolare, durante l’Ultima Cena quando ha lavato i piedi dei discepoli. Nell’ottica del servizio, la formazione non è un’operazione estrinseca, la trasmissione di un insegnamento, ma diventa l’arte di mettere l’altro al centro, facendo emergere la sua bellezza, il bene che è che porta dentro, mettendo in luce i suoi doni e anche le sue ombre, le sue ferite e i suoi desideri. E così formare i sacerdoti significa servirli, servire la loro vita, incoraggiare il loro percorso, aiutarli nel discernimento, accompagnarli nelle difficoltà e sostenerli nelle sfide pastorali.

Il prete che viene formato così, a sua volta si mette a servizio del popolo di Dio, è vicino alla gente e, come Gesù ha fatto sulla croce, si fa carico di tutti. Guardiamo a questa cattedra, fratelli e sorelle: la Croce. Da lì, amandoci fino alla fine (cfr Gv 13,1), il Signore ha generato un popolo nuovo. E anche noi, quando ci mettiamo a servizio degli altri, quando diventiamo padri e madri per coloro che ci sono affidati, generiamo la vita di Dio. Questo è il segreto di una pastorale generativa: non una pastorale in cui siamo noi al centro, ma una pastorale che genera figlie e figli alla vita nuova in Cristo, che porta l’acqua viva del Vangelo nel terreno del cuore umano e del tempo presente.

A tutti voi auguro ogni bene. Voi – questo voglio aggiungere e anche riprendere una cosa che ho detto prima – per favore, non stancatevi di essere misericordiosi. Perdonate sempre. Quando la gente viene a confessarsi, viene a chiedere il perdono e non a sentire una lezione di teologia o delle penitenze. Siate misericordiosi, per favore. Perdonare sempre, perché il perdono ha questa grazia della carezza, dell’accogliere. Il perdono sempre è generativo dentro. Questo mi raccomando: perdonate sempre. Vi auguro ogni bene per il vostro convegno; e vi lascio le tre parole-chiave: la gioia del Vangelo che è alla base della nostra vita, l’appartenenza a un popolo che ci custodisce e ci sostiene, al santo popolo fedele di Dio, la generatività del servizio che ci rende padri e pastori. Che la Madonna vi accompagni sempre. La Madonna dà una cosa a noi sacerdoti: la grazia della tenerezza. Quella tenerezza che si vede anche con le persone in difficoltà, i vecchi, gli ammalati, i bambini che sono piccolissimi… Chiedete questa grazia, e non abbiate paura di essere teneri. La tenerezza è forte. Grazie!

[00254-IT.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

Chers frères et sœurs!

Je vous remercie de tout cœur pour ce moment que je peux passer avec vous. Je vous remercie d’être venus à Rome pour participer à cette conférence internationale pour la formation permanente des prêtres, promue par le Dicastère pour le Clergé – surtout par son grand chef coréen -, et par les Dicastères pour l’Évangélisation et pour les Églises Orientales. Je remercie les Préfets des dicastères concernés et tous ceux qui ont œuvré à la préparation de ce rendez-vous. Pour beaucoup d’entre vous, il n’a pas été facile de venir à Rome ; mais je veux surtout exprimer ma gratitude pour ce que vous faites dans vos diocèses et dans vos pays, pour le service que vous rendez et que l’enquête réalisée en vue de cette conférence a également mis en évidence.

Au cours de ces journées, vous aurez la grâce de partager les bonnes pratiques, de discuter des défis et des problèmes, et de scruter les horizons futurs de la formation sacerdotale dans ce changement d’époque, en regardant toujours vers l’avant, toujours prêts à jeter à nouveau les filets selon la parole du Seigneur (cf. Lc 5, 4-5 ; Jn 21, 6). Il s’agit de marcher à la recherche d’outils et de langages qui aident à la formation sacerdotale, sans penser avoir toutes les réponses en main – j’ai peur de ceux qui ont en main toutes les réponses, ils me font peur -, mais en ayant confiance que nous les trouverons en chemin. Ces jours-ci, écoutez-vous donc les uns les autres et laissez-vous inspirer par l’invitation que l’apôtre Paul adresse à Timothée et qui donne son titre à votre conférence : “Ravive le don de Dieu qui est en toi ” (2 Tm 1, 6). Raviver le don, redécouvrir l’onction, ranimer le feu pour que le zèle du ministère apostolique ne s’éteigne pas.

Et comment raviver le don que nous avons reçu ? Je voudrais vous montrer trois voies sur le chemin que vous empruntez : la joie de l’Évangile, l’appartenance au peuple, la fécondité du service.

D’abord, la joie de l’Évangile. Au cœur de la vie chrétienne se trouve le don de l’amitié avec le Seigneur, qui nous libère de la tristesse de l’individualisme et du risque d’une vie privée de sens, d’amour et d’espérance. La joie de l’Évangile, la bonne nouvelle qui nous accompagne, est précisément celle-ci : nous sommes aimés par Dieu avec tendresse et miséricorde. Et cette joyeuse annonce, nous sommes appelés à la faire résonner dans le monde, en la témoignant par notre vie afin que tous découvrent la beauté de l’amour salvifique de Dieu, manifesté en Jésus Christ mort et ressuscité (cf. Evangelii gaudium, n. 36). Souvenons-nous de ce que disait saint Paul VI : être des témoins plutôt que des maîtres (cf. Evangelii nuntiandi, n. 41), des témoins de l’amour de Dieu, qui est la seule chose qui compte. Et quand quelqu’un n’est pas capable d’être témoin, c’est triste, c’est très triste.

Nous trouvons ici une pierre angulaire de la formation permanente, non seulement des prêtres mais de tout chrétien, que la Ratio fundamentalis souligne également : ce n’est que si nous sommes et restons des disciples que nous pouvons devenir des ministres de Dieu et des missionnaires de son Royaume. Ce n’est qu’en accueillant et en cultivant la joie de l’Évangile que nous pouvons porter cette joie aux autres. Dans la formation permanente, n’oublions donc pas que nous sommes toujours des disciples en chemin et que cela constitue, à tout moment, la plus belle chose qui nous soit arrivée, par grâce! Et lorsque nous trouvons des prêtres qui n'ont pas cette capacité de service, qui sont peut-être égoïstes, des prêtres qui ont pris une voie un peu "entrepreneuriale", alors ils ont perdu cette capacité de se sentir des disciples, ils se sentent des maîtres.

La grâce présuppose toujours la nature, et c’est pourquoi nous avons besoin d’une formation humaine intégrale. En effet, être disciple du Seigneur n’est pas un déguisement religieux, mais un style de vie, et exige donc de prendre soin de notre humanité. Le contraire c’est le prêtre “mondain”, lorsque la mondanité entre dans le cœur du prêtre et ruine tout. C’est sur cela que je vous demande de mettre toute votre énergie et vos ressources : le soin de la formation humaine. Et aussi la vigilance pour vivre humainement. Une fois, un vieux prêtre m’a dit: “quand un prêtre est incapable d jouer avec les enfants, il a perdu”. C’est intéressant, c’est un test. Il y a besoin de prêtres pleinement humains, qui jouent avec les enfants et qui caressent les personnes âgées, capables de bonnes relations, mûrs pour affronter les défis du ministère, afin que la consolation de l’Évangile parvienne au peuple de Dieu à travers leur humanité transformée par l’Esprit de Jésus. N’oublions jamais le pouvoir humanisant de l’Évangile ! Un prêtre amer, un prêtre qui a l’amertume dans le cœur est un “vieux garçon”.

Une deuxième voie à parcourir : l’appartenance au peuple de Dieu. Les disciples missionnaires ne peuvent être qu’ensemble. Nous ne pouvons bien vivre le ministère sacerdotal qu’immergés dans le peuple sacerdotal, dont nous sommes également issus. Cette appartenance au peuple - ne jamais se sentir séparé du chemin du saint peuple fidèle de Dieu - nous garde, nous soutient dans nos peines, nous accompagne dans les angoisses pastorales et nous préserve du risque de nous détacher de la réalité et de nous sentir tout-puissants. Prenons garde, car c’est aussi la racine de toutes les formes d’abus.

Pour rester immergée dans l’histoire réelle du peuple, il est nécessaire que la formation sacerdotale ne soit pas conçue comme “séparée”, mais qu’elle puisse utiliser la contribution du peuple de Dieu : des prêtres et des fidèles laïcs, des hommes et des femmes, des célibataires et des couples mariés, des personnes âgées et des jeunes, sans oublier les pauvres et les souffrants qui ont tant à enseigner. Dans l’Église, il existe une réciprocité et une circularité entre les états de vie, les vocations, entre les ministères et les charismes. Cela nous demande l’humble sagesse d’apprendre à marcher ensemble, en faisant de la synodalité un style de vie chrétienne et de vie sacerdotale elle-même. On demande aux prêtres, surtout aujourd’hui, de s’engager à faire des “exercices de synodalité”. Souvenons-nous toujours : marcher ensemble. Le prêtre toujours avec le peuple auquel il appartient, mais aussi avec l’évêque et le presbyterium. Ne négligeons pas la fraternité sacerdotale ! C'est sur cet aspect de son union avec le peuple de Dieu que Paul avertit Timothée : "Souviens-toi de ta mère et de ta grand-mère. Souviens-toi de tes racines, de ton histoire, de l'histoire de ta famille, de l'histoire de ton peuple. Le prêtre ne naît pas par génération spontanée. Soit il est du peuple de Dieu, soit il est un aristocrate qui finit par devenir névrosé.

Enfin, une troisième voie est celle de la fécondité du service. Servir est le signe distinctif des ministres du Christ. Le Maître nous l’a montré tout au long de sa vie et, en particulier, au cours de la dernière Cène, lorsqu’il a lavé les pieds des disciples. Dans la perspective du service, la formation n’est pas une opération extrinsèque, la transmission d’un enseignement, mais elle devient l’art de mettre l’autre au centre, en faisant ressortir sa beauté, le bien qu’il est et qu’il porte en lui, en mettant en valeur ses dons mais aussi ses ombres, ses blessures et ses désirs. Former les prêtres, c’est donc les servir, servir leur vie, encourager leur cheminement, les aider dans leur discernement, les accompagner dans les difficultés et les soutenir dans les défis pastoraux.

Le prêtre ainsi formé se met à son tour au service du peuple de Dieu, il est proche des gens et, comme Jésus sur la croix, il prend en charge tout le monde. Regardons ce trône, frères et sœurs : la Croix. De là, en nous aimant jusqu’au bout (cf. Jn 13, 1), le Seigneur a fait naître un peuple nouveau. Et nous aussi, quand nous nous mettons au service des autres, quand nous devenons des pères et des mères pour ceux qui nous sont confiés, nous engendrons la vie de Dieu. Tel est le secret d’une pastorale féconde: non pas une pastorale dont nous sommes le centre, mais une pastorale qui engendre des filles et des fils à la vie nouvelle dans le Christ, qui apporte l’eau vive de l’Évangile sur le terrain du cœur humain et du temps présent.

Je vous souhaite à tous le meilleur. Et vous – je veux ajouter cela et aussi reprendre une chose que j’ai dite avant –, s’il vous plait, ne vous lassez pas d’être miséricordieux. Pardonnez toujours. Lorsque les gens viennent se confesser, ils viennent pour demander le pardon et non pour entendre une leçon de théologie ou des pénitences. Soyez miséricordieux, s'il vous plaît. Pardonnez toujours, car le pardon a cette grâce de la caresse, de l'accueil. Le pardon est toujours fécond à l'intérieur. C'est ce que je recommande : pardonnez toujours.

Je vous souhaite le meilleur pour votre congrès et je vous laisse avec les trois mots clés : la joie de l’Évangile qui est la base de notre vie, l’appartenance à un peuple qui nous garde et nous soutient, au saint Peuple fidèle de Dieu, la fécondité du service qui fait de nous des pères et des pasteurs. Que la Vierge vous accompagne toujours. La Vierge nous donne une chose, à nous les prêtres : la grâce de la tendresse. Cette tendresse que l'on voit aussi chez les personnes en difficulté, les personnes âgées, les malades, les enfants tout petits... Demandez cette grâce, et n'ayez pas peur d'être tendres. La tendresse est forte. Merci !

[00254-FR.02] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

Dear brothers and sisters!

I thank you very much for this moment that I can spend with you. Thank you for coming to Rome for the international Conference for the ongoing formation of priests organized by the Dicastery for the Clergy, especially its great leader from Korea, and also by the Dicasteries for Evangelization and for the Eastern Churches. I thank the Prefects of those Dicasteries and all those who worked so hard to prepare for this meeting. For many of you, it was not easy to come to Rome. Before all else, though, I want to express my gratitude for all that you are doing in your dioceses and in your countries, and for the service that you provide, which the survey taken in view of this Conference has highlighted.

In these days, you have the grace of being able to share good practices, to discuss challenges and problems, and to reflect on the future of priestly formation in this period of epochal change, constantly looking ahead and ready to lower your nets ever anew at the Lord’s command (cf. Lk 5:4-5; Jn 21:6). This entails continuing to seek the means and language to further the work of priestly formation, without ever thinking that we already have all the answers – I worry about those who believe they have all the answers – but instead trusting that we can find them as we keep moving forward. In these days, then, I encourage you to listen to one another, and to let yourselves be inspired by the exhortation of the Apostle Paul to Timothy that has provided the theme for your Conference: “Fan into flame the gift of God that you possess” (2 Tim 1:6). Revive that gift, rediscover that anointing, rekindle that flame, so that your zeal for the apostolic ministry will not fade.

How can we fan into flame the gift that we have received? Let me point out three paths to take in the process of priestly formation: the joy of the Gospel, a sense of being part of God’s people, and service as “generative”.

Firstly, the joy of the Gospel. At the heart of the Christian life is the gift of friendship with the Lord, which sets us free from the dreariness of individualism and the risk of a life without meaning, without love and without hope. The joy of the Gospel, the Good News that accompanies us, is precisely this: God loves us with a tender and merciful love. We in turn are called to make this joyful proclamation resound throughout the world by the witness of our lives, so that all may discover the beauty of the saving love of God revealed in Jesus Christ, who died and rose from the dead (cf. Evangelii Gaudium, 36). Let us keep in mind the words of Saint Paul VI: we need to be witnesses before being teachers (cf. Evangelii Nuntiandi, 41), witnesses to the love of God, the only thing that truly matters. When someone is unable to be a witness, it is truly sad.

Here we find one of the hallmarks of ongoing formation, not only that of priests but of every Christian. It is also emphasized in the Ratio Fundamentalis: only if we are and remain disciples can we become ministers of God and missionaries of his Kingdom. Only by welcoming and preserving the joy of the Gospel, can we bring this joy to others. In the work of ongoing formation, then, let us remember that we are always disciples and wayfarers, and that this is the most beautiful thing that has ever happened to us, thanks to God’s grace! On the other hand, we find priests who don’t have the capacity for service, maybe due to selfishness, or who have taken the “entrepreneurial” path; they have lost that sense of discipleship and instead feel like masters.

Grace, however, always supposes nature, and this calls for an integral human formation. Indeed, being disciples of the Lord is not about exterior religiosity but about a style of life, and this calls for the cultivation of our human qualities. The opposite of this is the “worldly” priest. When worldliness enters the heart of the priest it ruins everything. I would ask you to devote all your energies and resources to this aspect, namely, attention to human formation. It is the cure for living humanely. An old priest once told me: “when a priest is incapable of playing with children, he has lost”. It is interesting; it is a test of our humanity. We need priests who are fully human, who can play with children and look after the elderly, are capable of healthy relationships and mature in confronting the challenges of ministry, so that the consolation of the Gospel may reach the people of God through their humanity transformed by the Spirit of Jesus. Let us never forget the humanizing power of the Gospel! Conversely, a bitter priest, a priest who has bitterness in his heart is an “old bachelor”.

A second path involves the cultivation of a sense of being part of God’s people. We can only be missionary disciples all together. We can carry out our priestly ministry well only if we are fully part of the priestly people, from which we ourselves have come. Realizing that we are part of a people – never feeling separated from the journey of the holy faithful people of God – preserves us, sustains us in our efforts, accompanies us in our pastoral concerns and keeps us safe from the risk of growing detached from reality and feeling all-powerful. Let us be attentive to this, because it is also the root of every form of abuse.

To foster this immersion in the reality of people’s lives, priestly formation should not be conceived as somehow “set apart”. Rather, it should draw upon the contribution of the people of God: priests and lay faithful, men and women, celibates and married couples, the elderly and the young, without neglecting the poor and suffering who have so much to teach us. In the Church, there is reciprocity and constant interplay between the various states of life, vocations, ministries and charisms. We need to have a humble wisdom, in order to learn how to journey together and to make synodality a “style” of Christian and priestly life. Especially today, priests are called to exercise a spirit of synodality. Let us always remember this: walking together. The priest, always together with the people to which he belongs, but also with his Bishop and his brother priests. Let us never neglect priestly fraternity! On this aspect of being united with God’s people, Paul warns Timothy: “Remember your mother and grandmother”. Remember your roots, your history, the history of your family, and the history of your people. A priest is not born spontaneously; either he is of God’s people or he is an aristocrat who ends up neurotic.

Finally, a third path to take is that of service as “generative”. Service is the identity card of Christ’s ministers. The Master showed this by his entire life, and particularly at the Last Supper, when he washed the feet of the disciples. Seen in this light, formation as service is not simply the transmission of a body of teachings, but also the art of concentrating on others, bringing out all their beauty and all the good that they carry within, shedding light on their gifts but also on their shadows, their wounds and their desires. Consequently, the formation of priests involves serving them, serving their lives, encouraging their journey, assisting them in discernment, accompanying them in their difficulties and supporting them amid pastoral challenges.

A priest formed in this way will then put himself at the service of the people of God, be close to people and, like Jesus on the cross, willingly shoulder responsibility for all. Brothers and sisters, let us gaze upon the cross. From there, by loving us to the end (cf. Jn 13:1), the Lord begot a new people. We too, when we put ourselves at the service of others, when we become fathers and mothers for those entrusted to our care, bring God’s life to birth. This is the secret of a “generative” pastoral activity. It is not centred on us, but generates daughters and sons to new life in Christ and pours the living water of the Gospel on the soil of human hearts and on the times in which we live.

To all of you, I offer you my good wishes. I would like to return and add to something I said earlier, please do not get tired of being merciful. Always forgive. When people come to confession, they come to ask for forgiveness and not to hear a lecture on theology. Please be merciful. Always forgive, because forgiveness has this grace of embracing, of welcoming. I urge you: always forgive. I offer you my good wishes for your Conference. I leave you, then, with these three key words: the joy of the Gospel, which is at the basis of our life, a sense of being part of a people that watches over us and sustains us as the faithful holy people of God, and service as “generative”, which makes us true fathers and pastors. May Our Lady always accompany you. Our Lady gives to us priests one thing: the grace of tenderness. A tenderness that can be witnessed with those in difficulty, the old, the sick and even the smallest babies. Ask for this grace, and don’t be afraid to be tender. Tenderness is strength. Thank you!

[00254-EN.02] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

Liebe Brüder und Schwestern!

Ich danke euch von Herzen für diesen Moment, den ich mit euch verbringen darf. Ich danke euch, dass ihr nach Rom gekommen seid, um an der Internationalen Tagung für die ständige Fortbildung der Priester teilzunehmen, die vom Dikasterium für den Klerus – vor allem vom großem koreanischen Chef! – und auch den Dikasterien für die Evangelisierung und für die Orientalischen Kirchen veranstaltet wird. Ich danke den Präfekten der beteiligten Dikasterien und all jenen, die sich bei der Vorbereitung dieses Treffens eingebracht haben. Für viele von euch war es nicht leicht, nach Rom zu kommen; aber vor allem möchte ich euch meine Dankbarkeit für das zum Ausdruck bringen, was ihr in euren Diözesen und Ländern tut, für den Dienst, den ihr verrichtet und den auch die Umfrage hervorgehoben hat, die im Hinblick auf diese Tagung durchgeführt wurde.

Während dieser Tage habt ihr die große Gelegenheit, euch über bewährte Methoden auszutauschen, Herausforderungen und Probleme zu diskutieren und nach künftigen Horizonten der Priesterausbildung in diesem Epochenwandel Ausschau zu halten, immer mit dem Blick nach vorn, stets bereit, die Netze auf das Wort des Herrn hin erneut auszuwerfen (vgl. Lk 5,4-5; Joh 21,6). Es geht darum, sich aufzumachen, um nach Mitteln und Ausdrucksweisen zu suchen, die die Priesterausbildung unterstützen, ohne zu glauben, dass wir alle Antworten in der Hand hielten – ich habe Angst vor denen, die alle Antworten griffbereit haben, davor habe ich Angst –, sondern im Vertrauen darauf, dass wir sie auf dem Weg finden können. Hört euch in diesen Tagen also gegenseitig zu und lasst euch von der Aufforderung anregen, die der Apostel Paulus an Timotheus richtet und die das Motto eurer Tagung ist: »Entfache die Gnade Gottes wieder, die dir […] zuteilgeworden ist« (2 Tim 1,6). Die Gabe wieder entfachen, die Salbung erneut entdecken, das Feuer neu entzünden, damit der Eifer im apostolischen Dienst nicht erlischt.

Und wie können wir die empfangene Gabe wieder entfachen? Ich möchte euch drei Pfade aufzeigen für den Weg, den ihr vor euch habt: die Freude des Evangeliums, die Zugehörigkeit zum Volk, die Fruchtbarkeit des Dienstes.

Erstens: Die Freude des Evangeliums. Im Mittelpunkt des christlichen Lebens steht das Geschenk der Freundschaft mit dem Herrn, das uns von der Traurigkeit des Individualismus und der Gefahr eines Lebens ohne Sinn, ohne Liebe und ohne Hoffnung befreit. Die Freude des Evangeliums, die gute Nachricht, die uns begleitet, ist eben diese: Wir werden von Gott mit Zärtlichkeit und Barmherzigkeit geliebt. Und diese frohe Kunde sollen wir in der Welt erschallen lassen, indem wir sie mit unserem Leben bezeugen, damit alle die Schönheit der heilbringenden Liebe Gottes entdecken können, die sich in Jesus Christus offenbart hat, der gestorben und auferstanden ist (vgl. Evangelii gaudium, 36). Erinnern wir uns daran, was der heilige Paul VI. sagte: Zeugen sein, noch bevor wir Lehrer sind (vgl. Evangelii nuntiandi, 41), Zeugen der Liebe Gottes, die das einzige ist, was zählt. Und wenn man nicht in der Lage ist, ein Zeuge zu sein, ist das traurig, sehr traurig.

Hier finden wir einen Eckpfeiler der ständigen Weiterbildung, nicht nur der Priester, sondern eines jeden Christen, den auch die Ratio fundamentalis hervorhebt: Nur wenn wir Jünger sind und bleiben, können wir Diener Gottes und Missionare seines Reiches werden. Nur wenn wir die Freude des Evangeliums annehmen und pflegen, können wir diese Freude an andere weitergeben. Vergessen wir bei der beständigen Fortbildung also nicht, dass wir immer Jünger auf dem Weg sind und dass dies zu jeder Zeit das Schönste ist, was uns aus Gnade widerfahren ist! Und wenn wir Priester sehen, die diese Fähigkeit zum Dienen nicht haben, die vielleicht egoistisch sind, Priester, die eine Art „unternehmerischen“ Weg eingeschlagen haben, dann haben sie diese Fähigkeit verloren, sich als Jünger zu fühlen, und fühlen sich als Herren.

Die Gnade setzt immer die Natur voraus und deshalb bedürfen wir einer ganzheitlichen menschlichen Bildung. Ein Jünger des Herrn zu sein ist nämlich keine religiöse Verkleidung, sondern eine Lebensweise und erfordert daher die Sorge für unser Menschsein. Das Gegenteil davon ist der „weltliche“ Priester. Wenn die Weltlichkeit in das Herz des Priesters einzieht, macht das alles kaputt. Ich bitte euch, eure gesamten Energien und Ressourcen auf diesen Aspekt zu verwenden: die Sorge um die menschliche Bildung. Und auch die Sorge für ein menschliches Leben. Ein alter Priester sagte mir einmal: „Wenn ein Priester nicht mehr in der Lage ist, mit Kindern zu spielen, hat er verloren“. Das ist interessant: Es ist ein Test. Wir brauchen Priester, die ganz menschlich sind, die mit den Kindern spielen und lieb sind zu den Älteren, die zu guten Beziehungen fähig sind, die sich den Herausforderungen des Dienstes in reifer Weise stellen, damit der Trost des Evangeliums das Volk Gottes durch ihr vom Geist Jesu verwandeltes Menschsein erreicht. Vergessen wir nie die humanisierende Kraft des Evangeliums! Ein verbitterter Priester, ein Priester, der Bitterkeit in seinem Herzen hat, ist ein „alter Junggeselle“!

Ein zweiter Pfad ist die Zugehörigkeit zum Volk Gottes. Nur in Gemeinschaft kann man zum missionarischen Jünger werden. Wir können den priesterlichen Dienst nur inmitten des priesterlichen Volkes leben, aus dem auch wir stammen. Diese Zugehörigkeit zum Volk – sich niemals vom Weg des heiligen, gläubigen Volkes Gottes getrennt zu fühlen – schützt uns, stützt uns in den Mühen, begleitet uns in den pastoralen Nöten und bewahrt uns vor der Gefahr, uns von der Wirklichkeit abzukoppeln und uns allmächtig zu wähnen. Seien wir vorsichtig, denn dies ist auch die Wurzel einer jeden Form von Missbrauch.

Um in der realen Geschichte des Volkes verankert zu bleiben, ist es nötig, dass die priesterliche Ausbildung nicht als „abgetrennt“ konzipiert wird, sondern den Beitrag des Volkes Gottes nutzen kann: von Priestern und Laien, von Männern und Frauen, von ehelosen Personen und Ehepaaren, von Alten und Jungen, ohne die Armen und Leidenden zu vergessen, von denen man viel lernen kann. In der Kirche gibt es nämlich eine Wechselseitigkeit und einen Kreislauf hinsichtlich der Lebensstände, Berufungen, Ämter und Charismen. Und dies verlangt von uns die bescheidene Weisheit, das gemeinsame Unterwegssein zu erlernen und aus der Synodalität einen Stil des christlichen Lebens und auch des priesterlichen Lebens zu machen. Priester sind besonders heute aufgefordert, „Synodalitätsübungen“ zu machen. Lasst uns immer daran denken: gemeinsam gehen. Der Priester ist immer zusammen mit dem Volk, zu dem er gehört, aber auch zusammen mit dem Bischof und dem Presbyterium. Vernachlässigen wir nie die priesterliche Brüderlichkeit! Und in Bezug auf diesen Aspekt der Verbundenheit mit dem Volk Gottes warnt Paulus Timotheus: „Denk an deine Mutter und an deine Großmutter.“ Erinnere dich an deine Wurzeln, an deine Geschichte, an die Geschichte deiner Familie, an die Geschichte deines Volkes. Der Priester entsteht nicht durch Urzeugung. Entweder er gehört zum Volk Gottes oder er ist ein Aristokrat, der am Ende neurotisch wird.

Ein dritter Pfad schließlich ist der der Fruchtbarkeit des Dienstes. Dienen ist das Kennzeichen der Diener Christi. Der Meister hat uns dies sein ganzes Leben lang gezeigt – insbesondere beim Letzten Abendmahl, als er den Jüngern die Füße wusch. Aus der Perspektive des Dienens ist Bildung kein äußerer Vorgang, keine Weitergabe einer Lehre, sondern sie wird zur Kunst, den anderen in den Mittelpunkt zu stellen, indem man seine Schönheit zum Vorschein bringt, das Gute, das er ist und das er in sich trägt, und indem man seine Gaben und auch seine Schattenseiten, seine Wunden und seine Sehnsüchte aufzeigt. Priester zu bilden bedeutet also, ihnen zu dienen, ihrem Leben zu dienen, sie auf ihrem Weg zu ermutigen, ihnen bei der Unterscheidung zu helfen, sie in Schwierigkeiten zu begleiten und sie bei pastoralen Herausforderungen zu unterstützen.

Der Priester, der auf diese Weise ausgebildet wird, stellt sich seinerseits in den Dienst des Volkes Gottes, er ist den Menschen nah und nimmt sich aller an, so wie Jesus am Kreuz. Schauen wir auf diesen Lehrstuhl, Brüder und Schwestern: auf das Kreuz. Von dort hat der Herr, der uns bis zur Vollendung liebte (vgl. Joh 13,1), ein neues Volk erschaffen. Und auch wir bringen das Leben Gottes hervor, wenn wir uns in den Dienst der anderen stellen, wenn wir zu Vätern und Müttern für die werden, die uns anvertraut sind. Das ist das Geheimnis einer fruchtbaren Seelsorge: keine Seelsorge, bei der wir im Mittelpunkt stehen, sondern eine Seelsorge, die Töchter und Söhne zum neuen Leben zeugt, die das lebendige Wasser des Evangeliums in das Herz des Menschen und in den Boden der heutigen Zeit fließen lässt.

Euch allen wünsche ich alles Gute. Und noch etwas möchte ich hinzufügen und etwas aufgreifen, was ich vorhin gesagt habe: Bitte werdet nicht müde, barmherzig zu sein. Vergebt immer. Wenn Menschen zur Beichte kommen, kommen sie, um um Vergebung zu bitten und nicht, um einen Vortrag über Theologie oder Bußübungen zu hören. Bitte seid barmherzig. Vergebt immer, denn die Vergebung besitzt diese Gnade liebevoller Annahme. Vergebung ist immer innerlich fruchtbar. Vergesst das nicht: Vergebt immer. Ich wünsche euch für eure Tagung alles Gute und gebe euch diese drei Schlüsselworte mit: die Freude des Evangeliums, die das Fundament unseres Lebens ist; die Zugehörigkeit zu einem Volk, dem heiligen Volk Gottes, das uns schützt und stützt; die Fruchtbarkeit des Dienstes, die uns zu Vätern und Hirten macht. Möge die Muttergottes euch stets begleiten. Die Gottesmutter schenkt uns Priestern vor allem eines: die Gnade der Zärtlichkeit. Diese Zärtlichkeit, die sich im Umgang mit Menschen in Schwierigkeiten zeigt, den Alten, Kranken, ganz kleinen Kindern... Bittet um diese Gnade und habt keine Angst, zärtlich zu sein. Die Zärtlichkeit ist stark. Danke!

[00254-DE.02] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

Queridos hermanos y hermanas:

Les agradezco de corazón este momento que puedo pasar con ustedes. Gracias por haber venido a Roma en ocasión del Congreso internacional para la formación permanente de los sacerdotes, promovida por el Dicasterio para el clero —sobre todo por su superior coreano—y también por los Dicasterios para la Evangelización y para las Iglesias Orientales. Doy las gracias a los Prefectos de los Dicasterios involucrados y a todos los que han esforzado en la preparación de esta cita. Para muchos de ustedes no ha sido fácil venir a Roma; pero, sobre todo, quiero expresarles mi gratitud por todo lo que hacen en sus diócesis y en sus países, por el servicio que prestan, el cual también ha sido puesto de relieve en la encuesta realizada con vistas a este Congreso.

Durante estos días, tienen la gracia de intercambiar las buenas prácticas, de debatir sobre los desafíos y problemáticas, y de escrutar los horizontes futuros de la formación sacerdotal en esta época cambiante; siempre mirando hacia adelante, siempre dispuestos a echar de nuevo las redes como nos pide la Palabra del Señor (cf Lc 5,4-5; Jn 21,6). Se trata de caminar en busca de instrumentos y lenguajes que ayuden a la formación sacerdotal, sin pensar que se tienen todas las respuestas en la mano —temo a quienes tienen todas las respuestas en la mano, les tengo miedo —, sino confiando en poder encontrarlas a lo largo del camino. En estos días, pues, escúchense unos a otros, e inspírense en la invitación que el apóstol Pablo dirige a Timoteo y que da título a vuestro Congreso: «Reaviva el don de Dios que has recibido» (2 Tm 1,6). Reaviva el don, redescubre la unción, aviva el fuego para que no se apague el celo del ministerio apostólico.

¿Y cómo podemos reavivar el don que hemos recibido? Me gustaría indicarles tres direcciones en el camino que están recorriendo: la alegría del Evangelio, la pertenencia al pueblo y la generatividad del servicio.

Lo primero, la alegría del Evangelio. En el corazón de la vida cristiana está el don de la amistad con el Señor, que nos libera de la tristeza del individualismo y del riesgo de una vida sin sentido, sin amor y sin esperanza. La alegría del Evangelio, la buena noticia que nos acompaña es precisamente ésta: somos amados por Dios con ternura y misericordia. Y estamos llamados a hacer resonar este anuncio gozoso en el mundo, testimoniándolo con nuestra vida, para que todos descubran la belleza del amor salvífico de Dios manifestado en Jesucristo muerto y resucitado (cf. Evangelii gaudium, 36). Recordemos lo que decía san Pablo VI: sean testigos antes que maestros (cf. Evangelii nuntiandi, 41), testigos del amor de Dios, que es lo único que importa. Y cuando uno no es capaz de ser testigo es triste, es muy triste.

Encontramos aquí el fundamento de la formación permanente, no sólo de los sacerdotes, sino de todo cristiano, como también lo subraya la Ratio fundamentalis: sólo si somos y permanecemos discípulos, podremos llegar a ser ministros de Dios y misioneros de su Reino. Sólo acogiendo y custodiando la alegría del Evangelio podremos llevar este gozo a los demás. En la formación permanente, por tanto, no olvidemos que somos siempre discípulos en camino y que esto constituye, en todo momento, lo más hermoso que nos haya sucedido, por gracia de Dios. Cuando nos encontramos con sacerdotes que no tienen esa capacidad de servicio, tal vez por egoísmo, sacerdotes que de algún modo han tomado el camino “empresarial”, en ese caso han perdido esta capacidad de sentirse discípulos, y se creen dueños.

La gracia presupone siempre la naturaleza, y para ello necesitamos una formación humana integral. En efecto, ser discípulo del Señor no es un disfraz religioso, sino que es una forma de vida, y por tanto requiere que cuidemos nuestra humanidad. El contrario de esto es el sacerdote “mundano”. Cuando la mundanidad entra en el corazón del sacerdote se arruina todo. A este respecto les pido que dediquen todas sus energías y recursos al cuidado de la formación humana. Y también el cuidado de vivir humanamente. Una vez un anciano sacerdote me dijo: “Cuando un sacerdote es incapaz de jugar con los niños, ha perdido” Esto es interesante: es un test. Hacen falta sacerdotes plenamente humanos, que sean capaces de jugar con los niños y de acariciar a los ancianos, capaces de buenas relaciones, maduros para afrontar los retos del ministerio, para que el consuelo del Evangelio llegue al pueblo de Dios a través de su humanidad transformada por el Espíritu de Jesús. No olvidemos nunca el poder humanizante del Evangelio. ¡Un sacerdote agrio, un sacerdote que tiene el corazón amargado es un “solterón”!

Un segundo camino: la pertenencia al pueblo de Dios. Sólo permaneciendo unidos podemos ser discípulos misioneros. Sólo podemos vivir el ministerio sacerdotal estando bien insertados en el pueblo sacerdotal, del que también nosotros procedemos. Esta pertenencia al pueblo —sin sentirnos nunca separados del camino del santo pueblo fiel de Dios — nos custodia, nos sostiene en nuestras fatigas, nos acompaña en las angustias pastorales y nos protege del riesgo de desconectarnos de la realidad y sentirnos omnipotentes. Tengamos cuidado, porque ésta es también la raíz de todas las formas de abuso.

Para permanecer inmersos en la historia real del pueblo, es necesario que la formación sacerdotal no se conciba como “separada”, sino que sepa aprovechar la contribución del pueblo de Dios: de los sacerdotes y de los fieles laicos, de los hombres y de las mujeres, de las personas célibes y de los matrimonios, de los ancianos y de los jóvenes, sin olvidar a los pobres y a los que sufren, que tienen tanto que enseñarnos. En la Iglesia, de hecho, existe una reciprocidad y circularidad entre estados de vida, vocaciones, ministerios y carismas. Y esto requiere de nosotros la humilde sabiduría de aprender a caminar juntos, haciendo de la sinodalidad un estilo de vida cristiana y de la misma vida sacerdotal. A los sacerdotes, sobre todo hoy, se les pide el compromiso de hacer “ejercicios de sinodalidad”. Recordémoslo siempre: caminar juntos; el sacerdote siempre junto al pueblo al que pertenece, pero también unidos al obispo y al presbiterio. ¡No descuidemos nunca la fraternidad sacerdotal! Y sobre este aspecto, el de permanecer unidos al pueblo de Dios, Pablo advierte a Timoteo: “Recuérdate de tu mamá y de tu abuela”. Recuérdate de tus raíces, de tu historia, de la historia de tu familia, de la historia de tu pueblo. El sacerdote no nace por generación espontánea. O es del pueblo de Dios o es un aristócrata que se vuelve neurótico.

Por último, una tercera vía es la de la generatividad del servicio. Servir es el carácter distintivo de los ministros de Cristo. El Maestro nos lo manifestó a lo largo de toda su vida y, en particular, durante la Última Cena, cuando lavó los pies a los discípulos. Desde la perspectiva del servicio, la formación no es una operación extrínseca, la transmisión de una enseñanza, sino que se convierte en el arte de poner al otro en el centro, resaltando su belleza, lo bueno que lleva dentro, poniéndole de manifiesto sus dones y también sus sombras, sus heridas y sus deseos. Y así, formar sacerdotes significa servirles, servir sus vidas, animar su camino, ayudarlos en su discernimiento, acompañarlos en las dificultades y apoyarlos en los retos pastorales.

El sacerdote así formado, a su vez, se pone al servicio del pueblo de Dios, está cerca de la gente y, como Jesús en la cruz, se hace cargo de todos. Hermanos y hermanas, fijémonos en esta cátedra de la Cruz. Desde allí, amándonos hasta el extremo (cf. Jn 13,1), el Señor hizo nacer un pueblo nuevo. Y también nosotros, cuando nos ponemos al servicio de los demás, cuando nos convertimos en padres y madres para quienes nos han sido confiados, generamos la vida de Dios. Este es el secreto de una pastoral generativa: no de una pastoral en la que nosotros somos el centro, sino de una pastoral que genera hijas e hijos a la vida nueva en Cristo, que lleva el agua viva del Evangelio al terreno del corazón humano y del tiempo presente.

A todos ustedes les deseo lo mejor. Ustedes — quiero agregar esto y retomar también algo que dije antes — por favor, no se cansen de ser misericordiosos. Perdonen siempre. Cuando la gente se acerca a confesarse, va a pedir el perdón y no a escuchar una lección de teología o sobre las penitencias. Sean misericordiosos, por favor. Perdonen siempre, porque el perdón posee esa gracia de la caricia, de la acogida. El perdón es por sí mismo generativo siempre. Les recomiendo esto: que perdonen siempre. Les deseo todo bien para vuestro Congreso; y les dejo las tres palabras clave: la alegría del Evangelio que es la base de nuestra vida, la pertenencia a un pueblo que nos custodia y sostiene al santo pueblo fiel de Dios, y la generatividad del servicio que nos hace padres y pastores. Que Nuestra Señora los acompañe siempre. La Virgen nos da a los sacerdotes la gracia de la ternura. Esa ternura que se manifiesta en el trato con las personas en dificultad, los ancianos, los enfermos, los recién nacidos. Pidan esta gracia, y no tengan miedo de demostrar ternura. La ternura es fuerte. ¡Gracias!

[00254-ES.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

Queridos irmãos e irmãs!

Agradeço do fundo do coração por este momento que posso passar convosco. Obrigado por terdes vindo a Roma por ocasião do Convénio Internacional para a Formação Permanente dos Sacerdotes, promovido pelo Dicastério para o Clero – sobretudo pelo seu grande Dirigente coreano! – e também pelos Dicastérios para a Evangelização e para as Igrejas Orientais. Agradeço aos Prefeitos dos Dicastérios envolvidos e a todos os que se prodigalizaram na preparação deste encontro. Para muitos de vós, não foi fácil vir a Roma! Quero-vos exprimir a minha gratidão por isso, mas sobretudo pelo que fazeis nas vossas dioceses e nos vossos países, pelo serviço que realizais e que foi evidenciado nomeadamente pela sondagem feita tendo em vista este Convénio.

Nestes dias, tendes a graça de compartilhar iniciativas boas, dialogar sobre desafios e problemas e perscrutar os horizontes futuros da formação sacerdotal nesta mudança de época, sempre olhando em frente e prontos a lançar novamente as redes obedecendo à Palavra do Senhor (cf. Lc 5, 4-5; Jo 21, 6). Trata-se de caminhar em busca de instrumentos e linguagens que ajudem a formação sacerdotal, não pensando que temos na mão todas as respostas – tenho medo daqueles que têm todas as respostas na mão; tenho medo deles –, mas confiando que poderemos encontrá-las ao longo do caminho. Por isso, nestes dias, escutai-vos mutuamente e deixai-vos inspirar pelo convite que o apóstolo Paulo dirige a Timóteo e serve de título ao vosso Convénio: «Reaviva o dom de Deus que está em ti» (2 Tm 1, 6). Reavivar o dom, redescobrir a unção, reacender o fogo, para que não se apague o zelo do ministério apostólico.

E como podemos reavivar o dom recebido? Quero indicar-vos três sendas para o caminho que estais a percorrer: a alegria do Evangelho, a pertença ao povo, o serviço generativo.

Primeiro: a alegria do Evangelho. No centro da vida cristã, está o dom da amizade com o Senhor, que nos liberta da tristeza do individualismo e do risco duma vida sem significado, sem amor, nem esperança. A alegria do Evangelho, a boa nova que nos acompanha é precisamente esta: somos amados por Deus com ternura e misericórdia. E este anúncio jubiloso, somos chamados a fazê-lo ressoar no mundo testemunhando-o com a vida, para que todos possam descobrir a beleza do amor salvífico de Deus manifestado em Jesus Cristo, morto e ressuscitado (cf. Francisco, Evangelii gaudium, 36). Recordemos aquilo que dizia São Paulo VI: o homem contemporâneo escuta com melhor boa vontade as testemunhas do que os mestres (cf. Evangelii nuntiandi, 41), testemunhas do amor de Deus, que é a única coisa que conta. E é triste quando alguém não é capaz de ser testemunha; é muito triste!

Temos aqui um ponto firme da formação permanente não só dos padres, mas também de cada cristão, que a própria Ratio fundamentalis sublinha: só se formos e permanecermos discípulos é que nos podemos tornar ministros de Deus e missionários do seu Reino. Só acolhendo e conservando a alegria do Evangelho é que podemos levar esta alegria aos outros. Assim, ao realizar a formação permanente, não esqueçamos que somos sempre discípulos em caminho, representando isto, em cada momento, a coisa mais bela que, por graça, nos aconteceu. E quando encontramos sacerdotes que não têm a necessária capacidade de serviço, talvez porque egoístas, talvez porque embocaram mais ou menos o caminho «empresarial», então perderam esta capacidade de se sentir discípulos; sentem-se patrões.

A graça pressupõe sempre a natureza, e por isso temos necessidade duma formação humana integral. Na verdade, ser discípulo do Senhor não é um revestimento religioso, mas um estilo de vida e por conseguinte requer o cuidado da nossa humanidade. O contrário disto é o padre «mundano». Quando a mundanidade entra no coração do padre, estraga-se tudo. Peço-vos para investir o melhor das vossas energias e recursos neste aspeto: o cuidado da formação humana. E também o cuidado por viver de maneira humana. Dizia-me uma vez um padre idoso: «Quando um padre é incapaz de jogar com as crianças, está perdido». Interessante! É um teste. Há necessidade de sacerdotes plenamente humanos, que joguem com as crianças e se ocupem carinhosamente dos idosos, capazes de boas relações, maduros para enfrentar os desafios do ministério, para que a consolação do Evangelho chegue ao povo de Deus através da sua humanidade transformada pelo Espírito de Jesus. Nunca esqueçamos a força humanizadora do Evangelho. Um sacerdote amargo, um sacerdote que traz amargura no coração, é um «solteirão»!

Uma segunda senda a percorrer: a pertença ao povo de Deus. Só juntos é que podemos ser discípulos missionários. Só podemos viver bem o ministério sacerdotal imersos no povo sacerdotal, do qual também nós procedemos. Esta pertença ao povo – nunca nos sintamos separados do caminho do santo povo fiel de Deus – salvaguarda-nos, apoia-nos nas canseiras, acompanha-nos nos anseios pastorais e preserva-nos do risco de nos desligarmos da realidade e sentirmos omnipotentes. Tenhamos cuidado, porque esta é também a raiz de toda a forma de abuso.

Para permanecermos imersos na história real do povo, é preciso que a formação sacerdotal não seja concebida como «separada», mas possa valer-se da contribuição do povo de Deus: de sacerdotes e fiéis leigos, de homens e mulheres, de pessoas celibatárias e casais, de velhos e jovens, sem esquecer os pobres e os atribulados que têm tanto a ensinar. De facto, na Igreja, existe uma reciprocidade e circularidade entre os estados de vida, as vocações, entre os ministérios e os carismas. E isto requer de nós a sabedoria humilde de aprender a caminhar juntos, fazendo da sinodalidade um estilo da vida cristã e da própria vida sacerdotal. Aos sacerdotes é pedido, sobretudo hoje, o empenho de fazer «exercícios de sinodalidade». Lembremo-nos sempre disto: caminhar juntos. O padre esteja sempre junto com o povo a que pertence, mas junto também com o bispo e o presbitério. Nunca transcuremos a fraternidade sacerdotal. E sobre este aspeto de estar unido ao povo de Deus, Paulo adverte Timóteo: «Lembra-te da tua mãe e da tua avó». Lembra-te das tuas raízes, da tua história, da história da tua família, da história do teu povo. O sacerdote não nasce por geração espontânea. Ou é do povo de Deus, ou é um aristocrata que acaba neurótico.

Finalmente, uma terceira senda é a do serviço generativo. Servir é o distintivo dos ministros de Cristo. No-lo mostrou o Mestre durante toda a sua vida e, de modo particular, na Última Ceia, quando lavou os pés dos discípulos. Na perspetiva do serviço, a formação não é uma operação extrínseca, a transmissão dum ensinamento, mas torna-se a arte de colocar o outro no centro, fazendo sobressair a sua beleza, o bem que traz consigo, evidenciando os seus dons e também as suas sombras, as suas feridas e os seus desejos. Deste modo formar sacerdotes significa servi-los, servir a sua vida, encorajá-los no seu percurso, ajudá-los no discernimento, acompanhá-los nas dificuldades e apoiá-los nos desafios pastorais.

O padre, assim formado, coloca-se por sua vez ao serviço do povo de Deus, é solidário com a gente e, como fez Jesus na cruz, ocupa-se de todos. Fixemos, irmãos e irmãs, esta cátedra – a Cruz. A partir dela o Senhor, amando-nos até ao fim (cf. Jo 13, 1), gerou um povo novo. E também nós, quando nos colocamos ao serviço dos outros, quando nos tornamos pais e mães para aqueles que nos foram confiados, geramos a vida de Deus. Este é o segredo duma pastoral generativa: não uma pastoral em que aparecemos nós no centro, mas uma pastoral que gera filhas e filhos para a vida nova em Cristo, que leva a água viva do Evangelho ao terreno do coração humano e do tempo presente.

A todos, vos desejo o melhor. Quero acrescentar isto retomando algo que já tenho dito anteriormente: vós, por favor, não vos canseis de ser misericordiosos. Perdoai sempre. Quando o povo vem confessar-se, é para pedir o perdão e não para ouvir uma lição de teologia ou um rol de penitências. Sede misericordiosos, por favor. Devemos perdoar sempre, porque o perdão tem esta graça do carinho, do acolhimento. O perdão é sempre gerador dentro. Isto vos recomendo: perdoai sempre. Desejo-vos o melhor para o vosso Convénio; e deixo-vos as três palavras-chave: a alegria do Evangelho que está na base da nossa vida, a pertença a um povo que nos guarda e apoia, ao santo povo fiel, o serviço generativo que nos torna pais e pastores. Que Nossa Senhora vos acompanhe sempre. Há uma coisa que Nossa Senhora gosta de nos dar a nós sacerdotes: a graça da ternura. Aquela ternura que se vê também com as pessoas em dificuldade, os idosos, os doentes, as crianças ainda muito pequeninas. Pedi esta graça, e não tenhais medo de ser ternos. A ternura é forte. Obrigado!

[00254-PO.02] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua polacca

Drodzy bracia i siostry!

Serdecznie dziękuję za tę chwilę, którą mogę spędzić z wami. Dziękuję za przybycie do Rzymu na Międzynarodowy Kongres poświęcony Formacji Permanentnej Kapłanów, zorganizowany przez Dykasterię do spraw Duchowieństwa – a zwłaszcza przez jej wspaniałego koreańskiego szefa! – a także przez Dykasterie do spraw Ewangelizacji i do spraw Kościołów Wschodnich. Dziękuję Prefektom zaangażowanych Dykasterii i wszystkim, którzy trudzili się, aby przygotować to spotkanie. Dla wielu z was, przyjazd do Rzymu nie był łatwy; jednak przede wszystkim pragnę wam wyrazić moją wdzięczność za to, co czynicie w swoich diecezjach i krajach, za posługę, którą wypełniacie i którą podkreśliła również ankieta przeprowadzona na potrzeby tego kongresu.

W tych dniach jest wam dane podzielić się dobrymi praktykami, dyskutować o wyzwaniach i problemach oraz dociekać przyszłych perspektyw formacji kapłańskiej w tej w dobie zmiany epoki, zawsze patrząc w przyszłość, zawsze gotowi do ponownego zarzucenia sieci idąc za słowem Pana (por. Łk 5, 4-5; J 21, 6). Chodzi o to, aby iść w poszukiwaniu narzędzi i języków, które pomogłyby w formacji kapłańskiej, nie myśląc, że mamy wszystkie odpowiedzi w ręku – boję się tych, którzy mają w ręku wszystkie odpowiedzi, boję się ich – lecz ufając, że możemy je znaleźć przemierzając drogę. W tych dniach zatem słuchajcie siebie nawzajem i dajcie się zainspirować zaproszeniem, które apostoł Paweł kieruje do Tymoteusza, a które nadaje tytuł waszego kongresu: „Rozpal na nowo charyzmat Boży, który jest w tobie” (2 Tm 1, 6). Rozpalić na nowo charyzmat, odkryć na nowo namaszczenie, rozpalić na nowo ogień, aby nie wygasł zapał apostolskiej posługi.

A jak możemy rozpalić na nowo otrzymany charyzmat? Chciałbym wskazać wam trzy drogi, dla odbywanej przez was wędrówki: radość Ewangelii, przynależność do ludu, generatywność posługi.

Po pierwsze: radość Ewangelii. W centrum życia chrześcijańskiego znajduje się dar przyjaźni z Panem, który wyzwala nas ze smutku indywidualizmu i groźby życia bez sensu, bez miłości i bez nadziei. Radość Ewangelii, dobra nowina, która nam towarzyszy, jest właśnie taka: jesteśmy miłowani przez Boga z czułością i miłosierdziem. I jesteśmy wezwani do działania, ażeby to radosne przesłanie wybrzmiało w świecie, świadcząc o nim naszym życiem, tak aby wszyscy mogli odkryć piękno zbawczej miłości Boga objawionej w Jezusie Chrystusie umarłym i zmartwychwstałym (por. Evangelii gaudium, 36). Pamiętajmy o tym, co powiedział św. Paweł VI: trzeba być bardziej świadkami, niż nauczycielami (por. Evangelii nuntiandi, 41), świadkami miłości Boga, która jest jedyną rzeczą, jaka się liczy. A kiedy ktoś nie jest zdolny być świadkiem, to jest to smutne, bardzo smutne.

Znajdujemy tu punkt fundamentalny formacji permanentnej, nie tylko kapłanów, ale każdego chrześcijanina, co podkreśla również Ratio fundamentalis: tylko wtedy, gdy jesteśmy i pozostajemy uczniami, możemy stać się sługami Boga i misjonarzami Jego Królestwa. Tylko przyjmując i pielęgnując radość Ewangelii, możemy nieść tę radość innym. Dlatego w formacji stałej nie zapominajmy, że zawsze jesteśmy uczniami w drodze, i że stanowi to, w każdym czasie, najpiękniejszą rzecz, jaka nam się przydarzyła, dzięki łasce! A kiedy spotykamy kapłanów, którzy nie mają tej zdolności do służenia, którzy są być może egoistami, kapłanów, którzy obrali nieco “przedsiębiorczą” drogę, to znaczy, że stracili oni zdolność do bycia uczniami, czują się panami.

Łaska zawsze opiera się na naturze, a do tego potrzebujemy integralnej formacji ludzkiej. Istotnie bycie uczniem Pana nie jest religijnym przebieraniem, ale jest stylem życia, a zatem wymaga troski o nasze człowieczeństwo. Przeciwieństwem tego jest ksiądz “światowy”. Kiedy światowość wkracza do serca księdza, to wszystko się niszczy. I proszę was o wykorzystanie całej waszej energii i wszystkich środków dla tej sprawy: dla troski o formację ludzką. A także dla troski, aby żyć po ludzku. Pewien stary ksiądz powiedział mi kiedyś: “Kiedy ksiądz nie potrafi bawić się z dziećmi, to przegrał”. To interesujące: to jest test. Potrzeba kapłanów w pełni ludzkich, którzy będą bawić się z dziećmi i okazywać gesty czułości staruszkom, zdolnych do dobrych relacji, dojrzałych w stawianiu czoła wyzwaniom posługi, aby pocieszenie Ewangelii mogło dotrzeć do Ludu Bożego poprzez ich człowieczeństwo przemienione Duchem Jezusa. Nigdy nie zapominajmy o humanizującej mocy Ewangelii! Ksiądz zgorzkniały, ksiądz, który ma gorycz w sercu, jest “starym kawalerem”!

Druga droga, którą trzeba przebyć: przynależność do Ludu Bożego. Uczniami misjonarzami można być tylko razem. Możemy dobrze przeżywać posługę kapłańską jedynie będąc zanurzonymi w ludzie kapłańskim, z którego i my się wywodzimy. Ta przynależność do ludu – nigdy nie czujmy się odłączonymi od drogi świętego wiernego Ludu Bożego – strzeże nas, podtrzymuje nas w naszych trudach, towarzyszy nam w niepokojach duszpasterskich i chroni nas przed zagrożeniem oderwania się od rzeczywistości i poczucia się wszechmocnymi. Bądźmy czujni, ponieważ jest to również korzeń wszelkich form nadużyć.

Aby trwać zanurzonymi w prawdziwej historii ludu trzeba, by formacja kapłańska nie była pojmowana jako „odseparowana”, ale by mogła wykorzystać wkład Ludu Bożego: kapłanów i wiernych świeckich, mężczyzn i kobiet, osób stanu wolnego i par małżeńskich, osób starszych i młodych, nie zapominając o ubogich i cierpiących, którzy mogą nauczyć tak wiele. W Kościele istnieje bowiem wzajemność i obieg zamknięty między stanami życia, powołaniami, posługami i charyzmatami. A to wymaga od nas pokornej mądrości uczenia się podążania razem, czyniąc synodalność stylem życia chrześcijańskiego i samego życia kapłańskiego. Od kapłanów, zwłaszcza dzisiaj, wymaga się podejmowania trudu „ćwiczeń synodalności”. Zawsze o tym pamiętajmy: podążać razem. Kapłan zawsze razem z ludem, do którego należy, ale także razem z biskupem i prezbiterium. Nigdy nie zaniedbujmy braterstwa kapłańskiego! I w tym aspekcie, bycia zjednoczonym z Ludem Bożym, Paweł zwraca uwagę Tymoteuszowi: “Pamiętaj o swojej mamie i swojej babci”. Pamiętaj o swoich korzeniach, swojej historii, historii swojej rodziny, historii swojego narodu. Kapłan nie rodzi się w wyniku samorództwa. Albo jest z Ludu Bożego, albo jest arystokratą, który kończy jako neurotyk.

Wreszcie trzecia droga to generatywność posługi. Pełnienie posługi jest znakiem rozpoznawczym szafarzy Chrystusa. Pokazał nam to Nauczyciel całym swoim życiem, a w szczególności podczas Ostatniej Wieczerzy, kiedy umył uczniom nogi. W optyce służby formacja nie jest działaniem zewnętrznym, przekazywaniem nauczania, ale staje się sztuką stawiania drugiej osoby w centrum, wydobywania jej piękna, dobra, które nosi w sobie, podkreślania jej darów, ale także jej cieni, jej ran i pragnień. Tak więc formowanie kapłanów oznacza służenie im, służenie ich życiu, wspieranie ich drogi, pomaganie im w rozeznawaniu, towarzyszenie im w trudnościach i wspieranie ich w wyzwaniach duszpasterskich.

Kapłan, który jest formowany w ten sposób, oddaje się z kolei na służbę Ludowi Bożemu, jest blisko ludzi i, jak Jezus na krzyżu, bierze na siebie wszystkich. Spójrzmy na tę katedrę, bracia i siostry: Krzyż. Stamtąd, miłując nas do końca (por. J 13, 1), Pan zrodził nowy lud. I my również, kiedy oddajemy się na służbę innym, kiedy stajemy się ojcami i matkami dla tych, którzy zostali nam powierzeni, rodzimy życie Boże. To jest tajemnica duszpasterstwa generatywnego: nie duszpasterstwa, w którym jesteśmy w centrum, ale duszpasterstwa, które rodzi córki i synów do nowego życia w Chrystusie, które nosi żywą wodę Ewangelii na glebę ludzkiego serca i obecnego czasu.

Wam wszystkim życzę wszelkiego dobra. Wy – to chcę dodać, a także nawiązać do tego, co powiedziałem wcześniej – proszę, nie męczcie się byciem miłosiernymi. Zawsze przebaczajcie. Kiedy ludzie przychodzą do spowiedzi, przychodzą prosić o przebaczenie, a nie słuchać lekcji teologii lub o pokutach. Proszę, bądźcie miłosierni. Zawsze przebaczajcie, ponieważ przebaczenie ma tę łaskę czułego przygarnięcia. Przebaczenie zawsze jest generatywne wewnętrznie. To zalecam: zawsze przebaczajcie. Życzę wam wszystkiego najlepszego dla waszego kongresu; i zostawiam was z trzema słowami kluczami: radość Ewangelii, która jest podstawą naszego życia, przynależność do ludu, która nas strzeże i podtrzymuje, przynależność do świętego Ludu Bożego, generatywność posługi, która czyni nas ojcami i pasterzami. Niech Matka Boża zawsze wam towarzyszy. Matka Boża daje nam kapłanom jedną rzecz: łaskę czułości. Tę czułość, którą można dostrzec także u ludzi w trudnej sytuacji, u osób starszych, chorych, u dzieci, które są malutkie... Proście o tę łaskę i nie bójcie się być czułymi. Czułość jest potężna. Dziękuję!

[00254-PL.02] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua araba

كلمة قداسة البابا فرنسيس

إلى المشاركين في المؤتمر الدّولي للتّنشئة الدّائمة للكهنة

برعاية دائرة الإكليروس

"أَن تُذَكِّيَ هِبَةَ اللهِ الَّتي فِيكَ" (2 طيموتاوس 1، 6)

جمال الحياة في أن نكون تلاميذ اليوم

تنشئة فريدة ومتكاملة وفي الجماعة وإرساليّة

8 شباط/فبراير 2024

أيّها الإخوة والأخوات الأعزّاء،

أشكركم من كلّ قلبي على هذه اللحظة التي يمكنني أن أقضيها معكم. شكرًا لحضوركم إلى روما لهذا المؤتمر الدّولي للتّنشئة الدّائمة للكهنة، تحت رعاية دائرة الإكليروس، وبالتعاون مع دائرة البشارة بالإنجيل ودائرة الكنائس الشّرقيّة. أشكر رؤساء الدّوائر المعنيّة وجميع الذين عمِلوا بجدّ للتحضير لهذا الحدث. بالنّسبة للكثيرين منكم، لم يكن من السّهل المجيء إلى روما. أودّ أن أُعرِب قبل كلّ شيء عن شكري لكم لما تفعلونه في أبرشياتكم وفي بلدانكم، وللخدمة التي تقومون بها والتي بيَّنها أيضًا الاستطلاع الذي أُجرِيَ من أجل هذا المؤتمر.

في هذه الأيام، منحكم الله النّعمة لكي تتشاركوا معًا ممارساتكم وعوائدكم الجيّدة، ولتواجهوا التّحديات والمشاكل ولتبحثوا في آفاق التّنشئة الكهنوتيّة المستقبليّة في هذا العصر المتغيّر، وتنظروا دائمًا إلى الأمام، وأنتم مستعدون دائمًا لترسلوا الشّباك مرّة أخرى بناءً على كلمة الرّبّ يسوع (راجع لوقا 5، 4-5؛ يوحنّا 21، 6). عليكم أن تبحثوا عن الأدوات واللغات التي تساعد على التّنشئة الكهنوتيّة، دون أن تفكّروا في أنّكم تملكون كلّ الإجابات – أنا أخاف من الذين يملكون كلّ الإجابات، أنا خائف من ذلك -، بل كونوا واثقين بأنّكم تستطيعون أن تجدوها بينما تسيرون على الطّريق. في هذه الأيام، أصغوا بعضكم إلى بعض، واستلهموا الدّعوة التي يوجّهها الرّسول بولس إلى طيموتاوس والتي هي عنوان مؤتمركم: "إحياء هِبَةَ اللهِ الَّتي فِيكم" (راجع 2 طيموتاوس 1، 6). أحيوا الهبة، واكتشفوا المسحة من جديد، وأضرموا النّار من جديد حتّى لا تنطفئ فيكم غَيرة الخدمة الرّسوليّة.

وكيف يمكننا أن نُذَكِّي الهبة التي قبلناها؟ أودّ أن أذكر لكم ثلاثة طرق للمسيرة التي تقومون بها: فرح الإنجيل، والانتماء إلى الشّعب، وخدمة تَلِدُ وتصنع مؤمنين.

أوّلًا: فرح الإنجيل. في قلب الحياة المسيحيّة توجد هبة الصّداقة مع الرّبّ يسوع، التي تحرّرنا من حزن الفرديّة ومن خطر حياة لا معنى لها، ولا محبّة فيها أو رجاء. فرح الإنجيل، البُشرى السّارّة التي ترافقنا هي: الله يحبّنا بحنّان ورحمة. وهذا الإعلان وهذا الفرح، نحن مدعوّون إلى أن نردِّد صداه في العالم، وأن نشهد له بحياتنا، حتى يتمكّن الجميع من اكتشاف جمال محبّة الله الخلاصيّة التي ظهرت في يسوع المسيح، الذي مات وقام من بين الأموات (راجع فرح الإنجيل، 36). لنتذكّر ما قاله القدّيس البابا بولس السّادس: كونوا شهودًا قبل أن تكونوا معلِّمين (راجع البشارة بالإنجيل، 41)، شهودًا لمحبّة الله، وهي الشّيء الوحيد والأهمّ. وعندما لا نستطيع أن نكون شهودًا، هذا أمرٌ مُحزن، مُحزن جدًّا.

هنا نجد القاعدة الأساسيّة للتّنشئة الدّائمة، ليس فقط للكهنة، بل لكلّ مسيحي، والذي تؤكّده أيضًا المبادئ الأساسيّة للتّنشئة: فقط إن كُنَّا تلاميذَ وبقينا تلاميذَ، يمكننا أن نصير خُدَّامًا لله ومُرسَلِين لملكوته. فقط إن قبلنا فرح الإنجيل وحافظنا عليه، يمكننا أن نحمل هذا الفرح للآخرين. لذلك، عندما نقوم بالتّنشئة الدّائمة، علينا ألّا ننسى أنّنا دائمًا تلاميذ في مسيرة، وأنّ هذا الأمر يشكّل، في كلّ لحظة، أجمل ما حدث لنا، بالنِّعمَة! وعندما نجدُ كهنةً لا يملكون القدرة على الخدمة، وربّما لأنّهم أنانيّين، وكهنة اتّخذوا قليلًا طريق ”ريادة الأعمال“، فهُم بالتالي فقدوا هذه القدرة على الشّعور بأنّهم تلاميذ، بل يشعرون بأنّهم أسياد.

والنِّعمَة تفترض دائمًا الطّبيعة، ولذلك نحتاج إلى تنشئة إنسانيّة متكاملة. في الواقع، أن نكون تلاميذَ للرّبّ يسوع هو ليس قناعًا دينيًّا، بل هو أسلوب حياة، وبالتّالي يتطلّب منّا الاهتمام بإنسانيّتنا. عَكس ذلك هو الكاهن ”الدّنيويّ“. عندما تدخل روح الدّنيا في قلب الكاهن تدمّر كلّ شيء. في هذا الجانب، أطلب منكم أن تستثمروا كلّ طاقاتكم ومواردكم: اهتموا بالتّنشئة الإنسانيّة. واهتمّوا أيضًا بعَيش الإنسانيّة. في إحدى المرّات، قال لِي كاهنٌ كبيرٌ في السّنّ: ”عندما لا يكون الكاهن قادرًا أن يلعب مع الأطفال، يكون قد خَسِر“. هذا مهمّ: إنّه اختبار. نحن بحاجة إلى كاهن إنسان بصورة كاملة، ويلعب مع الأطفال ويُلاطف كبارَ السّنّ، وقادر على إقامة علاقات جيّدة، وناضج لمواجهة تحدّيات الخِدمة، حتّى تصل تعزية الإنجيل إلى شعب الله من خلال إنسانيّته التي يبدّلها روح يسوع. لا ننسَ أبدًا قوّة الإنجيل التي تزيد الكاهن إنسانيَّةً!

الطّريق الثّاني الذي علينا أن نتبعه هو: الانتماء إلى شعب الله. فقط معًا يمكننا أن نكون تلاميذَ مُرسَلِين. يمكننا أن نعيش الخدمة الكهنوتيّة جيّدًا، فقط إن كنّا جزءًا لا يتجزأ من الشّعب الكهنوتيّ، الذي منه نأتي نحن أيضًا. انتماؤنا هذا إلى الشّعب – أي ألّا نشعر أبدًا بأنّنا منفصلون عن مسيرة شعب الله المقدّس والأمين – يحرسنا ويسندنا في جهودنا، ويرافقنا في قلقنا الرّعوي، ويحمينا من خطر الانفصال عن الواقع، والشّعور بأنّ لنا قدرة مطلقة. لِنَتَنَبَّه، لأنّ هذا الأمر هو أيضًا أصلُ كلّ شكلٍ من أشكال الإساءة.

لكي نبقى جزءًا من واقع الشّعب، نحن بحاجة لألّا ننظر إلى التّنشئة الكهنوتيّة على أنّها تنشئة ”منفصلة“، فلا تحتاج إلى مساهمة شعب الله: كهنة ومؤمنين علمانيّين، رجالًا ونساء، وأشخاصًا غير متزوجين، ومتزوّجين، ومسنّين وشبابًا، ولا ننسى الفقراء والمتألّمين الذين لديهم الكثير الذي نتعلّمه منهم. في الواقع، يوجد في الكنيسة تبادل وتداور بين حالات الحياة والدّعوات، وبين الخدمات والمواهب. وهذا الأمر يتطلّب منّا حكمة متواضعة لنتعلّم أن نسير معًا، ونجعل من السينوديّة أسلوبَ حياة في الحياة المسيحيّة وفي الحياة الكهنوتيّة نفسها. مطلوب من الكهنة، وخاصّة اليوم، أن يلتزموا بالقيام ”بتداريب سينوديّة“. لنتذكّر ذلك دائمًا: السَّير معًا. الكاهن دائمًا مع الشّعب الذي ينتمي إليه، وأيضًا مع الأسقف والكهنة. لا نُهمل أبدًا الأخوّة الكهنوتيّة!

أخيرًا، الطّريق الثّالث هو طريق الخدمة التي تَلِد وتصنع مؤمنين. الخدمة هي علامة خُدّام المسيح. بيَّنها لنا المعلِّم طوال حياته، وخاصّة أثناء العشاء الأخير عندما غسل أرجل التّلاميذ. من وجهة نظر الخدمة، التّنشئة ليست عمليّة خارجيّة، ونقل للتَّعليم، بل هي فنّ يضع الآخر في قلب العمل، فيُظهِر جماله، والخير الذي هو عليه والذي يحمله في داخله، ويُلقي الضّوء على مواهبه وعلى الظّلال فيه أيضًا، وعلى جراحه ورغباته. وبالتّالي، فإنّ تنشئة الكهنة تعني خدمتهم، وخدمة حياتهم، وتشجيع مسيرتهم، ومساعدتهم في التّمييز، ومرافقتهم في الصّعوبات، وإسنادهم في التّحدّيات الرّعويّة.

الكاهن الذي تتمّ تنشئته بهذه الطّريقة، وبدوره يضع نفسه في خدمة شعب الله، يكون قريبًا من النّاس، ويتحمّل مسؤوليّة الجميع، كما صنع يسوع على الصّليب. لننظر إلى هذا ”العرش“، أيّها الإخوة والأخوات: الصّليب. هناك، أحبّنا حتّى النّهاية (راجع يوحنّا 13، 1)، وَوَلَد الرّبّ يسوع شعبًا جديدًا. ونحن أيضًا، عندما نضع أنفسنا في خدمة الآخرين، وعندما نصير آباءَ وأمّهاتٍ للذين أوكِلوا إلينا، فإنّا نعطيهم حياة الله. هذا هو سرّ حياة رعويّة تَلِدُ مؤمنين: ليست حياة رعويّة نكون نحن فيها القلب والأهمّ، بل حياة رعويّة تَلِد أبناءً وبناتٍ لحياة جديدة في المسيح، وتحمل ماء الإنجيل الحيّ إلى تربة قلب الإنسان والزّمن الحاضر.

أتمنّى لكم جميعًا كلّ التّوفيق. من فضلكم – أريد أن أضيف هذا الأمر وأن أستعيد أيضًا أمرًا قُلته من قبل –، لا تتعبوا من أن تكونوا رحماء. اغفروا دائمًا. عندما يأتي النّاس إليكم ليعترفوا بخطاياهم، هُم يأتون ليطلبوا المغفرة، لا ليستمعوا إلى درس في اللاهوت أو في التّوبة. من فضلكم، كونوا رحماء. اغفروا دائمًا، لأنّ المغفرة لديها نعمة الملاطفة والاستقبال. المغفرة دائمًا مولّدة في الدّاخل. هذا ما أوصيكم به: اغفروا دائمًا. أتمنّى لكم كلّ التّوفيق في مؤتمركم، وأترك لكم الكلمات المفتاح الثّلاثة: فرح الإنجيل الذي هو أساس حياتنا، والانتماء إلى شعبٍ يحمينا ويسندنا، شعب الله الأمين، وخدمة تَلِدُ مؤمنين تجعلنا آباءً ورُعاة. لترافقكم سيّدتنا مريم العذراء دائمًا. إنّها تعطينا نحن الكهنة شيئًا واحدًا: نعمة الحنان. هذا الحنان الذي نراه أيضًا في الأشخاص الذين يعانون من الصّعوبات، وفي كبار السّنّ، وفي المرضى وفي الأطفال الصّغار جدًّا. اطلبوا هذه النّعمة، ولا تخافوا أن تكونوا حنونين. شكرًا!

[00254-AR.02] [Testo originale: Italiano]

[B0126-XX.02]